Redouane Sakher, intervista all'algerino espulso per sospetto terrorismo
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Redouane Sakher, intervista all'algerino espulso per sospetto terrorismo

Una sua scheda telefonica sarebbe stata utilizzata da un miliziano dell'Isis. Ma lui racconta un'altra verità

La Lombardia avamposto dei fanatici della jihad. Nonostante questa sia la regione dove sono più integrati gli immigrati di fede musulmana, le operazioni del Ros dei carabinieri e delle Digos della polizia svelano uno spaccato che allarma gli analisti dell’antiterrorismo. Se i più esperti investigatori smentiscono il salto di qualità dei cosiddetti lupi solitari, non sfugge a chi indaga il fatto che tra Cassano d’Adda, Lecco e Varese si concentrino i foreign fighter. Solo un caso?

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L’ultima operazione è stata ordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Genova e ha portato all’arresto di tre presunti reclutatori islamici: Houssameldim Antar, operaio di Cassano d’Adda, suo fratello Abdel Hakim, pizzaiolo di Finale Ligure, Tarek Sakher, disoccupato di Tradate, Varese. Intercettati, vantavano proselitismi di fedeli e aspiravano al martirio. Un’attività, la loro, portata avanti soprattutto sui siti deep web, il lato oscuro della Rete, e chat criptate. Insomma, per ora, una militanza da computer. Come molte ore al computer passava Redouane Sakher, quarantenne algerino, da anni in Italia, con precedenti per spaccio di droga e sposato con una bergamasca. Redouane è il fratello di Tarek, arrestato nei giorni scorsi dal Ros dei carabinieri a Tradate. Un mese prima era stato espulso su decreto del ministro dell’Interno Angelino Alfano per “sicurezza dello Stato”. Nel suo appartamento di via degli Alpini, a Seriate, in provincia di Bergamo, la Digos avrebbe trovato numerosi cd con contenuti in lingua araba e foto di miliziani.

La Dda di Brescia lo teneva d’occhio da mesi, dopo una segnalazione dei servizi segreti in cui si dava conto del fatto che una sim acquistata dall’algerino sarebbe stata utilizzata da un miliziano Isis. L’uomo, in assenza di altri indizi che potessero giustificare l’arresto, è stato espulso. In Italia è rimasta la moglie, commessa, e il fratello, arrestato per terrorismo internazionale. Panorama lo ha intervistato via Skype e, oltre a rispondere a tutte le nostre domande, Redouane Sakher ha inviato una dichiarazione, quasi una sfida alle autorità italiane.


Prima di raccontare cosa è successo la mattina in cui lo hanno svegliato i poliziotti dell’antiterrorismo, Redouane vuole spiegare chi è e cosa fa in Italia. "Sono in Italia dal 2002, sono arrivato come clandestino a bordo di una nave mercantile. Ho fatto molti lavori e sono anche stato arrestato per spaccio di droga. Da anni convivo con mia moglie, un’italiana, sposata nel maggio 2008. Da allora ho il permesso di soggiorno. A mia moglie non ho mai imposto il velo o altre usanze musulmane, come è stato scritto. Lei si è convertita e insieme pregavamo ogni giorno, raramente nelle moschee, ma non le ho mai imposto nulla, anzi. Le ho persino regalato dei costumi da bagno occidentali".

Tra le azioni sospette di Redouane il fatto che si recasse con una certa frequenza in Algeria: "In Algeria ho la mia famiglia e mio padre, qua in Italia acquistavo su internet, soprattutto su Ebay, prodotti che poi rivendevo in Algeria. Al ritorno compravo medicinali e oggetti tipici da rivendere in Italia". Redouane ammette di essere stato pizzicato a contrabbandare sigarette ma i suoi reati, a suo dire, si fermerebbero qua.

E come passava la giornata in Italia? "In casa, al computer, aspettando che mia moglie tornasse dal lavoro. Nel fine settimana andavamo insieme a fare la spesa. Non ho amici e non mi interessa averne". Come ha saputo che è sospettato di terrorismo internazionale? "Il 30 settembre sono tornato dal mio ultimo viaggio in Algeria. All’aeroporto di Orio al serio mi hanno fermato per dei controlli. Mi hanno trattenuto più di un’ora, hanno perquisito me e i miei bagagli e poi mi hanno lasciato andare. Pensavo che fosse a causa dei miei precedenti per spaccio di droga. Invece il giorno dopo, mentre dormivo, è arrivata la polizia nel mio appartamento. Avevano le pistole in pugno. Gli ho chiesto se avevano un mandato e mi hanno mostrato il decreto di espulsione e ho capito che si parlava di terrorismo. Ho perso la testa e ho fatto casino e loro mi hanno ammanettato".

Come mai una sua scheda telefonica era in uso ad un miliziano dell’Isis? "Non è vero, non è possibile. Questa è la storia della sim. Siccome mio fratello è clandestino e non poteva sottoscrivere un abbonamento telefonico, sono andato io a comprarla con venti euro in un phone center di via Quarenghi, a Bergamo. E gliel’ho data. Era una scheda Wind ricaricabile. Lui la usava per chiamare noi parenti. Dopo qualche mese mi disse che l’aveva persa. Chissà, forse l’ha presa qualcuno, magari gli è stata rubata o magari clonata… Certo non può averla data a qualcuno all’estero, perché essendo clandestino, non poteva uscire e rientrare dall’Italia".

Cosa c’è nei cd e nelle foto che hanno sequestrato a casa sua? Si parla di testi in arabo, foto di miliziani e persino di un elicottero da combattimento… "Ti posso giurare che è una menzogna, che mi portassero le mie impronte se davvero su quei dischetti ci sono foto di jihadisti o di elicotteri militari. Nei cd c’è un telefilm arabo sulla vita di un profeta del 1400 che in Algeria viene trasmesso da anni. E testi di lettura sacra come per voi è la Bibbia. Non ho mai fatto propaganda per l’Isis. Se anche mi tirano fuori una sola mia telefonata ad un terrorista o una visita su un sito jihadista o anche un solo like ad una pagina Facebook ti assicuro che non è vero. Io non sono un buon musulmano, ma so che l’Islam non incita alla violenza, Dio dice di non uccidere".

Redouane vuole tornare al più presto in Italia. Per ritrovare la moglie ma anche per farsi interrogare e poter dimostrare che le accuse contro di lui sono infondate. Il suo avvocato, Veronica Panzera, promette battaglia ma ha difficoltà ad avere accesso agli atti che contengono le accuse contro il suo assistito, anche a causa di formalità burocratiche dovute al fatto che si trova in Algeria. L’arresto del fratello, però, potrebbe complicare la sua posizione.

Giorgio Sturlese Tosi

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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