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Rapimento Moro: un ricordo personale

Avevo 9 anni il 16 marzo del 1978. Come la tragedia umana si inabissò nella tragedia storica di un intero paese. Il pensiero di un bambino di allora

Avevo 9 anni e poco più il 16 marzo del 1978, quando Aldo Moro fu rapito dopo il massacro dei cinque uomini della sua scorta: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.

Mio padre era il segretario DC della sezione di Celano, in Abruzzo, e quel giorno è il primo ricordo politico della mia vita, rimasto nei quarant’anni trascorsi anche il più indelebile.
Moro andava in parlamento per la fiducia al quarto governo Andreotti e papà, vicino a Benigno Zaccagnini, segretario nazionale del partito e figura ancora non approfondita nella sua grandezza sotto traccia, non vedeva bene quella forma di vicinanza fra DC e PCI che allora erano il compromesso storico e la solidarietà nazionale..

Ma il barbaro rapimento del presidente del partito lo mise in uno stato di attenzione dolorosa e più profonda, che gli diede immediatamente la misura di quanta ragione questi avesse.
Di quanta concordia nazionale, coi comunisti parte della maggioranza, servisse allora. E di quanta abissale e ferina distanza ci fosse invece, all’interno degli stessi campi ideali, fra chi ne percorreva le strade cercando il dialogo e chi le insanguinava sparando.

Non sta a me, che ero un bambino e non sono uno storico, giudicare se l’altezza di statista, per Aldo Moro, fosse la maggiore qualità anche dell’uomo. Certo è che la verità acclarata nelle aule giudiziarie di quel dramma italiano in mezzo alla guerra fredda non convince il tribunale della storia. Né le motivazioni che si suppongono da ogni parte nascoste, se veramente ci sono, paiono tali da dare una speranza alla consapevolezza limpida di ciò che accadde.

Resta la tragedia umana, che s’inabissò nella tragedia storica d’una nazione intera, incapace a tutt’oggi di piena verità. Cioè di giustizia. Come mi apparve subito quando quel grand’uomo, ai miei occhi infantili più padre di famiglia che politico, fu trovato assassinato cinquantacinque giorni dopo nel bagagliaio d’una Renault che distava gli stessi passi da Piazza del Gesù e dalle Botteghe Oscure. Cioè dalla DC e dal PCI. Gelida metafora di dualismi ancora non del tutto chiari ma congeneri, anticipo tragico di quelli farseschi d’oggi.

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Nazzareno Carusi