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Quei benedetti Patti (Lateranensi)

A 90 anni dalla firma dell'accordo tra l'Italia ed il Vaticano un libro di Giancarlo Mazzuca ripercorre quei giorni

L’immagine esce intatta dalla nostra memoria fotografica di studenti di Storia: a sinistra il cardinale Pietro Gasparri ha la penna ancora alta nella mano, e alla sua sinistra Benito Mussolini l’osserva attentamente, mentre l’alto prelato sta per firmare i Patti Lateranensi. Era l’11 febbraio 1929, esattamente 90 anni fa: il Duce del fascismo, presidente del Consiglio dal 1922, diventerà “l’uomo della provvidenza” perché chiude quasi un secolo di conflitti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.

Oggi Giancarlo Mazzuca, giornalista e saggista, oltre che ex direttore del Giorno, indaga su quell’atto storico con Quei Patti benedetti: che cosa resta dei Patti Lateranensi tra Mussolini e Pio XI (Arnoldo Mondadori editore, 191 pagine, 19 euro).

Firmati a San Giovanni in Laterano, la basilica romana che dette il nome all’intesa, i Patti furono il frutto di un faticoso, intenso lavorio delle diplomazie vaticane e statuali, e vennero suddivisi in tre parti: il Trattato, che istituiva lo Stato della Città del Vaticano, l’enclave dotata di extraterritorialità nel centro di Roma; il Concordato vero e proprio, che regolava i rapporti tra la Santa sede e l’Italia; e un accordo finanziario tra i due Stati, e accordava un indennizzo alla Chiesa, in cambio della sua rinuncia a ogni rivendicazione sul vecchio Stato Pontificio.

A Mussolini, la firma dei Patti Lateranensi bastò in un colpo per cancellare la fama di socialista mangiapreti e per ottenere la legittimazione della Chiesa; non per nulla, i giornali fascisti celebrarono quel passaggio storico facendo l’apoteosi del Duce. Al motto “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”, Mussolini era anche riuscito a creare un varco attraverso il quale tutti i cittadini – anche quelli cattolicissimi e fino a quel momento tenuti in qualche modo lontani dall’italianità - potevano finalmente entrare a pieno titolo nell’Italia fascista.

Ma i Patti furono molto utili anche a Pio XI, al secolo Achille Ratti da Desio ed ex nunzio apostolico in Polonia, divenuto Papa nel 1922, che esce dalla penna di Mazzuca come l’appassionato di montagna che si rivela pontefice decisionista e autoritario, e comincia ad apprezzare il fascismo già nei primi anni del regime, quando Mussolini reintroduce l’ora di religione nelle scuole elementari e offre al clero prebende economiche più generose.

Il dibattito per la ratifica dei Patti Lateranensi non ebbe certi vita difficile: iniziò in Senato il 23 aprile 1929 e si concluse con un ovvio voto a favore in un solo mese, il 25 maggio, sia pure al termine di vivaci discussioni e di polemiche. Soltanto sei senatori votarono contro l'approvazione, e tra di loro Benedetto Croce. Poi anche la Camera dei deputati votò per l'approvazione dei Patti. Lo scambio delle ratifiche avvenne con una solenne cerimonia in una saletta dei Palazzi apostolici, alla presenza di Mussolini. Era il 7 giugno 1929.

Da allora, fino al 1948, i Patti Lateranensi hanno guidato i rapporti tra Stato e Chiesa. Poi sono stati confermati nella Costituzione repubblicana, con l’articolo7 (“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”), che fu votato da comunisti e democristiani, e avversato da liberali, socialisti, repubblicani. Ancora una volta, Benedetto Croce fu tra i No. Ma Palmiro Togliatti, che già cercava il favore delle masse cattoliche per il Pci, impose l’accordo che fu tanto criticato dal laico Piero Calamandrei: “Si introducono di soppiatto norme che sono in urto con altri articolo della Costituzione”.

Al 1984 risale l’ultima revisione, dovuta al governo di Bettino Craxi. È stato abolito soltanto allora l’obbligo dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, ed è stato tolto il sostentamento economico dei sacerdoti da parte dello Stato. In cambio, nel 1985 è stato creato quell’obbrobrio del finanziamento surrettizio dell’8 per mille, che ogni anno garantisce da 800 milioni al miliardo di euro alla Chiesa cattolica. Alla fine del suo bel libro, Mazzuca si chiede che cosa accadrà in futuro: “Chi meglio di Papa Francesco” scrive “può rispondere a tale domanda?”. Vedremo.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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