"Ecco la verità sull'attacco ad Hacking Team"
Hacking Team, ufficio stampa
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"Ecco la verità sull'attacco ad Hacking Team"

David Vincenzetti, produttore di software antiterrorismo, nega coinvolgimenti nel caso Regeni: "L'aggressione nasconde rischi per la nostra sicurezza"

È peggio di una storia di spionaggio. David Vincenzetti, che di spionaggio informatico ne sa davvero parecchio, è inquieto, preoccupato. La società che ha fondato nel 2003 a Milano, la Hacking Team, produce sofisticati sistemi software d’intrusione, impiegati nelle indagini e nell’antiterrorismo dalle Polizie e dai servizi segreti di una quarantina di Paesi.

Proprio negli ultimi mesi la HT stava uscendo dalla grave crisi d’immagine provocata dal disastroso hackeraggio subìto nel luglio 2015 e finito sui giornali di mezzo mondo. Ma oggi Vincenzetti denuncia di essere "finito sotto un nuovo attacco concentrico" su tre lati: uno politico, uno giudiziario e uno mediatico.

L’attacco del ministero
Oggi Vincenzetti, se possibile, è ancora più preoccupato di nove mesi fa. A partire dal primo dei tre attacchi: "Il ministero dello Sviluppo economico ha deciso inspiegabilmente di ostacolare le nostre operazioni all’estero" dice. Dal 31 marzo, il ministero ha revocato alla HT l’autorizzazione globale che aveva concesso esattamente un anno fa, nel 2015.

"Senza un’autorizzazione specifica su ogni operazione" spiega Vincenzetti "non possiamo più consegnare all’estero alcun nuovo prodotto, né provvedere al suo tempestivo aggiornamento. I nostri clienti istituzionali stranieri ci segnalano già che sono costretti a usare prodotti diversi, anche se di qualità assolutamente inferiore. Questo, per noi, equivale al blocco totale del nostro lavoro. E potenzialmente alla fine dell’azienda".

In effetti, è così: la HT produce virus capaci di entrare in cellulari e computer di presunti criminali e terroristi; ma ogni prodotto deve essere aggiornato di continuo, proprio per eludere le protezioni che vengono ideate.

La revoca ministeriale cancella di fatto il diritto per la HT di vendere liberamente i suoi prodotti in 46 Stati, elencati in ordine alfabetico dall’Australia al Vietnam. Ma è generica e sibillina sui motivi alla base della decisione: "Alla luce delle mutate situazioni in alcuni dei citati Paesi" si legge nel documento "e sentiti anche i ministeri degli Esteri, dell’Interno e della Difesa, ritiene più opportuno che da oggi la società utilizzi l’autorizzazione specifica individuale".

È vero che tra i 46 Paesi ne compaiono alcuni dove la "situazione politica" crea qualche apprensione, per esempio l’Egitto o la Thailandia. Ma la grande maggioranza degli Stati dell’elenco è al di sopra di ogni sospetto. E in alcuni casi (Australia, Svizzera, Stati Uniti…) si tratta di governi che non solo sono democratici al 100 per cento, ma anche stretti alleati dell’Italia.

Insomma, non si capisce la logica stessa del provvedimento. Se è la "mutata situazione politca di alcuni Paesi" a fare paura, perché il ministero non blocca le operazioni soltanto con quelli? Perché ostacolare i rapporti della HT con tutti?

L’attacco giudiziario
L’unica motivazione possibile, che però non compare affatto nella revoca ministeriale, è legata al secondo lato dell’attacco concentrico contro la HT di cui parla Vincenzetti: un’indagine aperta dalla Procura di Milano per il reato di esportazione illecita. La legge 96 del 2003 prevede da 2 a 6 anni di reclusione per chi "effettua operazioni di esportazione di beni a duplice uso (cioè software e tecnologie che possono avere un utilizzo sia civile, sia militare, ndr) senza la prescritta autorizzazione ovvero con autorizzazione ottenuta fornendo dichiarazioni o documentazione false".

Questo, però, non pare il caso di HT: dall’aprile 2015 la società ha sempre avuto dal ministero "un’autorizzazione globale" a esportare i suoi prodotti, per quanto assai "delicati" dal punto di vista strategico. "Ma allora com’è possibile un’indagine nei miei confronti per esportazione illecita?" domanda Vincenzetti. Il manager non si dà pace: "Ai miei legali, i magistrati hanno detto solo che si tratta di un atto dovuto".

Qualche spiegazione può forse venire da un articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 26 marzo, cinque giorni prima del provvedimento ministeriale. È proprio il Corriere a dare notizia dell’indagine milanese contro Vincenzetti, e a metterla in collegamento con la possibilità che certi "Stati acquirenti possano avere fatto del software-spia un uso repressivo di dissidenti interni, mnoranze, stranieri".

Il giornale prosegue adombrando l’ipotesi che il regime egiziano abbia monitorato il telefono di Guido Regeni impiegando i software della HT. "A parte il fatto che queste sono appena ipotesi giornalistiche senza alcuna prova, e a parte il fatto che nessuno ci accusa di un fatto del genere" protesta Vincenzetti "sarebbe un po’ come indagare un produttore di armi che avesse regolarmente fornito a un negoziante la pistola poi finita per vie traverse nelle mani di un rapinatore o di un killer".

L’attacco mediatico
L’ipotesi di un coinvolgimento nel caso Regeni indigna Vincenzett
i. Lo scuote profondamente. "Perché l’attacco contro di noi si sta ampliando ed è anche mediatico" dichiara. "Perché anche su altri giornali si cerca di farci passare per operatori spregiudicati, in qualche modo responsabili dell’orrenda fine di Regeni. Ma non è così, io mi ribello! Non esiste la minima prova di un nostro coinvolgimento. Per di più, da sempre, svolgiamo accurate indagini su ogni esportazione, allo scopo di evitare rischi di un utilizzo improprio dei nostri software".

Vincenzetti sta cercando di opporsi per le vie legali alla decisione ministeriale, ma intanto resta sotto attacco e sembra molto preoccupato. Forse per questo, alla fine, si decide a lanciare un’accusa pesante: "Io leggo una continuità in tutti questi attacchi, a partire dall’hackeraggio che abbiamo subìto nel luglio 2015, ma sicuramente anche da prima. E sullo sfondo intravvedo una mano politica importante".

Il movente dell’attacco? "Di certo" risponde "abbiamo fatto molto male a qualcuno con l’ausilio tecnologico fornito alle forze dell’ordine per combattere la criminalità e scoperchiarne la connivenza con la politica, come ad esempio è accaduto nell’indagine su Mafia Capitale".

Di più non vuole dire, il fondatore della HT. Ma poi aggiunge elementi davvero inquietanti: "Anche in Italia, alcuni inquirenti di livello molto elevato mi rivelano, confidenzialmente, di essere stati sottoposti a pressioni dall’alto per motivi politici che non comprendo. Lo hanno confermato anche ai miei collaboratori: qualcuno li spinge a chiudere i rapporti con noi. Il risultato è che le nostre forze dell’ordine da mesi non hanno più la nostra assistenza tecnica, non dispongono di sistemi aggiornati. E questo, nella prevenzione anticrimine e antiterrorismo, è un fatto gravissimo".

 

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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