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Ansa- foto Franco Silvi
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Tragedia all'Argentario: è nei geni la predisposizione al suicidio?

Loredana Busonero si è suicidata dopo sparato al figlio con la pistola di ordinanza. Nella sua vita il dolore mai superato del suicidio del padre

Loredana Busonero, all’alba di una caldissima giornata di fine luglio, ha sparato al figlio diciassettenne Francesco, mentre il ragazzo era ancora a letto a dormire. I soccorritori, allertati immediatamente dalla madre della donna, lo troveranno supino, agonizzante con un unico colpo di pistola alla nuca.

Lei, Loredana, comandante della Polizia Municipale del Monte Argentario, morta accanto a suo figlio con la pistola ancora in mano e un unico foro sulla tempia. Sembrerebbe un omicidio-suicidio come, purtroppo, ne avvengono molti.

Suicida come il padre

Eppure questo fatto di cronaca racchiude in sé degli aspetti ancor più drammatici dell’ultimo folle gesto compiuto, il 27 luglio, dal Comandante Busonero. La donna, 55 anni, aveva vissuto un’intera vita con un dolore che non era mai riuscita a superare: la morte suicida, 31 anni fa, del padre.

Un dolore che non era stato cancellato neppure con la nascita del figlio Francesco che il 2 agosto avrebbe compiuto 18 anni, e forse reso ancor più pesante dalla morte due anni fa, anche del marito.

Un 'tradimento' mai superato

Ma il suo tormento era comunque rimasto il suicidio del padre che lei ha sempre considerato come “tradimento”. Un tarlo nella sua mente quel suicidio, che ieri lei ha deciso di emulare.

Dunque, la figlia finisce la propria vita come il padre. E il caso di Loredana, non è certamente il primo che fa registrare in ambito familiare più suicidi. Ma si può o no parlare, in questi casi di predisposizione genetica?

“Questo tipo di azione va letta in una dimensione complessa di tipo bio-psicosociale. In questi casi può esserci una predisposizione genetica a forme di "depressione maggiore", che in condizioni di crisi esistenziale ed in assenza di cura farmacologica e/o di una psicoterapia, può "slatentizzarsi" e condurre anche a gesti tragici come questo- spiega a Panorama.it,Laura Volpini, Docente di Psicologia Sociale Forense all’Università degli Studi di Roma "Unitelma-Sapienza"- d'altra parte il suicidio rappresenta una sorta di  strategia di "fronteggiamento" dei problemi, seppur disfunzionale e purtroppo irrimediabile, che viene appresa all'interno di modelli familiari”.

E Loredana Busonero, aveva vissuto in giovane età il dramma del padre. Un dramma che non voleva far provare al figlio.

Perchè uccidere anche il figlio

“Ritengo che nel ripetere il gesto paterno, Loredana Busonero, abbia introdotto  una drammatica variante, quella di uccidere anche il proprio figlio, per evitargli quel senso di tradimento che lei continuava a contestare ancora dopo tanti anni a suo padre e che evidentemente non aveva superato”.

“Questa grave difficoltà nel comprendere un gesto di estremo autolesionismo, questa grave difficoltà nell'elaborare un lutto, ci indica un aspetto della personalità,  tipico di coloro che arrivano a togliersi la vita- continua Volpini- ovvero una forma di "rigidità" mentale e relazionale, che lascia poco spazio ai compromessi, alle mediazioni con se stessi e con gli altri e porta facilmente ad una delusione personale ed esistenziale”.

Ogni caso, ovviamente, è unico e porta con sé quel dramma e quel dolore profondo e disperato che spinge a compiere gesti così estremi come ad esempio togliere la vita ad un figlio o ad un altro familiare.

Cosa scatta nella mente dell'omicida-suicida

“Gli omicidi-suicidi familiari (mass-murder) possono avere diverse matrici alla base della criminogenesi. Ad esempio, si può assistere ad un omicidio-suicido per vendetta, che serve a punire per esempio un ex-coniuge che impedisce la frequentazione dei figli; ricordiamo a questo proposito il caso delle gemelline Schepp, di cui si presume la morte ad opera del padre”.

“Si può assistere ad un omicidio-suicidio per disperazione economica – prosegue Laura Volpini- così come si può assistere ad un omicidio-suicido per disperazione esistenziale, in cui la propria vita viene sentita come insostenibile e come troppo faticosa da sostenere mentalmente ed emotivamente. Ritengo che il caso dell'Argentario appartenga a quest' ultima tipologia”.

Il ruolo dell'arma di ordinanza

Forse, alla base del gesto, quella disperazione esistenziale per il “tradimento” paterno mai superato. Ma Loredana Busonero avrebbe ucciso e si sarebbe uccisa se non avesse avuto la disponibilità di un'arma?

“Sotto il profilo criminolgico e vittimologico la disponibilità di un'arma costituisce una forma di "autonomia relativa situazionale", ovvero, in caso di crisi personale e di gravi conflittualità, può costituire un coadiuvante che facilita e favorisce l'azione criminale e/o suicidiaria”.

La paura di chiedere aiuto

“In altre parole, se la Comandante non avesse avuto a disposizione la sua arma di ordinanza, avrebbe avuto certamente più difficoltà a scegliere e a realizzare altre modalità per uccidere il proprio figlio adolescente e per uccidere se stessa. Si può anche ipotizzare- conclude la professoressa Volpini- che il suo ruolo professionale, abbia costituito un deterrentenella richiesta di un aiuto psicologico e/o psichiatrico, per evidenti paure di essere penalizzata all'interno del suo corpo istituzionale, se si fosse venuti a conoscenza del suo stato di prostrazione e vulnerabilità psichica ed emotiva”.



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Nadia Francalacci