Amatrice 2018
ANSA/FRANCESCO PATACCHIOLA
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Terremoto in Centro Italia: il racconto dei sindaci rimasti soli sulle macerie

Da Amatrice ad Arquata del Tronto, dopo due anni la ricostruzione è un miraggio. Tra burocrazia e norme, i primi cittadini spesso hanno le mani legate

Visto da Milano o Palermo, il terremoto del Centro Italia è un lontano ricordo che risale al 24 agosto 2016 e che torna alla ribalta per le passerelle dei politici e per le ricorrenze, come il secondo anniversario che cade proprio in questi giorni. Vissuto da Amatrice e Arquata, il sisma che ha colpito le Marche, l'Umbria e il Lazio è un mondo capovolto di colpo dove ti ritrovi circondato da morte e distruzione, dentro un incubo infinito, sincopato da tante piccole e grandi scosse che non si sono mai arrestate.

L'istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia ne ha registrate oltre 92 mila, a partire dalla prima fino a quelle dello scorso 18 agosto, delle quali 9 di magnitudo pari o superiore a 5. La media è di circa 126 al giorno, 5 ogni ora. Qualcosa di impossibile da comprendere per chi sta lontano, quanto da vivere per chi, cascasse il mondo, non smonta le tende e non lascia la propria terra.
E allora ti sottometti a una nuova quotidianità dove lo specchio trema mentre ti fai la barba o ti trucchi, dove sul fornello l'acqua del tegame straborda nonostante sia ancora lontana dall'ebollizione. E lo sguardo si posa attonito sul display sempre acceso di un sismografo, a cui la terra non concede una giornata di tregua.

Acquasanta Terme non è morta e progetta

Acquasanta Terme contava 3 mila abitanti in 53 borghi disseminati tra i monti della Laga e i Sibillini. Nello stesso comune c'erano una frazione situata a 350 metri sopra il livello del mare e un'altra a mille. Ci venivano tanti forestieri, attratti dalla vecchia piscina dentro la "grotta sudatoria", facevano il bagno, poi un giro per le vie del paese, si innamoravano del posto e con 20 mila euro compravano una casetta da ristrutturare. Così il numero degli abitanti in estate raddoppiava.

Le 15 frazioni più grandi avevano ciascuna il loro patrono, la festa, la processione. Il sindaco si chiama Sante Stangoni, ha 41 anni, è stato eletto due mesi prima del sisma. Di quella notte ha un ricordo tremendo: lunga, lunghissima, non finiva più. Le facce smarrite dei cittadini, le coperte sulle spalle, gli sguardi attoniti. Il pianto.

Due anni dopo, Stangoni siede dietro la scrivania nel nuovo ufficio del municipio che ha sede dentro una casetta di legno, e rivendica con orgoglio di esser riuscito a trattenere sul territorio ben 2.800 abitanti. Nei giorni successivi al terremoto un consigliere comunale si è improvvisato agente immobiliare, ha cercato i proprietari delle abitazioni agibili ma vuote (le seconde case) e li ha messi in contatto con chi era rimasto senza un tetto e aveva bisogno di una sistemazione in affitto. "Volevo impedire che le persone rimanessero a lungo negli alberghi della costa" racconta Stangoni. "Se oggi mi fossi ritrovato con mille abitanti, Acquasanta sarebbe morta".

Così, prima di Natale, nonostante l'altra tremenda scossa di ottobre, dei 1.200 sfollati riparati negli hotel, 800 avevano già fatto ritorno. Stangoni parla della scuola e della verifica fatta all'edificio, due giorni dopo il terremoto. "Da fuori sembrava tutto a posto" rammenta, mentre la voce si spezza e gli occhi non trattengono le lacrime. "Ma una volta dentro abbiamo capito subito che non ci sarebbe mai più entrato nessun bambino".
Dal ministero parlano di container, Stangoni alza la voce, fa valere la sua competenza professionale di geologo, non vuole l'alluminio: 47 giorni dopo Acquasanta apre la nuova scuola in legno su 1.100 metri quadrati. "Non dimenticherò mai il giorno dell'inaugurazione" dice il sindaco. "Le mamme commosse, gli abbracci, la soddisfazione".

Dal giorno dopo il sindaco ha come obiettivo la riapertura della piscina dentro la rinomata "grotta sudatoria". Il progetto da 6 milioni di euro è stato approvato nonostante la levata di scudi di chi riteneva che quei soldi dovessero andare direttamente alle famiglie. "Bisogna far ripartire il territorio, altrimenti è finita". Anche perché in molte frazioni si aspettano ancora i sopralluoghi per procedere con le demolizioni, la ristruzione è un miraggio.

Amatrice: ora il momento più difficile

Sono idee chiare come quelle di Filippo Palombini, primo cittadino di Amatrice, il paese che ha pagato il prezzo più alto in vite umane: 239 su un totale di 299 morti causate dal sisma. Gli abitanti erano 2.700, di fatto ogni sopravvissuto ha perso un parente o un amico caro. Il 90 per cento degli edifici è inagibile, il centro storico letteralmente spazzato via.
Amatrice contava 69 frazioni in 174 chilometri quadrati di territorio, 113 chiese, di cui 13 solo nel centro storico. Tutte chiuse. Palombini era il consigliere delegato all'urbanistica e "vice" del vecchio sindaco Sergio Pirozzi, che a maggio è stato eletto al consiglio regionale e si è dimesso.

"La gestione dell'emergenza ha funzionato, quello che è venuto dopo no" afferma con lucidità il nuovo sindaco. "Parlavano di casette per tutti gli sfollati entro 7 mesi, dopo due anni stiamo consegnando le ultime. La gestione del terremoto ha pagato una politica nazionale debole, la campagna elettorale, lo stallo dopo le elezioni. Avremmo avuto bisogno di un uomo determinato legittimato da un governo forte".

A due anni dal terremoto, Palombini dice che questo è il momento più difficile: "Il primo anno c'è l'adrenalina del dolore, il secondo la speranza che deriva dall'avere finalmente un tetto, ora si sente forte il peso della precarietà, la paura del futuro mentre fatichi economicamente ad arrivare a fine mese. Per questo è fondamentale sostenere la ripartenza delle attività che deve procedere di pari passo con la ricostruzione, altrimenti quando arriveranno le nuove case la gente se ne sarà già andata. Devi trattenere le persone, offrire loro una prospettiva. La nostra è una popolazione anziana, va assistita, ma per il futuro devi puntare sui ragazzi, spingerli a investire su Amatrice. Per questo vogliamo riportare qui la scuola alberghiera, che al momento è a Rieti. Per questo abbiamo costruito un palazzetto dello sport, la casa della montagna, le piste di sci e snowboard con fondo sintetico, la scuola di vela. Per aggregare, per crescere e far tornare a vivere il paese, che verrà ricostruito con la sua identità ma con materiali all'avanguardia da un punto di vista tecnologico e della sicurezza. Un giorno si arriverà apposta da lontano per visitare questo nuovo borgo di cui racconteranno le meraviglie".

Arquata del Tronto svuotata 

Quello di Palombini non è un sogno, ma un progetto concreto che spera di realizzare nell'arco di un decennio. Chi non riesce a fare delle previsioni è Aleandro Petrucci, sindaco di Arquata del Tronto, 51 morti su 1.200 abitanti quasi tutti sfollati, 97 per cento di patrimonio edilizio inagibile nelle 14 frazioni, 1.800 case da rifare. Due anni dopo, 565 persone sono state sistemate nella casetta in legno, una quarantina di famiglie sono rientrate nelle proprie case, altrettante stanno ancora negli alberghi sulla costa. Ma la regione ha dato un ultimatum: entro fine agosto tutti dovranno trovare una sistemazione autonoma. Sono state rimosse 235 mila tonnellate di macerie, ne rimangono la metà.

Chiediamo a Petrucci quando partirà la ricostruzione. "Bella domanda" sbotta, allargando le braccia. "Non abbiamo la più pallida idea del quando e neppure del dove ricostruire". Intanto i più vecchi muoiono, mentre i giovani se ne vanno. Dal giorno del terremoto a oggi il sindaco ha celebrato tre matrimoni: se ne sono andati tutti via dalla città. Chi resta e ha una certà età, dopo una giornata nell'orto e la felicità di un raccolto di 50 chili di patate, una volta arrivato davanti alla casetta di legno si arrende sconsolato: e ora dove le metto, sotto il letto?

Accumoli, il progetto c'è ma tutto è fermo 

Frustrazioni che si scaricano spesso sui sindaci. Ne sa qualcosa Stefano Petrucci, primo cittadino di Accumoli, 670 residenti ma 2.500 presenti la notte del terremoto: 11 vittime, più altri 6 concittadini rimasti sotto le macerie di Amatrice. Petrucci ha raccolto proposte per il futuro, ha studiato i dati geologici del territorio e ha elaborato un progetto condiviso che intende ricostruire nelle stesse frazioni crollate. Ma se non ci si sbriga a togliere le macerie, non si può partire con i rilievi sul terreno. La macchina è ferma, la gente non capisce.

"Noi sindaci siamo stretti in una tenaglia" spiega Petrucci. "Da una parte c'è il cittadino con le sue esigenze, dall'altra ci sono i livelli decisionali superiori, la burocrazia, le norme, la soprintendenza. Hai le mani legate, stai in mezzo e muori di freddo. Pensavo che il dolore finisse per compattare la comunità, invece si sono acutizzate gelosie e rancori. Una sorta di tutti contro tutti alimentato anche da notizie false girate sui social network, che hanno accresciuto il malcontento contro le istituzioni. Senza considerare quelli che pensano basti essere terremotato perché tutto ti sia dovuto".

Castelsantangelo sul Nera: obiettivo villeggianti

Mauro Falcucci ha 66 anni, è stato sindaco dal 1990 al 2004, poi rieletto nel 2014, a Castelsantangelo sul Nera, 272 abitanti in inverno, ben 4.000 persone presenti la notte del primo terremoto. Delle 1.100 abitazioni allora censite (927 ora inagibili), la maggior parte erano seconde case, un "buen ritiro" per fine settimana e vacanze. E sono proprio i villeggianti il primo obiettivo di Falcucci. "Se non riusciremo a trattenere quelli che venivano qui nella casetta di famiglia, i nostri sforzi saranno stati vani" si accalora il sindaco. "Ci vogliono tutele speciali, benefici fiscali, devi fare di tutto per tenere legata questa gente, altrimenti la ricostruzione fine a sé stessa diventerà solo un gigantesco spreco di denaro. Bisogna decidere cosa si vuole fare della montagna, se vuoi che sia popolata e che la gente torni, allora devi creare le condizioni perché possa vivere bene e vedere un futuro, una prospettiva economica per i figli".

Perché il terremoto è una disgrazia che ti colpisce quando meno te lo aspetti. Ti uccide o ti lascia in ginocchio. E per rialzarsi ci vuole una visione chiara del futuro.


(Articolo pubblicato sul n° 36 di Panorama in edicola dal 23 agosto 2018 con il titolo "Noi rimasti da soli con la fascia tricolore su una montagna di macerie")


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Carmelo Abbate