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Terremoto: i volti e le storie degli sfollati

C'è la signora di 101 anni, lo studente straniero, il volontario. E tutti hanno una cosa in comune: la grande paura

Il volontario, l'anziana, lo studente, l'immigrato.... sono tantissme le storie che si intrecciano in queste ore drammatiche, nelle sistemazioni provvisorie dove sono alloggiati gli sfollati colpiti dalle ultime scosse di terremoto.

Italo, ex operaio: come 20 anni fa

"Pensavo di aver chiuso con la paura nel 1997. E invece mi ritrovo ancora una volta a dormire in macchina o in un palazzetto, senza potermi fare una doccia per giorni. Io rivoglio la mia privacy". Italo Belardinelli è uno delle centinaia di sfollati di Camerino che da ieri vive nel dormitorio allestito in uno dei palazzetti dello sport: decine e decine di brande fin dentro le porte da calcetto, uomini, donne, anziani e bambini uno vicino all'altro. Ma non è polemica, la sua. Solo un ragionare su quali siano davvero le esigenze più importanti per uno sfollato. Italo ha 57 anni, è un ex operaio della Merloni di Fabriano. Vent'anni fa il terremoto lo sorprese quando era in fabbrica, ma la casa dove abitava è la stessa di oggi, nel centro storico di Camerino. "È devastata - racconta - la scossa dell'altra sera ha spaccato tutto, vetri, mobili, bottiglie, non è rimasto nulla di sano". La prima preoccupazione di Italo è stata portare fuori i genitori ottantenni: la prima notte i tre l'hanno passata nella Punto grigia di Italo, la scorsa al palazzetto. "Dopo il terremoto del 1997 - dice ancora - abbiamo passato cinque mesi nelle tende, un paio d'anni nei container e poi siamo potuti rientrare a casa. In quel periodo non ci hanno fatto mancare niente, sia chiaro, ma spero di non doverlo rivivere". Come si augura di non essere più testimone di scosse come quella dell'altra sera. "Una cosa così non l'avevo mai provata in vita mia, se durava un altro po' mi prendeva un infarto. Pensavo di aver chiuso con la paura, invece eccoci di nuovo qui...

Lina, la centenaria

"Come vuole che sto? Sono triste. E poi mi guardi, ho i capelli che sembro Grillo". Lina Misici si fa una risata di cuore e si volta verso l'infermiera che l'assiste nel palazzetto dello sport di Camerino: è la sfollata più anziana del paese, tra due mesi compirà 101 anni. Lina è praticamente un'istituzione della cittadina, anche se ormai ci sente poco e da tempo non lavora più. Ma è stata la postina per 19 lunghi anni, raccontano i parenti e le persone che non la lasciano sola un attimo e l'aiutano ad alzarsi dalla branda per sgranchirsi un po' le gambe. "È l'occhio di Camerino, sa la storia di tutti e se venivi prima del terremoto la trovavi sempre sulla panchina su in paese. Potevi chiederle di chiunque e lei sapeva sempre qualcosa che lo riguardava". La casa di Lina non è crollata, ma come tutti gli altri anche lei è scappata. I parenti sono corsi a prenderla dopo la prima scossa. "Ho paura del terremoto, certo che ho paura del terremoto - dice - Non vedi che trema tutto ancora? Io non chiedo nulla, ma vorrei soltanto che queste scosse la finiscano, così posso finalmente tornare a casa". Ma si sta male qui dentro? "No, stanotte ho anche dormito. Ma io non ci voglio stare", conclude.

Martin, che avrebbe dovuto laurearsi

Sul computer di Martin c'è aperta una pagina scritta in italiano e in inglese, "Miglioramento dell'accessibilità ai farmaci in Africa": è il titolo della tesi che avrebbe dovuto discutere proprio oggi, ma la scossa di due giorni fa ha fatto saltare tutto. E così, seduto sulla branda in fondo al palazzetto dello sport di Camerino, a Martin non resta che ripassare, sperando che l'università riapra al più presto. Martin Lekemo è arrivato in Italia dal Camerun anni fa, con una borsa di studio. Ma poi i genitori sono morti e lui si è messo a lavorare. "Al teatro delle Muse di Ancona - racconta - poi in una ditta di materiali plastici e poi a Ferrara, in un'azienda agricola. Poi ho fatto anche l'assistente ai disabili a Venezia". Alla fine si è rimesso a studiare, un corso di laurea breve all'università di Camerino. "Devo scrivere al presidente della Repubblica - dice sorridendo - sono orfano e non dovrei pagare le tasse universitarie. Invece le pago eccome". La sera del terremoto Martin era all'università "È stata una cosa incredibile, non sapevo cosa fosse. Il panico e l'istinto di sopravvivenza mi hanno fatto uscire di corsa ma c'era una signora che non riusciva a muoversi. Così l'ho presa, l'ho tranquillizzata e l'ho aiutata ad uscire". E ora cosa farai?. "Discuto la tesi, ovvio. Tra i relatori c'è anche il professor Vittorio Colizzi, che con Montagner è uno dei più grandi esperti di Hiv. Appena riapre l'università, io sono pronto. E poi mi prendo una laurea in farmacia".

Lazzaro, dall'Aquila per fare il volontario

Lazzaro stringe la mano con sicurezza e sorride quando gli chiedi cosa deve fare in questo palazzetto dello sport che ospita centinaia di sfollati del terremoto: "io non devo fare, io voglio fare". Lazzaro Spinelli ha 56 anni ed è un volontario, fa parte dell'associazione 'Salvati Onlus', una delle organizzazioni del sistema di protezione civile che sono qui a Camerino per dare una mano. Lui, che viene da L'Aquila, sa bene cosa significa essere sfollato, aver perso tutto in dieci secondi. "Non so più neanche quanti anni sono che faccio terremoti - racconta - qui siamo arrivati ieri mattina presto con un furgone carico di acqua e coperte, sono le cose più importanti nelle prime ore dell'emergenza". Ma come si vive da sfollati? "Il primo disagio è la mancanza di privacy - spiega Lazzaro -, guarda come stanno queste persone, non c'è alcuna possibilità di avere un istante per sé. E poi c'è il problema dei bagni, qui ci sono trecento persone e i bagni sono solo cinque. Puoi immaginare cosa succede la mattina o la sera". Ma non solo. Essere sfollati, dice ancora, "è un po' come essere prigionieri". In che senso? "C'è sempre qualcuno che decide per te, che ti dice cosa fare e ti dà quello di cui hai bisogno. È un po' come essere in galera". Lazzaro ci pensa un attimo, "beh, forse un po' meglio della galera". Poi prende la sua scopa e ricomincia a pulire tra le brande".

Zouhaer: Andiamo avanti per i nostri figli

"Come la vedo? la vedo dura, qui rischiamo di perdere anche la dignità. Non si può vivere cosi'. Ma dobbiamo rimboccarci le maniche e andare avanti, lo dobbiamo fare per i nostri figli". Zouhaer Tabbassi viene dalla Tunisia, dove è nato 34 anni fa. A Camerino c'è arrivato nel 2003 come studente. Un progetto della Regione Marche con la Tunisia invitava i giovani laureati a venire nelle zone colpite dal terremoto - quello del 1997 - e lavorare nell'edilizia. Ma Zouhaer a Camerino c'è rimasto: ha conosciuto una ragazza del paese, Simonetta, e l'ha sposata; tre anni fa è nata Gaia Karima, una bimba dai capelli ricci e gli occhi scuri e profondi. La famiglia Tabbassi vive fuori dal centro storico, Zouhaer continua a lavorare nell'edilizia, "faccio l'operaio" dice con orgoglio, Simonetta in un supermercato. "Casa nostra forse sta bene - dice - non sembrano esserci tanti danni visibili ma io non mi fido. Prima deve venire qualcuno a controllare e poi, se mi dicono che è ok, forse rientreremo". Forse? "Certo, perché la casa potrà pure essere a posto ma la paura dove la metti? Ce n'è tanta, davvero. L'abitudine alle scosse ce l'abbiamo, ma così è troppo. Uno spera sempre che sia l'ultima e invece poi ne arriva sempre un'altra, sempre più forte"


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ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Lina Misici, 101 anni, in uno dei tre dormitori allestiti dalla Protezione Civile a Camerino dopo il terremoto, 28 ottobre 2016

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