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Un rehab per l'integralista islamico

Da Bari la storia di Alfredo Muhammad un italiano convertito al fondamentalismo islamico ed ora de-radicalizzato

C’è stato un tempo in cui Alfredo Muhammad scriveva che le donne sono esseri inferiori e giustificava, come «semplice incidente stradale», l’attentato di Berlino che, nel dicembre 2016, aveva provocato 12 morti e 56 feriti. Oggi Alfredo Muhammad (all’anagrafe Alfredo Santamato) è un uomo diverso. Ha superato il corso di de-radicalizzazione a cui l’ha obbligato il giudice delle misure di prevenzione di Bari dopo l’indagine per terrorismo internazionale e apologia del terrorismo che gli ha travolto la vita, nel marzo di due anni fa, portandolo a un passo dal carcere. Panorama ha letto le carte del procedimento, su cui tra poche settimane sarà chiamato a esprimersi il magistrato, e ha raccolto la testimonianza del protagonista.

Alfredo Muhammad è il primo ex fondamentalista «de-programmato» a seguito di un corso di «rieducazione civica» tenuto da specialisti in Italia. Un esperimento che, da Bari, ha segnato la strada per disinnescare potenziali situazioni critiche. «Io ho sempre condannato (anche su Facebook) ogni atto di terrorismo proprio in quanto è contrario alla mia indole» dice Alfredo al nostro settimanale. «Del terrorismo potrebbero essere vittime i miei figli o i miei genitori indistintamente, persone che io amo. Il jihadismo salafita è una visione distorta dell’Islam».
Prima che finisse sott’inchiesta, Muhammad aveva anche giocato, a suo dire, a recitare il ruolo del cattivo in alcune interviste tv. Si è convertito «per amore di mia moglie» e perché aveva «conosciuto dei musulmani che mi avevano colpito per il loro comportamento pacifico», dice. Originario di Turi, in provincia di Bari, Alfredo Muhammad ha perso il lavoro a seguito del ritiro della patente su ordine dell’autorità giudiziaria. Faceva l’autista, e oggi vive con la consorte e i tre figli percependo 900 euro di reddito di cittadinanza.

Nei due anni di «de-radicalizzazione», corrispondenti al periodo di sorveglianza speciale, Santamato ha incontrato l’équipe di esperti, nominati dal giudice, due volte al mese. Il gruppo era composto dal presidente del Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali, Antonio Nappi, e da due docenti dell’università «Aldo Moro» di Bari, Francesco Licio e Sabrina Martucci.

«Il nostro è stato un programma laico» spiega a Panorama la professoressa Martucci «non abbiamo chiesto la collaborazione di imam e guide spirituali. Gli è stato illustrato come vivere in una società libera tutte le dinamiche della sua fede purché la vivesse in pace. Nessuno gli ha detto di non vestire i suoi abiti, di non indossare la sua barba, di non studiare il Corano».
Si è lavorato sul «depotenziamento della pericolosità sociale di questo soggetto» sottolinea la docente pugliese, un «disingaggio del rischio che potesse aderire a una forma violenta». Le indagini condotte dalla Digos, infatti, avevano associato un’eventuale azione dimostrativa al possesso del camion e ai contatti virtuali sui social network con altri fondamentalisti monitorati.

Santamato ammette che, prima di abbracciare un’altra confessione, era stato «un buon cristiano».
«La divisione del mondo che i jihadisti salafiti fanno, e cioè una divisione della terra in “dar al Islam” e “dar al harb” (terra di guerra) è errata» prosegue. «La vera jihad è la propaganda pacifica fatta dai “du’at” (missionari). L’islam si diffonde grazie all’esempio dei musulmani e non con la violenza. L’Occidente è da “al jahil” (terra di ignoranti in campo religioso) da istruire e non da uccidere”. Credo che oggi io stia pagando delle scelte non adeguatamente ponderate. Mi è stato cucito addosso un personaggio molto distante da come sono».

Più che il potere terapeutico del corso di de-radicalizzazione su Muhammad ha probabilmente fatto effetto anche la prospettiva di passare un bel po’ di anni in galera, sottoposto a rigide misure di sicurezza per i sospettati di terrorismo. In realtà, il suo difensore, l’avvocato Libio Spadaro, è convinto che l’intera indagine sia frutto di una sopravvalutazione della personalità di Santamato. «Il mio cliente ha concluso l’espiazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale» evidenzia a Panorama. Misura che si può adottare sulla base di «pochi indizi, o addirittura meri sospetti». E, nel caso del terrorismo, «la soglia di individuazione di un elemento di sospetto era fissata ad un livello quasi invisibile».

L’ultima domanda a Santamato riguarda i migranti. «I profughi vanno soccorsi. I terroristi vanno incarcerati ed espulsi. I bambini indottrinati, aiutati». Perché adesso l’allarme sono le giovani e giovanissime generazioni, come ha dimostrato l’inchiesta a carico di un minorenne, a Trieste, coinvolto in attività di proselitismo per l’Isis e sottoposto a un difficile percorso di decontaminazione ideologica. Anche lui verrà dunque indirizzato in un percorso di recupero come quello sperimentato a Bari e attentamente studiato anche da altri magistrati.
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