Una madre in polvere
ANSA/LUCA ZENNARO
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Una madre in polvere

Il figlio di otto mesi è morto di botte mentre lei "pippava". Ora è libera, ma non dalle sue catene

Il tunnel vuoto e freddo di Katerina Mathas è tutto imbiancato di cocaina. Non importa quanta: è bastata, comunque, a sconquassarle la vita. Coca all’inizio, coca alla fine, coca nel mezzo del suo inferno.

La coca l’ha trascinata dentro, la coca è uno degli alibi che l’hanno tirata fuori di prigione: Katerina "era uscita a cercare cocaina", non c’era mentre Gian Antonio Rasero, il suo compagno di quella sera, come ha indicato il test del dna, morsicava i piedi del suo bambino di otto mesi, morto di botte e bruciature la notte del 15 marzo.

"Ale non c’è più": rovinata anche dalla coca, Katerina si dispera. "Non era così, tre mesi fa": stando a chi la vedeva ogni giorno, la ventiseienne genovese madre di Alessandro pesava qualche chilo di più e non aveva quei cerchi lividi intorno agli occhi verdi.

"Un brava ragazza, una tranquilla" si bisbiglia tra le botteghe di San Fruttuoso, il quartiere di Genova, tutto in salita, nel quale abita con la madre. Una zona popolare: le donne scendono al negozio in vestaglia e ciabatte e gli uomini, quando è l’ora, passano in latteria per un bicchiere di spuma.

Fino a dicembre, sembra, Katerina ci stava pure bene tra quella gente da cui oggi si sente assediata. Origini greche, bella e riservata, la ragazza madre si manteneva facendo la hostess alle fiere e distribuendo le carte, come mazziere, in certe bische legalizzate. Probabile che la coca ci fosse già. Ma non si vedeva.

La trasformazione, comunque, risale a dicembre. "Soffriva per amore, Katerina: ancora una volta era stata abbandonata" racconta una delle poche persone a lei vicine. Qualcuno parla di una storia recente subito naufragata, qualcuno del rifiuto del padre naturale di Alessandro di riconoscere quel figlio nato per sbaglio e morto senza un motivo.

Katerina, comunque, era già sola allora. "Dopo Natale l’abbiamo vista cambiare" raccontano nella latteria Oasi di San Fruttuoso, gestita da suo padre e dalla compagna di lui.

"Ha iniziato a perdere peso e a farsi vedere qui sempre meno". Non gode di buona fama, adesso, Katerina. Suo figlio è morto di botte mentre lei pippava: difficile da perdonare. Ma nessuno, almeno da queste parti, pensa che abbia mai picchiato Ale: "Lo teneva bene. Non gli tagliava neppure le unghie per paura di fargli male".

A casa Rasero, però, il suo bambino è stato seviziato: il cranio sfondato, lividi sul collo, bruciature di sigaretta sul corpo. Katerina era in quella casa. Ed era piena di coca. Non era in sé? Non ricorda? Non ha visto? Pare che quella sera lei e Rasero, il broker ventinovenne oggi in carcere con l’accusa di omicidio volontario, stessero litigando.

Si conoscevano da poco più di un mese e non avevano molto in comune: a fare da collante, pare, la passione per la coca e l’amico Paolo Calissano, finito anche lui in carcere per una storia di morte e droga nel 2005. Era stato lui a presentare Katerina a Rasero. Coca, coca, coca. "Mi ha rovinato la cocaina" ha detto Rasero dalla prigione.

Lui l’ha ammesso, Katerina non ancora. Sta facendo i test tossicologici e pare abbia smesso. Poi se ne andrà per un po’. Cerca un equilibrio. È uscita di prigione, non dall’inferno. 

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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