Perché Milano è considerata la capitale morale
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Perché Milano è considerata la capitale morale

Il termine fu coniato da un filologo, napoletano come Cantone, in occasione di Expo 1881. Ma come si è consolidato il mito? E quando è entrato in crisi?

Intraprendenza e solidarietà, tolleranza e orgoglio civico, buon senso e pragmatismo: il mito di Milano quale capitale morale d'Italia, che Raffaele Cantone ha voluto rispolverare ieri nel corso di una cerimonia cui hanno partecipato anche Giuliano Pisapia edEdmondo Bruti Liberati, è più antico di quanto si creda. Nasce in epoca risorgimentale, all’indomani dell’Unità, per iniziativa di un filologo e politico italiano, di origini napoletane come lo stesso Cantone, Ruggiero Bonghi, che, proprio in occasione di un altro Expò  del 1881, coniò quella lusinghiera definizione sulle pagine de La Perseveranza.

Una definizione che ha resistito nell'immaginario dei milanesi per un secolo, alla Grande Guerra, al fascismo, alla ricostruzione, fino almeno all'ascesa del craxismo e allo scoppio di Tangentopoli tra gli anni 80 e 90. Una definizione - Milano, capitale morale - che era un po' la traduzione di un vecchio proverbio popolare milanese, Milan dis, e Milan fa, che segnava, o voleva segnare, una differenza etica e pratica con la infetta capitale amministrativa ma anche con le altre grandi città italiane, meno dinamiche, meno avanzate, più sguaiate, più vicine al centro del potere politico, e perciò più corrotte.

VICINA ALL'EUROPA
A consolidare il mito di Milano quale capitale morale d'Italia, che la Lega Nord ha cercato di rispolverare negli anni 90,  hanno contribuito diversi fattori. Il primo fattore è che Milano è stata nel 900 l'unica grande città italiana «vicino all'Europa», come cantava Lucio Dalla in una sua splendida canzone degli anni 80 dedicata al capoluogo lombardo. Locomotiva economica del Paese, epicentro della delle  lotte sindacali e operaie nel polo industriale di Sesto San Giovanni dove avevano sede le grandi fabbriche come la Falck, la Brera e la Pirelli, Milano è stata anche l'unica metropoli italiana Medaglia d'oro della Resistenza, il cuore pulsante dell'insurrezione  del 25 aprile, luogo-simbolo dove i  cadaveri di Mussolini e di Claretta Petacci sono stati esposti al pubblico a futura memoria, per i futuri dittatori.

TERZO SETTORE E MOBILITAZIONI
Milano è stata anche, per decenni, e ancora oggi, la capitale del terzo settore, di quella solidarietà diffusa e associazionista che ha creato un altro mito inscalfibile, quello del milanese con il couer in man. Con tutte le sue contraddizioni, i suoi periodi bui, Milano è stata anche la città dove l'indignazione civica per la strage di Piazza Fontana del 1969 si è trasformata in memoria collettiva, finendo per partorire, quasi cinquant'anni dopo, un sindaco come Giuliano Pisapia che quella lunga stagione di mobilitazioni contro il potere politico ha vissuto fino in fondo, come militante di Avanguardia operaia prima, come avvocato engagé poi.

LA CRISI MORALE DEGLI ANNI 80
Il mito di Milanocapitale morale - rivitalizzato dal successo di Expò 2015 - entrò in crisi prima alla fine degli anni 70, con la sanguinosa parentesi del terrorismo rosso, poi negli anni 80, come contrappasso, dopo i grandi sindaci riformisti del dopoguerra (dal partigiano socialista Aldo Aniasi al sobrio Carlo Tognoli), con lo sbarco a Palazzo Marino di una nuova classe dirigente più dinamica ma anche vorace (coagulata attorno al Psi di Bettino Craxi) che in qualche modo, con i suoi comportamenti così poco meneghini, giunse a snaturare quel rapporto di fiducia che aveva legato per decenni i cittadini milanesi ai suoi un tempo sobri amministratori.

Nacque allora, negli anni 80, il mito della Milano da bere, della Milano by night ed edonista , dei favolosi guadagni di borsa a Piazzaffari che avrebbero consentito anche al travé di arricchirsi, del privato è bello, fino al suo necessario epilogo: lo scoppio di Tangentopoli che rivelò per la prima volta, agli stessi milanesi, che cosa nascondesse in realtà il mito della Milano capitale morale. Uno choc, un brusco risveglio per i cittadini milanesi dal quale tuttora faticano a riprendersi, nonostante l'indiscutibile successo di Expo  e - contro le previsioni delle cassandre - l'assenza di ombre corruttive sulla giunta insediatasi a Palazzo Marino nel 2011.  

Ha dunque ragione Cantone? È vero che gli anticorpi di Milano sono di più di Roma? La risposta, per chi scrive (che è nato ed è sempre vissuto a Milano, tra Porta Vittoria e Porta Venezia, tra l'Isola e Milano Nord)  è affermativa. Nonostante tutti i distinguo. Ci ha aiutato  la storica lontananza dal potere politico, dai ministeri. Il fatto di essere stati per un secolo il cuore dell'editoria, del mondo della cultura, delle avanguardie, dei grandi magnati (anche un po' filantropi) come i Falck e i Pirelli. Ci ha aiutato il fatto che generalmente, per i milanesi, non è necessario bussare alla porta di un politico per trovare lavoro.

È sufficiente? No, ma basta fare un giro  in automobile, nel traffico di punta, per accorgersi che a Milano  le regole sono un po' più rispettate che a Napoli o a Roma e i ghisa - fatto non trascurabile - le fanno rispettare, senza troppe eccezioni.  Questo significa che la corruzione e le infiltrazioni mafiose, per esempio nel movimento terra, sono state debellate? Tutt'altro. Ma possiamo, per una volta, guardare al futuro con un po' più di ottimismo. Voltando pagina finalmente, senza rinunciare a vigilare, dalla lunga eredità di Tangentopoli.



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Paolo Papi