Sei andato a lavoro in bici? L'Inail non ti paga
Giorgio Napolitano Lapresse
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Sei andato a lavoro in bici? L'Inail non ti paga

L'ente previdenziale trasforma un infortunio in malattia e non paga il risarcimento. Il motivo? Il lavoratore è andato in ufficio in bici

Addio bicicletta. Adesso per andare a lavorare bisogna esclusivamente usare i mezzi pubblici.  Lo ha “sentenziato” l’Inail di Bergamo che si è rifiutato di  risarcire una collaboratrice scolastica  che aveva deciso di recarsi a  lavorare in  bicicletta.  
Cinzia Maria Zanardi, da oltre 20 anni bidella in una scuola media in provincia di Bergamo, lo scorso 4 aprile è rimasta vittima di un incidente mentre stava percorrendo con la sua bici il tratto di strada che separa la sua abitazione dal luogo di lavoro. Un incidente “in itinere" che l’Inail, però,  non gli ha voluto riconoscere come tale. Il motivo? Sarebbe stato utilizzato un veicolo privato senza che ce ne fosse la necessità.

Secondo il direttore dell'Inail di Bergamo, Maria Aurelia Lavore, la donna per poter usufruire del risarcimento previsto per gli infortuni che possono verificarsi nel tragitto per recarsi a lavorare, avrebbe dovuto utilizzare solo i mezzi pubblici.

“In questo caso- spiega Lavore- il responso ha dato esito negativo  in quanto è stato utilizzato un veicolo privato senza che ce ne fosse la necessità, trattandosi di un percorso coperto dai mezzi pubblici. Di conseguenza non sono state ravvisate le condizioni per poter riconoscere l'infortunio come in itinere, e quindi indennizzabile”. Non solo,  l’Inail ha trasformato l’incidente della collaboratrice scolastica, in malattia decurtandole anche 15 euro dello stipendio in busta paga.

Avvocato Zina Scotti,  quando è previsto per legge il risarcimento "in itinere"?
Per infortunio in itinere si intende l’infortunio che occorra al lavoratore sul percorso per andare al lavoro o durante uno spostamento per ragioni di lavoro e la definizione normativa è contenuta nell’art. 12 del D. Lgs. 38/2000. Che recita: “Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida“.
Ma tra le l’ipotesi appena descritte quella che più spesso è fonte di diatribe è proprio quella relativa all’infortunio occorso al lavoratore in occasione del trasferimento dello stesso dall’abitazione al luogo di lavoro, o viceversa.
A tal proposito, in oramai numerosi interventi, la Cassazione ha individuato tre requisiti, perché si possa parlare di infortunio in itinere, e precisamente:
a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento ovvero tale percorso deve costituire per l’infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione.
b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa. Ciò sta a significare che non devono esserci le “divagazioni” di cui sopra o avvenga in orari non collegabili all’attività lavorativa.
c) la necessità , da accertarsi caso per caso spiega la Corte di Cassazione n. 995, dell’uso del veicolo privato.

L'Inail nel caso della bidella di Begamo si è rifiutato di pagare il risarcimento  "trasformandolo" in malattia. Ma  come sono tutelati i lavoratori che si recano sul posto di lavoro in bicicletta o con i mezzi privati?
Sul tema si è  pronunciata la Corte di Cassazione, intervenendo su una nota dell`INAIL n. 8476 del 07/11/2011, per rispondere ai numerosi quesiti sul riconoscimento o meno dell`indennizzo quando il mezzo privato utilizzato dal dipendente nel percorso casa-lavoro, o durante gli spostamenti temporanei, sia la bicicletta. Chiarito cioè che il ricorso al mezzo privato (auto o bici) è ammesso purché necessitato, ovvero dimostrando l`assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e la non percorribilità a piedi del tragitto, è evidente che la libera scelta del dipendente rappresenta proprio la linea di confine tra i tipi di infortunio. Se il lavoratore decide liberamente di percorrere il tragitto in bicicletta su strade trafficate e solitamente congestionate da numerosi veicoli in transito, in questo caso è tendenzialmente escluso l`infortunio in itinere perché il lavoratore ha scelto consapevolmente di esporsi al rischio maggiore su strada, impiegando la bici (o allo stesso modo l`auto) privata piuttosto che i mezzi pubblici, fatta salva la valutazione caso per caso sull`uso necessario della bicicletta. Nella nota infatti l`Istituto, condividendo l`interpretazione dei giudici, ribadisce che, ai fini dell`art.12 del D.lgs. 38/2000 che disciplina l`infortunio in itinere e la sua risarcibilità, non rileva la proprietà del mezzo di trasporto utilizzato, che può essere del lavoratore o di un terzo, quanto piuttosto il controllo che il lavoratore stesso può esercitare sulla guida del mezzo in condizioni di rischio maggiore. È da dire che l`utilizzo della bicicletta viene comunque maggiormente tutelato, anche quando non c`è una reale necessità e quindi anche quando il tragitto è coperto dai mezzi pubblici, purché avvenga su piste ciclabili o su strade protette; in caso contrario, quando ci si immette in strade aperte al traffico bisognerà verificare se l'utilizzo sia davvero necessario.
La questione si riduce dunque in termini di prova nel corso del giudizio.

La decisione  dell'Inail di Bergamo,  "obbliga" i lavoratori, anche a chi non può permetterselo,  a pagare un abbonamento su un mezzo pubblico…

Beh no.. non prevede alcun obbligo. O almeno non possiamo definirlo così.

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Nadia Francalacci