Sbarchi: no dei sindaci Pd a nuovi immigrati
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Sbarchi: no dei sindaci Pd a nuovi immigrati

Nel fine settimana in settemila sono stati soccorsi. Ma i sindaci delle città che già ospitano centri d'accoglienza non sono disposti ad accettarne altri.

L'unico fuori dal coro è Felice Casson, candidato sindaco di Venezia per il Pd, che a Panorama dice: «Princìpi costituzionali ed etici ci impongono di esercitare la virtù della solidarietá accogliendo queste persone, meglio se in strutture piccole e diffuse».  Ma se si attraversa l’Italia degli amministratori locali e si pone la domanda: «Lei è disposto ad accogliere altri immigrati oltre a quelli che il suo territorio giá accoglie?», la risposta è una sinfonia di distinguo, un concerto di «non ora» e degli assoli di «no».
Carmelo Stanziola, sindaco Pd del comune di Centola (Salerno) che comprende la frazione di Palinuro dove c’è un centro di accoglienza della Caritas teatro nel 2014 di risse e rivolte, attacca: «Sono andato in Prefettura a dire che se provano a mandarmi anche un solo immigrato in più di quelli che già accogliamo, sarò costretto a reagire. Non farò come il mio predecessore, che ne accolse 120-130: non possiamo riempirci d’immigrati che passeggiano per le strade in attesa che qualcuno gli dia una giornata di lavoro. Noi siamo una località turistica».
Idem Elisabetta Tripodi, sindaco pd di Rosarno, il piccolo comune in provincia di Reggio Calabria dove nel 2010 una clamorosa rivolta d’immigrati sbattè in faccia agli italiani un problema che non si voleva vedere. Qui c’è una struttura d’accoglienza che ospita 150-160 persone ma a pochi chilometri, a San Ferdinando, Comune sciolto per mafia, una tendopoli ne ospita un migliaio, praticamente un campo profughi. «In inverno arriviamo a 2mila immigrati, siamo giá al limite» spiega Tripodi. «Io li capisco i sindaci del Pd che dicono no: non si può dire porte aperte a tutti. Li capisco perché lo Stato non c’è e lascia a noi sindaci l’onere di gestire un’emergenza epocale, e contemporaneamente ci taglia il bilancio». 
«No, fa peggio» replica Federico Piccitto, sindaco pentastellato di Ragusa, «provoca il razzismo degli italiani. Faccio un esempio: se a Pozzallo sbarca un minore, per legge, lo devo prendere in carico io come Comune, spendendo 60-70 euro al giorno. Ma io quei soldi non li ho e se li avessi e li spendessi per quel minore i miei concittadini direbbero che mi occupo più dei migranti che degli italiani. E avrebbero ragione». 
Pozzallo è un piccolo Comune in provincia di Ragusa ed è il Sud del Sud del Sud. Qui c’è un centro di accoglienza, un altro è lì vicino, a Comiso, e intorno altre 4 o 5 strutture «tutte al collasso da anni», spiega Piccitto. «Il nostro centro», conferma il sindaco Pd di Pozzallo Luigi Ammatuna, «è collaudato per ospitare 180 persone, ma spesso arrivano a mille e ogni anno ne transitano 30 mila e nonostante questo la popolazione reagisce bene ma» aggiunge subito «ospitare altre persone è impossibile». Parla da leghista? «La differenza tra noi e loro sa qual è? Un giorno mi ha avvicinato un anziano e, indicando le panchine del porto tutte occupate da immigrati, mi chiede di aggiungere altre panchine così si può sedere anche lui. Un leghista mi avrebbe chiesto di farli sloggiare e basta».
Anche per gli stessi servitori dello Stato, il problema è lo Stato. Massimo Lupo è il rappresentante del sindacato di Polizia Coisp di Crotone dove, a Isola Capo Rizzuto (scontri, tafferugli, rivolte e risse per tutto il 2014) c’è un centro di accoglienza, il Sant’Anna, fondato addirittura 18 anni fa: «Ma già allora dicevamo che non c’era sicurezza degli operatori che lavoravano all’interno», avverte. E oggi che ne ospita tra i 1.500 e i 1.600 «ogni settimana c’è una rissa che solo per miracolo non si trasforma in tragedia». E la città come reagisce? «È stata colonizzata».
Ma per capire davvero l’aria che si respira bisogna andare a Tor Sapienza, periferia di Roma che, con quattro centri d’accoglienza per immigrati, un paio di campi rom nel quartiere e un paio nel circondario, è diventato un pezzo di Italia dove gli italiani si sentono ospiti. Il meno esagitato dei componenti del Comitato cittadino che si oppone alla presenza di migranti e rom, Roberto Torre, è imbufalito, soprattutto se lo si provoca ricordandogli che il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento immigrazione del Viminale, ha chiesto a tutti i prefetti di trovare immediatamente altri 6.500 alloggi. 
«Con tutta l’umanità possibile e con tutto il rispetto per gli immigrati, a Tor Sapienza non c’è posto. Siamo saturi» dice Torre con voce calma. «Pochi giorni fa mi ha chiamato la Protezione civile e mi ha detto che c’è un allarme scabbia; la sera il quartiere continua a essere in mano a ubriachi, scippatori e drogati. Settimana scorsa a un anziano hanno frantumato una mascella per rubargli 10 euro. Vuol sapere la storia della stazione di Tor Vergata? Nel 2011 è stata saccheggiata, sei mesi fa le Ferrovie hanno finito di ristrutturarla e dopo due giorni l’hanno saccheggiata di nuovo portando via tutto: cavi elettrici, chilometri di rame, lampade, i pannelli delle scale mobili. Le Ferrovie ci hanno detto che non hanno alcuna intenzione di spendere altri soldi per rimetterla a posto, anzi, stanno pensando di chiuderla».
Saliamo verso nord. Mantova ospita 300 immigrati e oggi il candidato sindaco Pd, Mattia Palazzi, vorrebbe toglierli dagli alberghi e «affittare piccoli appartamenti da usare anche per gli italiani in difficoltà» in modo da distribuirli ed evitare la concentrazione in un solo luogo. Ma se gli si chiede se la cittá sarebbe disposta ad accoglierne ancora, la risposta è esattamente quella dei sindaci del Sud: «No, sono giá troppi». Distribuire gli immigrati sembra essere la ricetta del nord per affrontare l’emergenza. È questione di matematica. «In Regione ci sono 579 comuni» spiega Mirco Gastaldon, per dieci anni sindaco di Cadoneghe in provincia di Padova e ora candidato del Pd alla Regione Veneto, «se si procedesse con un progetto di accoglienza diffusa, ogni comune ne ospiterebbe 2 o 3 e non ci sarebbero problemi». 
Facile? No, impossibile. «Perché se i Comuni vicini dicono no» ribatte Francesco Vezzaro, sindaco dell’adiacente Comune di Vigodarzere, «poi finisce che tutti quelli che sono da sistemare li danno a me, e io non voglio fare la fine del vaso di coccio: o diciamo tutti sì o finisce che mi riempiono di immigrati. A questo gioco io non ci sto». 
In Veneto l’allarme è ai massimi livelli perché il 24 aprile la prefettura di Verona ha pubblicato un bando per trovare 1.080 nuovi alloggi (al costo di 35 euro al giorno) e una settimana fa il viceprefetto ha fatto visita alla ex caserma di Vigodarzere che il sindaco Vezzaro vorrebbe trasformare in sede per Carabinieri, Protezione civile e varie associazioni. «Non provino a riempirla di immigrati» minaccia allineandosi alla quintessenza del leghismo regionale, il governatore Luca Zaia, che ha escluso l’uso di caserme dismesse. Inutile dire che anche per Zaia «nuovi immigrati» sono inaccettabili, mentre il Friuli Venezia Giulia governato da Debora Serracchiani, vicesegretario Pd, è sospeso tra un timido sì e un risoluto no. Il primo è rappresentato da 34 (su 212) Comuni che accetterebbero nuovi ospiti, il secondo è rappresentato dall’assessore regionale alla Solidarietà Gianni Torrenti che ha fissato in 1.600-1.800 unità il massimo di persone che la Regione può ospitare, la quale Regione oggi ne ospita (per l’appunto) 1.600-1.800.
Perfino le associazioni che si occupano di assistenza ai migranti sono allarmate. Alberto Sinigallia è il presidente della Fondazione progetto Arca che a Milano ospita 275 migranti. I numeri di Sinigallia sono impressionanti: «L’anno scorso sono sbarcate in Italia 150 mila persone, 26 mila delle quali sono passate dal nostro centro. Milano oggi ospita 800 rifugiati politici e qualche migliaio di senza dimora. La città non può accoglierne più di così». L’assessore alle politiche sociali del Comune, Pierfrancesco Majorino, snocciola cifre che, dice, «rendono orgogliosa la città: 58 mila assistiti, 14 mila minori, una rete della Caritas straordinaria, ma…». Ma? «Oggettivamente non abbiamo più posto». 
Se perfino un componente della giunta più boldrinaniana d’Italia, quella del sindaco Giuliano Pisapia, giura che «non c’è più posto», allora alla prossima emergenza profughi l’Italia si troverà, davvero, totalmente impreparata.

ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images
Un immigrato arrivato via mare a Catania- 23 aprile 2015

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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