Ritorno a scuola: le linee guida del MIUR
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Ritorno a scuola: le linee guida del MIUR

Turni, nuovi spazi, classi piccoli e didattica a distanza. La bozza che arriva dal Ministero non piace ai presidi e preoccupa le amministrazioni locali.

Linee guida generiche dove il grosso del lavoro logistico e organizzativo è delegato alle amministrazioni locali e ai dirigenti scolastici. E' questa la prima impressione che si ha nel leggere la bozza messa a punto dal Ministero dell'Istruzione che dovrebbe fungere da cabina di regia centrale nel guidare la riapertura delle scuole a settembre. Giovedì 25 giugno il documento verrà presentato alle regioni e alle parti sindacali e dopo il confronto si trasformerà in un decreto firmato dal Ministro Lucia Azzolina.

Il ritorno presenziale in classe dovrebbe partire il prossimo 14 settembre, ma le modalità con cui questo avverrà sono ancora caotiche.

La bozza parla in termini generici di divisioni di classi in più gruppi anche d'età differenti, turni pomeridiani, possibilità di utilizzare spazi esterni alla scuola, integrazione di didattica a distanza e presenziale per gli istituti superiori e adozione delle misure di igiene e sicurezza stabilite dal Cts e cioè distanziamento di un metro, misurazione della febbre, mascherine, guanti e igienizzante.

Gli scenari prospettati sono due: nel migliore dei casi la pandemia da Covid 19 resta sotto controllo e non obbliga a un nuovo lockdown e nel peggiore invece sì. In questo secondo caso si starebbe studiando un modo per rendere migliore e più omogenea la didattica a distanza attraverso la messa a punto di una piattaforma centralizzata in grado di distribuire i contenuti didattici. Le classi presenziali dovrebbero rimanere garantite solo per gli alunni con disabilità e per i figli di personale sanitario le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione.

Nel caso, invece, in cui la pandemia dovesse rimanere sotto controllo la nuova normalità della vita scolastica dovrebbe girare intorno alle ormai note misure di igiene e distanziamento sociale previste dal Cts, il comitato tecnico scientifico. A ogni studente dovrà essere misurata la febbre prima di entrare; in classe i banchi dovranno distare almeno un metro l'uno dall'altro mentre in palestra gli alunni dovranno mantenere la distanza di due metri. L'uso delle mascherine sarà obbligatorio dai 6 anni in più, ma ancora non è definito se bisognerà portarle solo negli spazi comuni o anche in classe.

Le classi potranno essere frazionate in piccoli gruppi (anche di età differente) e le materie accorpate per affinità. La turnazione dei gruppi potrebbe determinare anche rientri pomeridiani e lezioni il sabato, mentre alle superiori la didattica presenziale potrebbe essere alternata a quella a distanza.

Per la scuola materna, invece, sarebbero previsti ingressi a scaglione e bambini che restano sempre con lo stesso piccolo gruppo e lo stesso educatore che non dovrà indossare la mascherina per essere riconoscibile dalla classe.

Se questi sono gli "ingredienti" della riapertura, la ricetta per metterli insieme è del tutto delegata alle amministrazioni locali e ai dirigenti scolastici in nome dell'autonomia ed è proprio questa la criticità maggiore evidenziata oggi dall'associazione nazionale dei preside che sottolinea: "Il piano scuola non contiene indicazioni operative né definisce livelli minimi di servizio ma si limita ad elencare le possibilità offerte dalla legge sull'autonomia, senza assegnare ulteriori risorse e senza attribuire ai dirigenti la dovuta libertà gestionale".

Antonello Giannelli, presidente dell'Anp, intervistato da Repubblica, spiega che in questa maniera si "scarica la patata bollente sui dirigenti scolastici, senza nuove risorse e attribuzioni. Se non vengono assegnate nuove risorse di personale per limitare il numero di alunni per classe e nuovi spazi per organizzare le attività didattiche, l'autonomia non può funzionare".

E' proprio il nodo degli spazi alternativi uno dei più dibattuti visto che dovrebbe essere la soluzione allo storico problema del sovraffollamento delle aule.

La bozza fa riferimento anche ai cosiddetti "patti educativi di comunità" dove vari soggetti pubblici e "attori privati" potranno mettere a disposizione strutture e spazi per la didattica (non è chiaro se a titolo gratuito o con un corrispettivo in denaro e in questo caso da chi dovrebbero arrivare i soldi) o integrare la didattica stessa con attività alternative, come musica, sport o teatro. L'idea sarebbe quella non solo di trovare altro spazio fisico per le lezioni ma anche di innovare la didattica studiando la possibilità di riconvertire spazi in disuso a cominciare dalle scuole dismesse.

In tutto questo, però, la possibilità di integrare nuovi insegnanti è solo ventilata in caso di "specifiche necessità" e non si parla di fondi o stanziamenti per realizzare le nuove misure. Inoltre non è chiaro come dovranno essere garantite le norme del Cts né l'organizzazione di entrata e uscita da scuola al fine di evitare assembramenti.

Al momento sono solo due le certezze e cioè che dal primo settembre inizieranno le lezioni di recupero per gli studenti promossi con riserva e che dal prossimo anno verrà reintrodotto l'insegnamento dell'educazione civica a partire dalla scuola d'infanzia con almeno 33 ore l'anno dedicate. Si spiegheranno, si legge nella bozza, "la Costituzione, lo sviluppo sostenibile (l'educazione ambientale, la tutela del patrimonio, del territorio e dei beni comuni) e la cittadinanza digitale. A studentesse e studenti saranno dati gli strumenti per utilizzare consapevolmente e responsabilmente i nuovi mezzi di comunicazione e gli strumenti digitali. In un'ottica di sviluppo del pensiero critico, sensibilizzazione rispetto ai possibili rischi connessi all'uso dei social media e alla navigazione in Rete, contrasto del linguaggio dell'odio".

Dopo la conferenza Stato Regioni il documento tornerà al vaglio del ministero per elaborare il decreto legge finale.

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Barbara Massaro