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Stupro di Rimini: in carcere i quattro aguzzini

I gip di Rimini e Bologna hanno convalidato l'arresto. Il sedicenne nigeriano si dice pentito. Ma dai racconti dei quattro emergono dettagli raccapriccianti

Giovanissimi, spietati con personalità forti, prive di freni inibitori. Bugiardi. Ci sono voluti dodici giorni di indagini serratissime per dare un volto alle “belve” di Rimini, i quattro componenti del branco che la notte del 26 agosto, hanno stuprato una giovane polacca, aggredito e picchiato brutalmente il suo compagno e, ancora non soddisfatti, hanno abusato poco dopo di un transessuale peruviano.

Tre minorenni su quattro

Guerlin Butungu, considerato il leader del gruppo, rintracciato su un treno a Rimini all'alba di domenica, i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni che sabato si sono costituiti ai Carabinieri di Montecchio e il nigeriano 16enne fermato dalla polizia a Pesaro, nel corso degli interrogatori, davanti agli investigatori, si sono “rimpallati” le responsabilità.

Tutti e quattro hanno negato di aver violentato la ragazza polacca e la transessuale e, hanno scaricato la responsabilità sugli altri componenti del gruppo. Insomma, hanno fornito quattro versioni diverse di quanto è accaduto in quella terribile e lunghissima notte d’agosto.     

Davanti ai giudici per le indagini preliminari

Oggi, finalmente, sono comparsi davanti alla giustizia italiana con accuse pesantissime che prevedono pene fino a 20 anni di reclusione: rapina, lesioni aggravate e violenza sessuale di gruppo.

E anche davanti ai gip, tutti hanno negato di aver stuprato la ragazza polacca e il trans peruviano.

Dagli interrogatori del Gip del tribunale per i minori di Bologna dei tre giovanissimi indagati è emerso in modo chiaro che le violenze sessuali nei confronti delle due vittime, sono state brutali e ripetute.

La ragazza polacca sarebbe stata immobilizzata dai complici del congolese mentre quest'ultimo abusava di lei, portata in mare e poi di nuovo sulla battigia dove sarebbero continuati gli abusi. Il suo compagno è stato pestato a sangue.

Ancora piu' violento sarebbe stato lo stupro della trans peruviana.

Dopo un incontro durato un'ora e mezza, il gip Vinicio Cantarini di Rimini, ha convalidato l'arresto di Guerlin Butungu e attorno alle ore 15.30 è arrivata anche la decisione di quello di Bologna: convalidato anche l'arresto dei tre minorenni.

Durante l'incontro con il gip, il sedicenne nigeriano, a differenza degli altri due, si sarebbe dimostrato pentito di quello che ha fatto. Uno dei tre avrebbe riferito, invece, di aver pregato Dio per non essere scoperto.

Ma chi sono le “belve” di Rimini?

Guerlin Butungu, detto il 'biondo' dalla sua gang di minorenni, conduceva una doppia vita, una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde. Fino al momento dell’arresto viveva a Pesaro. Qui, si era inserito nella comunità dei Testimoni di Geova.

Di giorno, infatti, si recava a pregare nella Casa del Regno di via Federici ma di sera, dimenticava i precetti di Geova per atteggiarsi a boss.  

Tra preghiere e droga

Spesso Guerlin Butungu di pomeriggio giocava con la Delfino Fano juniores ma con il calar del sole, per lui, spuntava la droga.

Alternava continuamente le sue prediche in strada e i suoi messaggi di pace e salvezza dell’anima su facebook, in giacca e cravatta e valigetta 24 ore, con le notti, senza freni inibitori, sul litorale romagnolo. Butungu, aveva una passione sfrenata per gli abiti di lusso.

Il capobranco non aveva precedenti penali

Insomma, nonostante la doppia vita,  fino a domenica, giorno del suo fermo, non erano mai arrivate segnalazioni a polizia e carabinieri.

Butungu era uscito ad aprile dal programma di casa Freedom di Pesaro, che ospita 15 rifugiati. Diceva agli amici di aver subito torture in Congo, dove non avrebbe più nessun parente ad eccezione di alcuni zii, e a riprova mostrava due dita di una mano paralizzate.

Sui ragazzi, secondo gli inquirenti, il 'biondo' esercitava un dominio vero. Eppure, per la responsabile della Sezione migranti della Cooperativa Labirinto di Pesaro, Cristina Ugolini,  traccia di lui un profilo completamente diverso: “Aveva un comportamento rispettoso verso i compagni e gli operatori".

Butungu era considerato "il leader"

Butungu ha imparato correttamente l'italiano, ha seguito i corsi da cameriere e secondo i conoscenti, non avrebbe mai mostrato prepotenza verso gli altri.

Una personalità completamente opposta a quella raccontata dai tre minorenni del branco.

Per i due marocchini e il nigeriano, “il biondo” è il leader del gruppo e sarebbe stato lui la mente della violenza.

Per i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni e il ragazzo nigeriano di 15, “il biondo” è il leader del gruppo e sarebbe stato lui la mente della violenza.  

Davanti alla polizia, infatti, hanno negato di aver preso parte alla violenza.

Una carriera da malvimenti

Ma al di là della notte del 26 agosto, i tre erano già avviati alla carriera di malviventi. Furti a raffica di motorini, soprusi e piccole rapine ai danni di coetanei. Un agguato solo pochi giorni prima della violenza sulla spiaggia di Miramare,  ad un gruppo di ragazzine a cui hanno preso due iPhone dopo averle pesantemente molestate.  

Nonostante continuino a negare, davanti ai carabinieri di Montecchio di Pesaro quando si sono consegnati, sabato scorso, i fratelli marocchini hanno detto: "Questa volta l'abbiamo fatta grossa".

Dopo la divulgazione delle immagini, i due fratelli, sapevano di avere le ore contate e avevano la consapevolezza che il cerchio si sarebbe stretto attorno a loro.

E’ stata la loro confessione a fornire gli indizi per arrivare agli altri due membri del branco: non hanno fatto nomi e cognomi, perché spesso i ragazzi si conoscono con dei soprannomi, ma hanno dato gli elementi utili a catturare anche i complici.

La Polonia chiede l'estradizione

Intanto la Polonia, patria di due delle tre vittime, ha fatto sapere che intende chiedere l'estradizione per gli indagati. Le autorità del polacche hanno aperto un'inchiesta autonoma e parallela per far luce sui fatti.

Un’estradizione che probabilmente non sarà facile da ottenere, perché i fatti sono avvenuti in Italia ed è l'autorità giudiziaria italiana ad indagare, tra Rimini e Bologna. Non solo, questa vicenda potrebbe  trovare collegamenti con altre aggressioni e rapine, avvenute tra Rimini e Pesaro che potrebbero essere ricondotte al branco.

Ma mentre la polizia continua a cercare nuovi elementi da ricondurre ai quattro stranieri, forse da oggi, la città di Rimini, potrà cominciare ad “archiviare” questa dolorosissima pagina di violenza che ha segnato l’estate 2017.


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Nadia Francalacci