Omicidio Loris, il fratellino Diego sta male, vuole la mamma Veronica
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Omicidio Loris, il fratellino Diego sta male, vuole la mamma Veronica

I servizi sociali hanno segnalato il malessere del bambino al tribunale del minori, che ha nominato un neuropsichiatra infantile

Non ci voleva un giudice illuminato, bastava un buon padre di famiglia per capire che a un bambino di quattro anni non puoi strappare a forza la mamma dalla sua vita così, dall'oggi al domani, senza un perché. Neppure se la mamma, come nel caso di Veronica Panarello, è accusata di avere ammazzato il suo fratellino più grande.

Eppure i magistrati che indagano sulla morte del piccolo Loris Stival hanno tirato dritto, forti del rispetto formale delle leggi ma indifferenti di fronte all’evidenza che in casi come questo la severa applicazione delle norme può confliggere con la giustizia sostanziale e con il senso di umanità della pena.

La notizia è questa: il piccolo Diego sta male, soffre la mancanza del fratellino e della donna che l’ha tenuto in grembo per nove mesi, l’ha messo al mondo, lo ha allattato, cullato per farlo addormentare e preso in braccio per farlo volare.

Era prevedibile, ora è scritto nero su bianco su un atto ufficiale del tribunale dei minori di Catania, e precisamente nel provvedimento che nomina i consulenti chiamati a decidere sulla sottrazione della potestà genitoriale ai danni di Veronica Panarello.

Nella squadra di esperti chiamati a valutare se Veronica non deve più essere, almeno da un punto di vista legale, la mamma di Diego, ci sarà anche un neuropsichiatra infantile, la cui presenza si rende necessaria “vista la nota dei servizi sociali”.

Questo è scritto nel provvedimento, che rimanda a una relazione in cui gli operatori sociali segnalano l’evidente disagio del bambino che da sette mesi non sa che fine abbia fatto la sua mamma.

Contro Veronica Panarello tutti, ma proprio tutti, marito incluso, hanno scelto la linea dura. Interrogata da sola senza l'assistenza di un avvocato, facendo finta che fosse davanti al procuratore in qualità di testimone. Sbattuta in carcere tra due ali di folla che urlavano le peggiori contumelie. Impedita di partecipare al funerale di suo figlio, al quale non sono stati ammessi neppure i suoi fiori mandati dal carcere e lasciati sui gradini all'esterno della chiesa. Separata dall'unico figlio rimasto, dimenticando due principi fondamentali: quello della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva. E il diritto di un bambino alla sua mamma, fosse anche in modalità protetta stabilita dall'autorità giudiziaria.

Certo, se alla fine Veronica Panarello dovesse risultare innocente...

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Carmelo Abbate