Rubygate, le eredità del pornoprocesso
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Rubygate, le eredità del pornoprocesso

Adesso che B. è stato assolto, è il momento di riavvolgere il nastro e farsi molte domande scomode - Ora il Cav è più forte con Renzi - La vittoria del prof. Coppi : perché non fu concussione - Una sentenza che mette d'accordo Fi e Ncd - Un verdetto che volta pagina

E chi lo dice a Ilda? Toccherà dirglielo piano, farla accomodare e sillabare: AS-SOL-TO. Sì, lo hanno assolto. Con formula piena. Concussione? Il fatto non sussiste. Prostituzione minorile? Non c’è traccia di reato.

Chissà se dalle parti della procura di Milano riusciranno a farsene una ragione. È sempre possibile ricorrere in Cassazione contro il verdetto pronunciato oggi dal giudice Enrico Tranfa, presidente della seconda sezione penale della Corte d’appello di Milano. Nel pornoprocesso che non sarebbe mai dovuto cominciare il ribaltamento della condanna di primo grado a sette anni di carcere non può essere ridotto alla normale fisiologia del sistema giudiziario italiano. Certo, i gradi di giudizio sono tre, può capitare che un verdetto di primo grado sia riformato in appello. Ma il Rubygate non ha nulla di normale.

Sin dalla fase delle indagini preliminari con gli interrogatori in gran segreto che danno sfogo alla fervida fantasia di una giovanissima ragazza che favoleggia di notti con noti calciatori, attori americani, ministre mezze nude. Un’orgia di chiacchiere che anziché essere censurate come tali eccitano i procuratori di Milano a tal punto da dispiegare una macchina poliziesca fatta di intercettazioni a strascico e pedinamenti su larga scala.  Decine di utenze intercettate, chiunque metta piede ad Arcore – nella villa privata dell’allora premier – viene schedato e registrato per giorni e giorni.

Il fine assai chiaro è intercettare loro per intercettare lui, inseguire loro per accerchiare lui, nel suo spazio domestico, in assenza delle autorizzazioni previste dalla legge. Il fascicolo della pubblica accusa in primo grado è un glossario erotico, non si capisce quali siano i reati, dove siano le prove, è tutto un pullulare di dettagli piccanti, statuette di Priapo e scollature osé.
Eppure il processo inizia. A giudicare sono tre donne, l’indignazione pseudofemminista fa il resto. Che sboccate queste testimoni, si presentano truccate e ben vestite, incedono con passo deciso su tacchi vertiginosi mentre stringono in una mano il manico di una borsa griffata. Ma lei come fa a permettersi questi oggetti? Qual è la sua vera fonte di guadagno? Non sarà mica che lei si prostituisce? Ah, le cene erano eleganti ma lei è sicura che non si è mai prostituita?  E come la mettiamo con i "toccamenti lascivi" tra i presenti? Lei faceva addirittura il trenino? Ebbene sì, questo è il tenore delle domande che i pm rivolgono alle trentatré testimoni.
Adesso che lui è stato assolto, sebbene la sentenza non sia ancora definitiva, chi ripagherà quelle donne additate al pubblico ludibrio come "puttane per forza"? La sentenza è inequivocabile: la concussione non sussiste. E la domanda è come i giudici del primo grado abbiano potuto condannare a sei anni di carcere (più uno per prostituzione minorile) sulla base delle prove addotte dall’accusa? Il funzionario della questura ha sempre negato di aver subito pressioni. La ricostruzione della telefonata in udienza non lasciava dubbi: fu una cortese richiesta di interessamento, nessuna costrizione. Del resto, se dovessero intercettare tutte le telefonate in arrivo negli uffici della pubblica amministrazione italiana, saremmo tutti imputati. Di telefonate così se ne fanno a iosa, sono segnalazioni, cortesie richieste, ma da qui a configurare un reato di concussione ce ne passa. Per non parlare dell’oltraggioso rapporto sessuale con l’ultradiciassettenne Karima che dal canto suo, tra mille fantasticherie, è sempre stata ferma su un punto: io con lui non ho mai avuto alcun rapporto sessuale. Anche qui niente testimonianze a sostegno dell’accusa, una montagna di prove invece circa l’inaffidabilità della giovane che, stando ai verbali dei carabinieri, era solita falsificare la propria identità, millantare una parentela inesistente con l’ex rais Mubarak e farsi passare per una 24enne. Ma niente, in primo grado non hanno sentito ragione. Le pornoipotesi dei pm sono diventate il Verbo di una condanna già scritta. Possiamo considerare questa la "normale fisiologia" di un processo? Possiamo accontentarci di un verdetto giusto quando chi ha montato l’ingiustizia con il potere di una toga non sarà mai chiamato a rispondere di alcunché?

C’è poco da stare tranquilli perché "questa" giustizia può colpire anche te. Quel che consola è che a Milano una corte equilibrata e imparziale, scrupolosamente fedele soltanto alla legge e non alle partigianerie politiche, ha decretato la vittoria del diritto. In Italia siamo ancora liberi di puttaneggiare senza essere arrestati per oltraggio alla pubblica morale.
Però, a lei, diteglielo piano.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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