No Tav
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I No-Tav sono costati più dello scavo

146 milioni di euro. E' il costo della sicurezza del cantiere della Torino-Lione. Una cifra che crescerà viste le proteste annunciate dopo il via libera di Conte all'opera

«Un inutile sperpero di denaro pubblico». Peggio: «Un colossale spreco di soldi». Da qualche lustro, i trinariciuti attivisti sobillano la rivolta contro l’alta velocità tra Torino e Lione. Ovvero: la madre degli sciali. E invece proprio loro, i rabbiosi e morigerati No Tav, ci sono già costati più della stessa Tav. Soldi pubblici, chiaramente. Da una parte, si staglia la folle spesa per sorvegliare il cantiere di Chiomonte e i danni provocati dagli antagonisti. Conto finale: 146 milioni di euro. Dall’altra, ci sono i 143 milioni, al netto degli oneri di sicurezza causati dai ribelli, serviti per scavare sette chilometri di galleria geognostica. Lavori preparatori. Perché del famigerato tunnel di base nel governo si continua a discettare: Lega favorevolissima, Cinque stelle contrarissimi. Nel mentre, giunge l’eterogenesi: il prezzo delle contestazioni ha già superato quello dell’opera avversata. Centoquarantasei milioni di euro: stimati per difetto. Che Panorama ha calcolato dopo aver incrociato plurime fonti: numeri ufficiali, studi universitari, dati ministeriali e prefettizi. Oltre che i consuntivi di Telt, società pubblica italo-francese incaricata dei lavori. Il risultato è quell’iperbolica cifra. Confermata pure dai superesperti dell’Università Bocconi di Milano. Conclusione: gran parte del fenomenale aggravio nasce dall’aver dovuto trasformare Chiomonte in un fortilizio.

Il cantiere viene inaugurato a metà 2011. Centri sociali e militanti armati partono all’attacco. Pochi mesi dopo, quei sette ettari di vigne e boschi diventano «area strategica d’interesse nazionale». Ossia: una base militare, come quelle Medio Oriente. E nel 2012, quando si comincia a scavare il tunnel esplorativo, la guerriglia s’infittisce. Come previsto. Quasi 200 assalti, conteggia l’Osservatorio per la Torino-Lione: mortai artigianali, bombe carta, pietre, razzi, ordigni, molotov. Assedi furibondi. Bollettino finale: 462 feriti tra le forze dell’ordine, un migliaio di denunce e oltre cento arresti. Un’incursione dopo l’altra, lo scavo termina nel 2017. E, un anno fa, i 170 operai e tecnici smettono di lavorare. La zona, però, resta un’inespugnabile piazzaforte. Perché, anche se la fresa ha finito di bucare la montagna, i rivoluzionari rimangono in agguato. Lo scorso febbraio la visita del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, viene salutata da usuali tafferugli e contestazioni. Intanto, il vicepremier ricorda: «Per presidiare quest’opera abbiamo impiegato decine di migliaia di uomini». Già: una sorveglianza bellica. Polizia, carabinieri, esercito e guardia di finanza: da 200 a 500 militari al giorno. «Almeno due per operaio» informa Paolo Foietta, presidente dell’Osservatorio. E nell’altro cantiere della Tav aperto sul versante francese? «Non c’è nemmeno un agente». Solo qualche guardia giurata. Alza la sbarra, saluta cordialmente, si rimette a far cruciverba. L’area di Saint-Jean-de-Maurienne è il triplo quella italiana. I lavori in corso valgono dieci volte quelli nella Val di Susa. Eppure, mentre noi ci armiamo fino ai denti, Oltralpe ricevono festanti scolaresche.

Così, eccoci a Chiomonte. S’imbocca una stradina dalla statale. I tornanti sono decorati da arcigne e bellicose scritte, fino al primo posto di blocco: cancelli, barriere di filo spinato, camionette. Da un gabbiotto escono due soldati. Check point: documenti, registrazione dell’auto, radio che gracchiano. Via libera provvisorio. Dopo qualche centinaio di metri, spunta l’ennesimo varco: quello che porta al tunnel. Nuovo alt. Lunghi controlli. Mezzi blindati che vanno e vengono. «Procedere prego». S’arriva a una piazzola. E, infine, alla galleria. C’è una ruspa e qualche operaio. Basta però gettare lo sguardo sopra lo scavo per scorgere, oltre il filo spinato, le bandiere dei rivoltosi. Una delle tante vedette nemiche. «Quelle da cui lanciano razzi, bottiglie e bulloni» delucida il sorvegliante.

Insomma: lo scavo è finito da tempo. Ma l’area è ancora in assetto marziale: 24 su 24. Da più di otto anni, le forze dell’ordine proteggono il cantiere. Quanto c’è costato, solo da maggio 2011 a luglio 2014, questo massiccio dispiego? Quasi 36 milioni. Divisi tra: personale, indennità, mezzi, pasti, pernottamenti, scorte, investigazioni e processi. La stima è di uno studio della Bocconi di Milano, curato da Lanfranco Senn. Ma altri cinque anni di strenuo controllo del sito obbligano ad aggiornare il calcolo a 90 milioni di euro. «Una stima addirittura prudente» ratifica Roberto Zucchetti, collaboratore della ricerca bocconiana e massimo esperto di Tav nell’ateneo milanese. «Negli ultimi anni» continua l’economista «le violenze sono diminuite, ma purtroppo le esigenze di sicurezza sono rimaste immutate». Lievitano invece le spese giudiziarie, servite per istruire e mandare a sentenza i procedimenti sulle devastazioni. Come il celeberrimo maxi processo di Torino. Che, in appello, ha portato alla condanna di 30 esponenti del movimento: quasi 120 anni di carcere. Un anno fa la Cassazione ha però annullato tutto. Si riparte da zero.

Tra i costi per la sicurezza, ci sono pure quelli sostenuti da Telt: recinzioni in muratura, filo spinato speciale d’importazione israeliana, control-room da film bellico, sale operative. Per un totale che ha raggiunto, rivela la società, 40 milioni di euro. Insomma: dal 2011 a oggi, per la scure antagonista, sono già stati impiegati 130 milioni di euro. Conta parziale, a cui vanno aggiunte le spese indirette. Come i mancati ricavi turistici. La Val di Susa è rimasta a lungo ostaggio dei violenti. Fino al 2014, i mancati incassi ammontavano a quasi dieci milioni di euro. «Ma pure negli anni successivi c’è stata una forte ricaduta negativa. Solo adesso la situazione comincia a normalizzarsi» spiega Patrizia Ferrarini, presidente della Confcommercio di Susa e titolare dell’Hotel Napoleon. Il saldo definitivo, sostengono le associazioni locali, è dunque di almeno 13 milioni di euro. A cui bisogna sommare un altro milione: i ricavi persi da Sitaf, società mista che controlla la A32 e il traforo del Frejus. Ha chiesto i danni per una trentina di blocchi autostradali organizzati dai facinorosi. Che hanno paralizzato la viabilità e impaurito i vacanzieri. Poi ci sono i costi sanitari, i giorni di lavoro persi, i danni alle imprese del territorio: l’ennesimo milione andato in fumo. Senza considerare le varie ed eventuali. Piero Nurisso, sindaco di Gravere e presidente dell’Unione montana Alta Valle di Susa, rincara: «Sono stati anni disastrosi per la nostra economia. Con un danno d’immagine incalcolabile. Perfino il valore degli immobili, complice la crisi, è crollato. Ora la speranza sono i nuovi cantieri, che porterebbero sul territorio lavoro e risorse».

Ecco dunque il congruo lascito degli indomiti oppositori alle grandi opere: 146 milioni di euro. Tanto ci sono costate le furibonde battaglie dei nuclei armati antiprogressisti, già fomentati da grillini e sinistra radicale. Tutti intrepidi rivoluzionari a spese degli altri.

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Antonio Rossitto