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Il piccolo Giuseppe e l'orrore senza fine

Il patrigno che ha ucciso il bambino a colpi di scopa ha fatto una cosa fuori dal mondo. E dal mondo resti fuori

Non avrei trovato le parole per l’immenso strazio. Un bimbo di 7 anni ucciso senza pietà soltanto perché gioca, corre, salta. Perché è bimbo. Non avrei trovato le parole per commentare la banalità dell’orrore («L’ho ammazzato perché aveva rotto la sponda del lettino») confessata da quel patrigno bastardo. Non avrei trovato le parole per ricordare la violenza, i pugni, le mazzate, la scopa come arma, la testa fracassata, la sorellina mandata all’ospedale, e il silenzio della madre, che forse non ha nemmeno provato a fermarlo. Non avrei trovato le parole per raccontare il degrado umano, ancor prima che sociale, della tragedia di Cardito, le parole incomprensibili, gli imbarazzi, le cose non dette in cui si è inabissata per giorni la nostra umanità. Non avrei trovato le parole nemmeno per deplorare la pomata Lasonil e l’acqua ossigenata con cui il patrigno e la madre cercavano di curare le ferite mortali del bimbo, anziché portarlo in ospedale. Non sarei nemmeno riuscito a scrivere che quel bimbo, forse, si poteva salvare.

C’è una cosa, però, che mi ha spinto, con il cuore sanguinante, a riaffacciarmi sull’orrore: appena arrivato in carcere, infatti, il patrigno assassino, Tony Essobti Badre, si è messo a piagnucolare, chiedendo perdono. E suo fratello ha immediatamente chiesto: «Quand’è che lo fanno uscire?». Pretendeva i domiciliari. I domiciliari, capite? Uno massacra un bimbo di sette anni a colpi di scopa, anziché portarlo in ospedale lo lascia morire sul divano cospargendolo di Lasonil, e poi davanti al magistrato si mette a piagnucolare come avesse confessato non un atroce delitto ma una marachella. E suo fratello si stupisce perché, per quella marachella, deve restare chiuso in cella: ma insomma, come si permettono? Perché non lo lasciano venire con noi? Stasera dovevamo andare in pizzeria: possibile che per un bimbo massacrato manchiamo l’appuntamento con margherita e quattro stagioni?

Sia chiaro: l’inchiesta farà luce su tutti gli aspetti ancora oscuri di questa vicenda. Sapremo che ruolo ha avuto la mamma dei due piccoli, se c’erano già stati altri episodi di violenza, se qualcuno li ha sottovalutati, che ruolo ha avuto la droga. Ma una cosa è già evidente fin d’ora: nell’inferno di Cardito sono crollati gli ultimi barcollanti pilastri morali di questo Paese. Quando quell’uomo chiede «perdono», come se fosse stato sorpreso a rubare galline; quando suo fratello dice: «Perché non esce?», come se fosse naturale che chi fracassa la testa di un bimbo di 7 anni poi va a dormire nel suo letto; ebbene, vuol dire che si è sprofondati ormai nel nulla etico, nel coma delle coscienze, vuol dire che il Paese ha perso ogni riferimento civile di che cosa significhi la parola «responsabilità».

Abbiamo passato talmente tanti anni a giustificare ogni azione con il contesto sociale; abbiamo perdonato ogni errore individuale facendolo ricadere su colpe collettive; abbiamo allevato generazioni all’insegna del «poverinismo», per cui se prendi due è colpa del professore e se sbagli un gol è colpa dell’allenatore, che oggi si fatica a rintracciare nel Paese uno straccio di consapevolezza di sé, dei propri errori e delle proprie colpe. Non sappiamo più essere responsabili. Mai. Come se la vita fosse diventata un enorme playstation, se sbagli schiacci start e ricominci da capo. «Ma come? Devo davvero pagare?», sembra chiedersi infatti quel padre assassino. Sembra assurdo. Ma a lui forse pare normale: «Non basta che pianga e chieda perdono?». No, non basta piangere. Non basta chiedere perdono. Bisogna anche pagare. E in modo esemplare. Bisogna farlo capire a tutti.

Penso che a molti, come a me, in questi giorni sia venuta in mente la pena di morte. Penso che molti, come me, si siano pentiti di aver avuto pensieri che non condividono. Penso che sia giusto, però, sperare che per un uomo così, che uccide un bimbo in quel modo non ci siano, per i prossimi secoli, né benefici, né riduzioni di pena, né comprensioni, né permessi. Nessuna pietà, per quanto piagnucoli. Nessun reinserimento. Ha fatto una cosa fuori dal mondo e fuori dal mondo deve restare. Per sempre. Non servirà a restituirci quel bimbo. Ma almeno servirà a restituirci un po’ di giustizia. E forse anche un po’ di civiltà.

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Mario Giordano

(Alessandria, 1966). Ha incominciato a denunciare scandali all'inizio della sua carriera (il primo libro s'intitolava Silenzio, si ruba) e non s'è ancora stancato. Purtroppo neppure gli altri si sono stancati di rubare. Ha diretto Studio Aperto, Il Giornale, l'all news di Mediaset Tgcom24 e ora il Tg4. Sposato, ha quattro figli che sono il miglior allenamento per questo giornale. Infatti ogni sera gli dicono: «Papà, dicci la verità». Provate voi a mentire.

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