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Il neofascismo in Italia e quei principi non negoziabili

La supremazia della razza non può essere un valore in sé. In Italia, in Polonia, in America, ovunque. Per questo fa orrore solo tornarne a parlare

I neofascisti sono sulla scena della politica da molto tempo. Forse il movimento più eversivo e spiazzante è stato quello dei Nazibol di Eduard Limonov, lo scrittore russo recentemente consacrato dall’omonima biografia di Emmanuel Carrère.

Con un’alchimia al limite dell’assurdo Limonov ha voluto fondere nazismo e bolscevismo per scuotere la politica russa, a partire dalla bandiera del movimento, che ricorda quella del reich hitleriano ma con al centro la falce e il martello.

Ma se in Russia Vladimir Putin è riuscito a relegare i Nazibol a fenomeno marginale e, in fondo, letterario, nelle altre province dell’ex impero sovietico le cose sono andate diversamente.

In Polonia stiamo assistendo ad una costante egemonizzazione del già diffuso sentimento nazionalista da parte di gruppi dell’ultra destra. La manifestazione dello scorso novembre ha portato per le strade di Varsavia oltre 60 mila esponenti di un neo fascismo che fa della purezza del sangue bianco una valore assoluto. Questa manifestazione, nel giorno dell’Indipendenza polacca, ha oscurato sui media del mondo intero quella ufficiale delle istituzioni democratiche.

Ma anche a Praga, come d’altronde a Budapest, le elezioni si vincono basandosi su un’agenda che di conservatore conserva appunto poco, e rischia invece di appiattirsi sulla delirante ideologia dietro alla quale si nascondo, e neppure troppo, anfibi, jeans attillati e bomber neri.

Di là dall’Atlantico le cose non sembrano andare meglio. Negli Stati Uniti le polemiche dopo i fatti razziali di Charlottesville hanno addirittura oscurato il Russiagate. Ferita nel profondo l’America si è guardata allo specchio e l’immagine riflessa non è piaciuta a molti osservatori.

A comprovare che Charlottesville non fosse solo un passo falso ma il sintomo di una visione del mondo dozzinale e schematica, ecco Donald Trump retwittare pochi giorni fa i video della destra antislamica inglese, innescando il disappunto di Theresa May. Se non ci fosse Trump di mezzo, potremmo parlare di caso diplomatico, ma avendo il presidente USA spostato l’asticella dell’imbarazzo oltre il limite del conosciuto, si cerca ormai con il termine “Trumplandia” d’abbracciare questa fiera del non senso iperbolico.

Se aggiungiamo gli intellettuali francesi come Renaud Camus e la teoria della “Grande Sostituzione”, e cioè il tentativo strisciante di sostituire nel Vecchio Continente al ceppo europeo quello arabo e afro musulmano per mezzo delle migrazioni, il puzzle è tanto completo quanto preoccupante.

E L'Italia, come si colloca in questo contesto? L’episodio di Como è gravissimo. Immediatamente fagocitato da una campagna elettorale ormai dichiarata, ha sollevato commenti di ogni sorta. Ma certo si tratta di una forma di squadrismo, per quanto improvvisata e quasi imbarazzante per gli stessi protagonisti.

Il leader della Lega Matteo Salvini ha dichiarato, riferendosi ad un altro tema molto importante come il fine vita, che lui si “occupa dei vivi e non dei morti”. L’enormità gli offre comunque un assist per occuparsi esattamente di queste frange di vivi e cercare di capire come qualsiasi apologia di fascismo (anche scimmiottandone le modalità, tipo blitz) sia un episodio grave ed esecrabile.

Il fallimento delle destre classiche – in Italia, come in Francia e nel Regno Unito, ma anche negli Stati Uniti con la crisi del Partito Repubblicano inerte e di fatto scalato da Trump – ha lasciato spazio di manovra alla propaganda dei gruppi eversivi. Il passaggio ad una rappresentanza politica, come insegnano i fatti di Ostia con l’ascesa di Casa Pound (un’ascesa in verità non limitata alla sola Ostia), è solo questione di tempo.

Il punto tuttavia non è la rappresentanza (che rimane un diritto), ma i principi non negoziabili. La supremazia della razza bianca non può essere un valore in sé, e nessuna declinazione politica di quest’idea è ammissibile, a Washington come a Mosca, a Varsavia come a Roma.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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