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Omicidio Roberta Ragusa, i fatti, il processo al marito, Antonio Logli

Dalla scomparsa della donna, gennaio 2012, alla Cassazione. Storia di un omicidio e di un caso complesso

Una campagna buia, una notte nuvolosa e fredda, con 6 gradi sottozero. È questo il contesto in cui Roberta Ragusa, moglie e mamma di San Giuliano Terme in provincia di Pisa, con indosso soltanto una vestaglia rosa e un paio di ciabatte, scompare nel nulla. Era la notte tra il 12 e il 13 gennaio 2012, nemmeno 24 ore prima del naufragio della Costa Concordia. Da allora di questa donna, che tutti hanno descritto come madre premurosa e legatissima ai due figli ancora piccoli, non si è più saputo niente.

Roberta Ragusa, la scomparsa

Fu il marito, Antonio Logli, a dare l’allarme e ad avvertire i carabinieri della scomparsa della moglie. Raccontò di essere andato a letto dopo la mezzanotte e di essersi svegliato alle 7.30 del mattino seguente senza trovarla accanto. Alla domanda degli investigatori se vi fossero dei problemi familiari, Antonio Logli rispose di no, negando anche qualsiasi relazione extraconiugale da parte di entrambi. In realtà aveva appena ordinato di gettare il telefono cellulare e cancellare le mail alla sua amante, Sara Calzolaio, baby sitter di famiglia e impiegata presso la stessa autoscuola di proprietà di Roberta e Antonio.

Il marito, Antonio Logli

I due avevano una relazione da otto anni, all’insaputa di tutti. Ma Roberta aveva cominciato a sospettare qualcosa. Stava più attenta e cercava indizi per capire chi fosse la donna che – era ormai evidente – le stava rubando il marito. Proprio la sera della scomparsa Antonio Logli era in soffitta, nascosto tra gli scatoloni e con la tv accesa ad alto volume. Come ogni notte stava telefonando all’amante, Sara Calzolaio. Una telefonata che termina proprio 18 minuti dopo la mezzanotte. Fu allora che Roberta scoprì la relazione tra i due? Ne scaturì una lite? Antonio Logli ha sempre negato.

Le ricerche di Roberta furono attivate da subito, prima con le forze dell’ordine e i volontari, a centinaia, poi con strumenti sempre più sofisticati. Furono setacciati i corsi d’acqua, il lago di Massaciucoli, le grotte dei monti vicini, le campagne e boschi circostanti per un raggio di decine di chilometri. Una ricerca durata mesi che non ha mai dato frutti. Antonio Logli, intanto, venne iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio e soppressione del cadavere della moglie. Il cui posto fu preso, in casa, in famiglia e nel talamo, da Sara Calzolaio.

L'inchiesta

Il 3 dicembre 2014 la Procura di Pisa chiede il rinvio a giudizio del marito di Roberta per omicidio volontario e distruzione di cadavere; il 6 marzo 2015 il Gup Giuseppe Laghezza legge una sentenza di non luogo a procedere, perché il fatto non sussiste, ma il 18 marzo 2016 la Cassazione annulla il proscioglimento di Logli e rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale di Pisa.

È il 21 dicembre 2016 quando il Gup Elsa Iadaresta condanna con rito abbreviato Logli a 20 anni di carcere per l’omicidio della moglie. Sentenza confermata anche in secondo grado: il 14 maggio 2018 la corte di Appello di Firenze conferma la prima sentenza. Roberta Ragusa fu uccisa da marito per motivi economici al culmine di una relazione resa sempre più difficoltosa dalla infedeltà del marito, sfociata probabilmente in un acceso diverbio quando, la notte del 13 gennaio 2012, Roberta scoprì Antonio al telefono con l’amante.

I testimoni

Il processo fu soltanto indiziario e a influenzare il giudizio della corte sono stati fragili e contraddittori testimoni. Mesi dopo la scomparsa, infatti, un vicino di casa, Loris Gozi, rese una testimonianza che, seppur controversa e modificata nelle sue numerose versioni, ancora oggi è l’arma dell’accusa più pesante nei confronti di Logli. Gozi raccontó che proprio quella notte vide in strada, a distanza, Antonio Logli litigare con una donna e spingerla a forza dentro una macchina, facendole battere la testa. Orari, dettagli e localizzazione del testimone sono stati contestati dalla difesa di Logli, ma la sua testimonianza sarà, anni dopo, definita dalla corte di appello di Firenze “formidabile“.

La stessa corte che ha definito inattendibile un’altra testimonianza, di segno diametralmente opposto. È quella del vigile del fuoco Filippo Campisi che, prima con una lettera anonima e poi interrogato dai carabinieri, ha raccontato che la medesima notte, all’incirca allo stesso orario, aveva visto una donna camminare in strada davanti a casa Logli e salire su un grosso fuori strada.

La tesi della difesa, e degli stessi familiari di Roberta, figli compresi, è che la donna si sia allontanata volontariamente da sola. Un’ipotesi che la corte d’appello, nelle motivazioni della sentenza di conferma di condanna, smentisce categoricamente: “le ipotesi di un allontanamento volontario, pur astrattamente formulabile, risulta priva di qualsiasi concreto riscontro e estranea all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana”.

In sostanza la Corte stabilisce che Roberta, madre affezionatissima ai figli, non li avrebbe mai abbandonati. Né, d’altra parte, nonostante le ricerche durate anni e le numerose segnalazioni di avvistamenti, alcun elemento ha portato a individuare indizi che potessero autorizzare a pensare ad una fuga volontaria. “Fantasioso e illogico - insomma - pensare ad un allontanamento volontario”. Mentre, sempre per la corte d’appello, il marito sarebbw dotato di “capacità criminosa, freddezza nell’ideazione, precisione nell’esecuzione e efficacia nella soppressione del corpo”. Definizioni respinte con forza dal legale dell’elettricista di Gello, Roberto Cavani, ma anche dai figli di Roberta e Antonio, Daniele e Alessia. 

La Cassazione

L’ultima parola spetta alla corte di Cassazione. Il ricorso di Antonio Logli è stato giudicato dalla prima sezione della suprema corte, presieduta da Adriano Iasillo, lo stesso presidente della corte che, nel 2018, ha confermato l’ergastolo a Massimo Bossetti, l’assassino di Yara Gambirasio. 

E la Cassazione ha confermato la condanna per Antonio Logli che si trova quindi in carcere

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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