Scampia: da autista dei boss a capotreno. La storia di Marco
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Scampia: da autista dei boss a capotreno. La storia di Marco

L’altro volto del quartiere, che troppe volte viene annientato dalla criminalità e dai pregiudizi. Continua il nostro viaggio alle porte di Napoli

“Ho deciso di vivere e non di morire: mi sono disintossicato e ho cambiato la mia vita”. Tutto tra le Vele di Scampia.

Marco, 39 anni, è sceso in strada all’età di 9 anni, dopo la separazione dei genitori e ha iniziato a drogarsi a 14 anni tra i quartieri di Secondigliano e Scampia, alla periferia di Napoli. Quartieri abbandonati dallo Stato dove però, tra una Vela ed un’altra, c’è anche tanta gente perbene, onesta, che ogni giorno lotta silenziosamente contro la Camorra.

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“La mia situazione familiare era difficile, e dopo la separazione dei miei genitori non c’era nessuno che mi seguisse - spiega a Panorama.it Marco Pirone – così ho iniziato a cercare l’affetto di quella famiglia che non avevo più tra i vicoli e i ballatoi delle case popolari del quartiere 167 di Scampia e quelle di Secondigliano. Trascorrevo le mie giornate in strada con quelli che consideravo i “veri” amici. Solo in mezzo a loro non mi sentivo solo”.

Gli anni passano velocemente e Marco si ritrova, in strada, a vivere la sua adolescenza.

“A 14 anni ho iniziato a fumare il primo spinello, poi sono passato alla cocaina e anche al cobret, una droga che si fuma. Lo facevo perché volevo dimenticare la mia sofferenza, la mia solitudine e tutti i problemi che avevo. Ma soprattutto, volevo annientare quell’unico fantasma che vedevo davanti a me: il nulla. A Scampia non c’era lavoro, non c’erano opportunità, non c’erano le speranze. E se ce ne erano, io non riuscivo a vederle”.

Marco inizia a drogarsi ma anche a lavorare. Viene preso da un macellaio come aiutante. Entra la mattina alle ore 7 in bottega e ne esce la sera alle 22.

“Non c’era nessuno che pensasse a me. Avevo bisogno di soldi per campare, così iniziai a lavorare come macellaio per imparare un mestiere - continua a ricordare con Panorama.it – passavo tutta la mia giornata a spezzare la carne e, in poco tempo diventai anche bravo. Ma la sera, quando uscivo, tornavo in strada alla ricerca delle amicizie. E della droga. Così, in quel periodo, inizia per me una vita parallela a quella lavorativa che continuerà per moltissimi anni”.

Che cosa accede in questo periodo?
“Prendo la patente e mentre i vado a lavorare in macelleria, i miei amici di strada diventano i giovani boss di Scampia e Secondigliano. Loro mi stimavano e non sapevano che mi drogavo e quindi mi chiedevano di guidare le loro auto, di fargli da autista di portarli agli incontri o in giro per il quartiere”.

Diventi l’autista dei boss…
“Sì, praticamente divento l’autista dei boss. Ma continuo anche a fare il macellaio e a drogarmi. Ma in questo periodo così difficile e terribile, incontro la mia fidanzata, la donna che poi diventerà mia moglie. Lei avrà un ruolo fondamentale nella mia vita. Intanto, però, la mia vita parallela continuava: lavoro da una parte, droga e amicizie scomode dall’altra. Ma non ho mai voluto prendere parte alle attività dei camorristi e loro non mi hanno mai obbligato.”

Poi, però, tu lasci Scampia…
Dopo essermi sposato decidiamo con mia moglie, di andare a vivere a Bolzano. In Trentino avevo trovato un lavoro come disossatore di carne per fare lo speck. Ero proprio bravo perché mi pagavano per quanta carne riuscivo a disossare. Ero arrivato a guadagnare oltre 3 mila euro al mese. Insomma guadagnavo più di un mio coetaneo camorrista. E io lo facevo onestamente. A Bolzano è nato anche il mio primo figlio. Avevo smesso di drogarmi e ero davvero un uomo felice. In fondo, i miei genitori si erano separati e mi avevano lasciato solo ma loro avevano dei valori morali molto forti che comunque mi avevano trasmesso. Poi però il mondo mi crolla ancora addosso. E questa volta in modo drammatico. Il lavoro a Bolzano finisce e dobbiamo tornare a Napoli. A Scampia. Sono senza lavoro, con una moglie, un figlio e un altro in arrivo.

E cosa accade?
Appena ritorno a Scampia, comincio nuovamente a drogarmi ma fortunatamente mia moglie mi dice che aspetta il nostro secondogenito. Questa notizia è stata la leva del mio profondo cambiamento: volevo la famiglia e volevo dare una famiglia ai miei figli e a mia moglie. Ho smesso di fare uso di droghe e sono entrato in una ditta che lavorava in appalto per le ferrovie. Dopo un periodo di precariato e un concorso vinto con le mie forze, adesso, sono diventato capotreno. E tra pochi giorni prenderò servizio sulla Circumvesuviana.

Ma adesso dove abiti?
A Scampia! (Marco sorride, con gli occhi pieni di orgoglio e felicità,ndr). Ho deciso di rimanere a Scampia. Io ce l’ho fatta a diventare un altro uomo, ad allontanarmi dalle droghe e a non finire nel giro della malavita. Io non sono un camorrista ma vivo a Scampia e qui voglio rimanere per aiutare i ragazzi che non sono fortunati o non hanno delle famiglie alle spalle.

Che cosa stai facendo per loro?
Da sei anni insegno calcio ai bambini. Tolgo i ragazzini dalla strada e li porto nel campo di calcio. A Scampia mancano le opportunità ma non la volontà. Con me ci sono decine e decine di persone che hanno creato associazioni culturali e sportive che aiutano i ragazzi e danno loro delle opportunità. Quel poco di tempo libero che mi rimane lo impiego anche in un’associazioni di volontariato. Io sono un uomo felice, adesso. Ho un lavoro, due bambini Mario e Claudio di 12 e 10 anni che sono bellissimi e che crescerò a Scampia, con una moglie stupenda: Lia, la mia donna da una vita, colei che mi ha sempre aiutato ed è sempre stata al mio fianco

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Nadia Francalacci