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Quel tesoro sprecato nel mare di Gela

Nonostante gli sforzi di esperti, cittadini e associazioni di volontariato una nave greca dal valore storico e culturale inestimabile giace in uno scantinato da anni

L’ennesimo esempio dell’incapacità della classe dirigente di sfruttare appieno le enormi risorse culturali del nostro Paese riguarda l’inestimabile tesoro archeologico nel mare di Gela. La vicenda è abbastanza nota: nel 1988, a una profondità di circa cinque metri, furono ritrovati i resti lignei di una nave greca da trasporto, datata dagli esperti tra il VI e il V secolo avanti Cristo; era la prima volta che nel Mar Mediterraneo venivano trovati resti lignei di una nave da trasporto così antichi.

Negli anni a seguire furono individuati altri resti lignei di antiche imbarcazioni insieme a una quantità enorme di reperti archeologici: un notevole numero di preziosi e rari lingotti di oricalco e resti di altre due imbarcazioni greche. Infine, nel 2013 furono scoperti anche i resti di una nave del XVI secolo il cui piccolo cannone in ottimo stato di conservazione oggi si trova esposto nel museo locale.

L’enorme valore di queste scoperte lo si può comprendere da questo solo particolare: i relitti della nave greca ci consentono di comprendere a fondo le tecniche di costruzione delle navi usate dai Greci. Non solo. Dagli studi è emerso che effettivamente l’antica nave di Gela è stata costruita con la stessa tecnica descritta da Omero nell’Odissea in riferimento all’imbarcazione di Ulisse.

Dal 1988 a oggi che cosa è stato fatto? Da tempo i resti lignei della nave greca sono stati completamente recuperati dal fondale e restaurati in Inghilterra. Però, dopo il loro rientro al locale museo archeologico di Gela nel febbraio del 2016, gli stessi giacciono ancora chiusi dentro una cinquantina di casse. Quanto ai resti delle altre due navi con relativo carico, sono ancora nel fondo del mare ingabbiati in una rete per prevenire furti.

Beni sottovalutati
Nuccio Mulè, già presidente della sede di Gela dell’Archeoclub d’Italia, associazione di volontariato per la tutela dei beni culturali, dice: ”E’ sconfortante constatare come la Soprintendenza del Mare siciliana non riceva quei fondi necessari al recupero dei relitti delle navi e di chissà quanti reperti archeologici che giacciono sui fondali del mare di Gela. Come associazione di volontariato abbiamo ripetutamente chiesto alla Regione Siciliana una serie di finanziamenti sia per le ricerche subacquee nel mare antistante a Gela, sia per il recupero dell’esistente”.

Finora gli sforzi dell’Archeoclub d’Italia sono stati vani. “Non è concepibile che ancora la Regione non comprenda l’importanza  del bene culturale; non si vuole capire che potenziando l’attività archeologica di Gela e non solo di Gela ne trarrebbero frutto, in termini economici e occupazionali, la stessa città e la Sicilia intera” aggiunge Mulè. Nelle reiterate richieste alla Regione si è anche fatto riferimento al recupero dei reperti bellici dello sbarco americano a Gela del 1943, una branca subacquea di archeologia militare ancora del tutto inesplorata.

Tanto materiale sommerso
Vi sono diverse d’imbarcazioni affondate, materiale bellico vario, equipaggiamenti e diverse decine di aerei americani Dakota C-47 abbattuti per fuoco amico. “Tutto questo materiale, che giace ancora sommerso in fondo al mare, se fosse recuperato darebbe peraltro una svolta alla realizzazione del tanto agognato museo dello sbarco a Gela” conclude Mulè.

Chi scrive l’articolo ha chiesto spiegazioni all’assessore ai beni culturali della Regione Sicilia Carlo Vermiglio tramite un messaggio di posta elettronica del 21 Marzo 2017 a Lucia Ferruzza, dell’ufficio del suddetto assessore. La signora ha risposto che Vermiglio non era disponibile e ha chiesto di inviare le domande via email. Nonostante i ripetuti solleciti, le risposte a queste domande non sono mai pervenute. 

Sono passati circa ventinove anni dalla scoperta della nave greca. Ventinove anni nei quali la Sicilia e l’Italia potevano beneficiare dell’enorme richiamo turistico dei reperti subacquei e di tutte le opportunità di sviluppo economico e sociale che vi sono legate. Se poi occorre indicare esempi di come altri Paesi sono capaci di sfruttare le proprie risorse culturali eccone uno molto calzante. 

Nell'area di Abuqir "ramo Canopico" del Nilo si trovava la città di Canopo (Thonis), che fu il più importante centro commerciale egiziano sul Mediterraneo prima della creazione di Alessandria. In un periodo compreso fra il IV e il II secolo a.C., l'acqua e la sabbia avevano già inghiottito questo antico porto faraonico del quale s'era persa l'ubicazione.

Più tardi ad Erakleion greca toccò la stessa inesorabile sorte della più antica Thonis, ed attualmente si trova anch'essa sommersa ad una profondità di una decina metri nel mare della baia di Abuqir. Nel 2000 con l’ausilio di moderne tecnologie, incluse le onde magnetiche, è stata mappata l’intera area sommersa, “Abbiamo una città faraonica antica di 2500 anni, congelata nel tempo” dichiarò Franck Goddio, l’archeologo francese che ha guidato un team internazionale nella ricerca. Perché non si fa la stessa cosa per i fondali di Gela? E quanto tempo dobbiamo aspettare ancora?

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Luca Sciortino