La crisi Ucraina-Russia è specchio della forza e debolezza dei leader del mondo
Gli obiettivi zaristi di Putin, l'irresolutezza di Biden, l'Europa divisa: le relazioni transatlantiche sono sempre deboli. E Russia e Cina ne approfittano
La tensione in Ucraina è ormai alle stelle. Ieri sera, il presidente russo, Vladimir Putin, ha formalmente riconosciuto le due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, inviando poco dopo dei soldati nell’area con lo scopo – questa è stata la motivazione addotta dal capo del Cremlino – di “mantenere la pace”. Le reazioni dell’Ucraine e dell’Occidente sono state durissime. Questi i fatti, in estrema sintesi. Ma forse occorre entrare maggiormente nel dettaglio per capire che cosa è successo e che cosa potrebbe succedere.
La decisione presa da Putin sconfessa platealmente (e a questo punto definitivamente) gli accordi di Minsk. La mossa del presidente russo non ha quindi soltanto delle ripercussioni sul piano legale ma anche diplomatico: non dimentichiamo che tutti gli sforzi condotti nelle scorse settimane per cercare di disinnescare la crisi ucraina ruotassero in gran parte proprio attorno a questi accordi, originariamente siglati nel 2015. Non solo: riconoscendo le due repubbliche separatiste, Putin ha creato il pretesto per un intervento militare – poi puntualmente verificatosi – da attuare sulla base della cosiddetta “dottrina Karaganov”: dottrina in virtù di cui la Russia si arroga la facoltà di agire militarmente, quando ritiene di dover difendere i cittadini russi residenti nell’area ex sovietica. Uno stratagemma, questo, che consente al Cremlino di espandere e rafforzare quella che considera la propria sfera di influenza.
In questo quadro, Putin punta adesso a due obiettivi. In primo luogo, il leader russo vuole picconare il soft power statunitense in Ucraina. E’ esattamente in tal senso che va letto il suo discorso alla nazione di ieri sera: un discorso pregno di retaggio culturale e politico zarista, più che sovietico. Dopo aver detto che l’Ucraina sarebbe sostanzialmente una creazione di Lenin, il leader del Cremlino ha definito la stessa Ucraina “serva dei padroni occidentali”, sostenendo che nel Paese si registri una “corruzione dilagante in tutti i livelli e settori”. Putin punta quindi a soffiare sul fuoco dei pesanti attriti che, soprattutto negli ultimi mesi, si sono registrati tra Kiev e Washington. La leadership ucraina ha infatti più volte sostenuto di essere stata di fatto lasciata sola dall’amministrazione Biden, che si è ripetutamente rifiutata di adottare una postura più energica nei confronti della Russia. Il leader del Cremlino spera quindi che, con il suo atto di ieri, l’influenza russa possa di fatto estendersi anche al di là delle aree da lui già occupate.
Il secondo obiettivo è una diretta conseguenza del primo. Putin mira infatti a indebolire ulteriormente le relazioni transatlantiche, facendo leva sull’irresolutezza di Joe Biden, per allentare l’influenza statunitense sull’Europa occidentale. E’ pur vero che gli Stati europei abbiano fermamente condannato ieri sera il riconoscimento delle due repubbliche separatiste. Bisognerà comunque vedere, nel concreto, come sceglieranno di comportarsi adesso. Ricordiamo infatti che, già nella fase diplomatica, Francia e Germania si fossero in gran parte disallineate dalla Casa Bianca, giocando di fatto delle partite sempre più autonome. D’altronde, questo secondo obiettivo di Putin fa significativamente anche gola alla Cina. Una Cina che, nelle scorse ore, ha tenuto una posizione piuttosto ondivaga, è vero. Tuttavia non dimentichiamo che, a inizio febbraio, Putin e Xi Jinping si siano incontrati a Pechino, dove hanno emesso un comunicato congiunto in cui, in cambio del riconoscimento russo alle pretese cinesi su Taiwan, la Repubblica popolare si è schierata con Mosca contro l’espansione della Nato a Est.
Certo, è pur vero che l’atto putiniano di ieri in teoria potrebbe ricompattare il fronte occidentale: il che sarebbe tra l’altro auspicabile. Realisticamente però è difficile che ciò accada. E questo principalmente per due ragioni. La prima risiede nella ben nota dipendenza energetica dell’Unione europea nei confronti della Russia. Bruxelles avrebbe dovuto investire già da tempo in una maggiore autonomia sul piano energetico, proprio per evitare di restare ostaggio di potenze esterne: purtroppo l’Unione europea resta preda delle contraddizioni interne, degli egoismi nazionali e della totale assenza di approccio geopolitico. Ed oggi vediamo i risultati di tutto ciò. Il problema è d’altronde destinato ad aggravarsi nel prossimo futuro, anche perché la Russia ha già stretto nuovi accordi per incrementare il suo approvvigionamento di gas alla Cina: un elemento, questo, che danneggerà sempre più gli europei.
La seconda ragione per essere pessimisti risiede invece nella debolissima leadership che attualmente caratterizza la Casa Bianca. Negli ultimi mesi, Biden ha ripetutamente affermato di voler sostenere l’integrità territoriale ucraina e ha altrettanto ripetutamente diffuso informazioni di intelligence sull’imminenza dell’attacco russo: logica avrebbe voluto che, sulla base di queste due premesse, il presidente americano adottasse una linea energica e proattiva. Biden ha invece preferito giocare di rimessa, restando ancorato alla sua prevedibilità e alla sua irresolutezza, nonostante fosse chiaro che si trattasse di una linea totalmente inadeguata. Appena domenica scorsa, Kamala Harris aveva detto che la sola minaccia di sanzioni ritorsive sarebbe bastata come strumento deterrente contro Putin: affermazione non solo smentita dai fatti di ieri, ma già di per sé risibile. E’ da dicembre che Biden ventila l’ipotesi di sanzioni ex post e, anziché diminuire, il rischio dell’invasione russa è progressivamente aumentato da metà gennaio, per poi sfociare nell’intervento di ieri sera. Si pensi soltanto che, nel 1980, il tanto vituperato Jimmy Carter contribuì a scongiurare un intervento sovietico in Polonia proprio mettendo in campo energiche misure di deterrenza: quello che non è riuscito invece a fare Biden. Un Biden che non ha mai avuto alcuna intenzione di muovere concretamente un dito per Kiev, ma che al contempo voleva cercare di evitare contraccolpi per la propria credibilità internazionale. Risultato: è rimasto in mezzo al guado, preda della più totale confusione.
Quanto accaduto dimostra insomma che la Casa Bianca non avesse e non abbia alcuna strategia concreta sul tavolo. Come già emerso dalla crisi afgana, l’amministrazione Biden è in realtà profondamente divisa al suo interno, senza un leader resoluto che possa fare una sintesi tra le varie anime dell’amministrazione stessa. Non è del resto un caso che le relazioni transatlantiche stiano toccando il loro punto più basso proprio con questa Casa Bianca. Mai come ora ci sarebbe bisogno di un presidente americano determinato. E invece purtroppo abbiamo solo Joe Biden.