Pescatori italiani arrestati in Gambia, una vicenda con molti punti oscuri
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Pescatori italiani arrestati in Gambia, una vicenda con molti punti oscuri

L'equipaggio di un peschereccio è stato fermato dalla polizia marittima per un rete "non idonea" a bordo. Il racconto del comandante

"Io sono un contribuente, pago tutte le tasse ma non mi sento tutelato da questo Paese. Lo Stato non c’è se un italiano si trova in difficoltà all’estero". Sandro De Simone, comandante del peschereccio oceanico "Idra Q" sequestrato in Gambia per una rete da pesca non idonea trovata a bordo, è amareggiato. La gioia del rientro, dopo 4 mesi di lontananza forzata, non riesce a far dimenticare quel profondo senso di abbandono che ha provato durante tutta la sua vicenda. Che ha davvero dell’incredibile. Lui e Massimo Liberati, il comandante della sala macchine del peschereccio, il 17 febbraio scorso infatti vengono arrestati mentre l’imbarcazione veniva posta sotto sequestro dalla polizia marittima.

Comandante De Simone, che cosa è successo quel giorno di febbraio?
Le autorità marittime locali salgono a bordo per un normale controllo. Una cosa che non ci destava preoccupazione in quanto noi eravamo abituati. Proprio durante questa ispezione di routine viene trovata in coperta una rete da pesca “fuori norma”. In sostanza, inutilizzabile. E in effetti non la utilizzavamo perché ne eravamo a conoscenza. Ma la sola presenza a bordo di questa rete ha fatto scattare l’arresto e il sequestro del peschereccio.

Lei viene portato immediatamente in carcere. Quanto tempo ci rimane? Quali sono state le condizioni nelle quali si è trovato?
Per fortuna sono rimasto solamente per due settimane. Mi trovavo in una camerata con 96 detenuti. Eravamo tutti stipati gli uni sopra gli altri senza un letto, senza niente. Quando sono arrivato mi hanno fatto spogliare e mi hanno dato una divisa da carcerato. Non mi hanno dato una coperta, una saponetta nè un asciugamano. Niente.. Mi avevano portato in una cella dove c’erano ladri, assassini, insomma i peggiori criminali.

Ma le davano da mangiare?
Sono stato per cinque giorni senza toccare cibo.. se possiamo chiamarlo così. E diversi giorni senza acqua. Poi ho cominciato a bere qualche sorso ed infine ho messo in bocca del riso che cucinavano loro in condizioni igieniche davvero incredibili. Mi sono sforzato di mangiare perché volevo tornare a casa e volevo tornarci vivo.

È in quei giorni che lei si è sentito abbandonato dallo Stato?
Sì e anche nelle settimane successive. C’è stato un importante e decisivo impegno dell’armatore ma lo Stato Italiano è stato davvero latitante. Quando abbiamo cercato di coinvolgerlo, all’inizio della vicenda ci ha detto che il Gambia è un Paese difficile sotto il profilo diplomatico. E infatti sia io sia l’altro comandante abbiamo dovuto subire dopo il carcere, un processo farsa e oltre quattro mesi di lontananza forzata dall’Italia.

De Simone, infatti, è rientrato a casa solamente quattro giorni fa. Mentre Massimo Liberati si trova ancora in Gambia ed è costretto a recarsi presso le autorità marittime due volte alla settimana, il martedì e il giovedì, per la firma obbligatoria. La sentenza di condanna emessa dalla giustizia locale al termine del processo, è finita davanti all’Alta Corte che contrariamente ha disposto il dissequestro del peschereccio ma anche la riconsegna dei passaporti a De Simone e Liberati che gli erano stati ritirati al momento dell’arresto.

Comandante De Simone, lei è rientrato ma Liberati no… che cosa può essere accaduto?
Secondo me, questa assurda ed incredibile vicenda per una vecchia rete piegata in coperta e non utilizzata, è solo una questione di soldi. Che il nostro Governo, però, non è riuscito a risolvere velocemente. Per di più hanno trattenuto in "ostaggio" Liberati che ovviamente non poteva sapere della rete da pesca in quanto non faceva parte degli incarichi che ricopriva a bordo. È veramente tutto assurdo. 

Lei parla di soldi. Si spieghi meglio..
Il dissequestro quel peschereccio è avvenuto dopo una cospicua cifra pagata dall’armatore. Credo che anche il trattenere Massimo ancora in Gambia sia solo una scusa per trarne ulteriori profitti. È per questo motivo che sono indignato. Un comandante di sala macchine che, ripeto, ovviamente non poteva sapere della presenza della rete non conforme, può rimanere “ostaggio” in questo modo vergognoso di un altro paese? Ma soprattutto è possibile che il nostro Stato non riesca a far valere i diritti dei propri cittadini? Dalla Farnesina dopo oltre 4 mesi c’è stato un timido approccio ma io credo che debba intervenire direttamente il Ministro Gentiloni o la Mogherini perché questa triste storia possa davvero trovare una fine.

Panorama.it ha interpellato la Farnesina per riuscire a capire che cosa è stato fatto e che cosa sta facendo l'Italia per cercare di riportare a casa Massimo Liberati. 

"La questione è stata oggetto della massima attenzione da parte dell’Ambasciata d’Italia a Dakar in quanto in Gambia abbiamo solamente un console onorario. La nostra Ambasciata a Dakar, non appena informata dell’accaduto, si è immediatamente attivata per fornire tutta l’assistenza necessaria, anche tramite il Console Onorario a Banjul- spiega a Panorama.it la Farnesina – ha preso contatto con Federpesca, con l’armatore di stanza a Dakar, che è stato ricevuto in Ambasciata, e con il rappresentante di quest’ultimo a Banjul”.

“Ha poi consigliato un esperto avvocato in loco che potesse seguire la vicenda. Questi ha poi contestato la sentenza di condanna, chiedendone la revisione che ha poi portato alla riconsegna dei passaporti e al dissequestro del peschereccio- prosegue l’ufficio del Ministero - si tratta di un risultato soddisfacente, tenuto conto che la sanzione pecuniaria è circa 3 volte inferiore rispetto a quella prevista dalla sentenza di primo grado.”

L’ambasciatore Luzzi si è recato dal 22 al 24 giugno a Banjul. Ha partecipato ad un’udienza del processo, si è ripetutamente intrattenuto con il connazionale, Massimo Liberati e ha parlato sia con l’avvocato che con l’armatore. Ha inoltre incontrato i Ministri degli Esteri e della Giustizia del Gambia per sollecitare una risoluzione veloce della situazione


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Nadia Francalacci