Tiziana (suicida per vergogna) e lo stupro di Rimini: se il video è un'arma
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Tiziana (suicida per vergogna) e lo stupro di Rimini: se il video è un'arma

Due casi diversi ma tragicamente legati: la donna che si uccide per il filmato virale e la violenza su una ragazzina ripresa dalle amiche e diffusa in chat

Tiziana C. si è uccisa, a 31 ani, sopraffatta dalla vergogna. Non aveva colpe, ma aveva commesso l'errore di girare dei video hot che, a sua insaputa, erano finiti sul web diventando virali, con tanto di nome e cognome. Una spirale di vergogna che l'aveva costretta a fuggire dal suo comune di residenza, e che ieri l'ha portata a suicidarsi nell'abitazione dove viveva da qualche tempo, con la madre, a Mugnano, in provincia di Napoli. La donna, 31 anni, aveva ingaggiato anche una battaglia legale per il diritto all'oblio.

Il diritto all'oblio

Il suo avvocato, Roberta Foglia Manzillo, aveva ottenuto di recente dal tribunale di Napoli nord un provvedimento d'urgenza, ex articolo 700, con il quale si intimava a un social network di rimuovere post, commenti e contenuti multimediali relativi alla donna. Ma il danno ormai era stato consumato: malgrado lei avesse anche avviato le procedure per il cambio di cognome, la diffusione capillare delle immagini, della sua foto, delle generalità era una ferita non rimarginabile. Sul web la vicenda della donna rimbalza da tempo. C'è chi riferisce di un precedente tentativo di suicidio, chi descrive il progressivo aggravarsi della sua depressione.

Diffusione virale

La vicenda sarebbe iniziata come un gioco: lei stessa avrebbe inviato quelle immagini a un ristretto numero di amici, uno dei quali l'avrebbe tradita trasmettendo il video a qualcun altro. E così via, in una catena di inarrestabile diffusione. Le immagini erano finite praticamente ovunque, siti porno compresi, dando vita sul web a una catena di insulti e dileggi. Alta, bruna, capelli lunghi e sguardo intenso, un fisico da modella. Tiziana lavorava nel locale di cui erano titolari i genitori, in provincia di Napoli, e in seguito alla diffusione dei video era stata costretta prima a lasciare l'attività, poi a trasferirsi fuori Campania. Di recente era tornata in provincia di Napoli, a Mugnano, a casa di una parente. Ma il peso di questa vicenda si era fatto insostenibile, in un crescendo di angoscia e depressione, fino al tragico epilogo di ieri sera.

Il caso di Rimini

E in queste ore si parla di un'altra tragia vicenda legata alla diffusione di video in rete. I fatti su cui sta indagando la magistratura risalgono a qualche tempo fa e vedono coinvolta una 17enne residente nel Riminese. Completamente ubriaca viene violentata da un ragazzo, nel bagno di una discoteca, mentre le amiche riprendono la scena con un telefonino e diffondono il video su WhatsApp.  In un sabato sera come tanti, la giovane, nel locale insieme alle amiche, beve abbondantemente - ancora non è chiaro se di sua iniziativa o se sia stato convinta a farlo - al punto da non capire quasi più niente, come lei stessa racconterà, successivamente, agli inquirenti. Trascinata in bagno da un ragazzo di origine albanese, conosciuto di vista, la 17enne avrebbe subito violenza: la scena è stata ripresa dalle amiche, arrampicate nella toilette di fianco, con un cellulare.

Nel video - riporta la stampa locale - non si vede la vittima in volto ma le immagini mostrano come la ragazza fosse completamente inerme, in balia del giovane. In sottofondo le risate di chi ha filmato la scena, forse convinta si trattasse di uno scherzo di poco rilievo. Visto il filmato, caricato su WhatsApp (non si sa a quante persone sia stato inviato: gli inquirenti dovrebbero avere già bloccato tutto) la 17enne si è rivolta alla madre che, a sua volta, si e' recata dai Carabinieri. La denuncia è subito giunta sul tavolo della magistratura riminese ed è stato aperto fascicolo per violenza sessuale. L'indagine degli investigatori - che hanno immediatamente sentito la ragazza i cui ricordi della serata sono nulli o molto sfumati - è concentrata sull'individuazione del presunto stupratore attraverso interrogatori e accertamenti.

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Redazione