Milano ed il respiro di un polmone solo
Il Duomo di MIlano ( Marco Cremascoli)
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Milano ed il respiro di un polmone solo

Il fotoreportage di Marco Cremascoli racconta le speranze e le paure del capoluogo lombardo quando tacciono i flashmob dei balconi e le persone affrontano il virus nel silenzio. Immagini in bianco e nero delle speranze dei milanesi e quindi di tutti gli italiani

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«Milano tre milioni Respiro di un polmone solo Che come un uccello Gli sparano Ma anche riprende il volo Milano lontana dal cielo Tra la vita e la morte Continua il tuo mistero», cantava Lucio Dalla nella sua canzone dedicata a Milano. Quel respiro si è fermato, sospeso tra la vita e la morte. Piazza del Duomo, Cordusio, i Navigli, la Darsena, Porta Romana, Gae Aulenti, Brera, Loreto, il Castello e poi la Barona, la Bicocca, la Martesana, corso Como e Citylife. Le strade sono mute, disabitate. Soprattutto quando si fa sera, spariscono le file ordinate davanti ai supermercati, tacciono anche i flashmob improvvisati dai balconi e in strada resta solo chi una casa non ce l'ha, vivendo un altro dramma nel dramma. La vita continua a filtrare dai cortili dei palazzi dalle finestre aperte sul nuovo mondo in quarantena. Dove si va a scuola in salotto, si chiacchiera con i parenti, gli amici, gli innamorati davanti a un telefono per capire se davvero, come dicono, andrà tutto bene. Poi la notte cala il silenzio, angosciante e surreale in una città che in tempo di pace non dorme mai.

Ora però si combatte la battaglia di Milano contro il nemico invisibile che l'ha svuotata ma non sconfitta. Da quel 20 febbraio nel pronto soccorso di Codogno che rimarrà scolpito nella storia dell'Italia, la città è in trincea. In piazzale Bacone sono spariti anche i vecchietti che giocano a scopa, ultima – folle - resistenza nei primi giorni di lockdown. La battaglia ora si combatte nei cimiteri dove spuntano tante piccole croci come quelle di Sarajevo.

Tutti i giorni la terra viene smossa di nuova. Nomi, cognomi e qualche foto a ricordare le vittime sul campo. E non c'è più posto nemmeno per cremare le salme di chi non ce l'ha fatta. La battaglia si combatte senza medaglie nelle panetterie, all'edicola, alla cassa dei supermercati, dietro a un camion dei rifiuti. La combatte ogni giorno chi rischia la pelle e non può stare a casa perché c'è bisogno della fanteria per vincere una guerra. Le staffette dei rider in bici portano il cibo caldo sulle spalle e non si fermano mai. Poi ci sono i soldati, quelli veri dell'esercito, impegnati nell'operazione Strade Sicure, la cui presenza si fa sempre più visibile dalla piazza antistante la stazione Centrale a diversi angoli del capoluogo.

Ma la battaglia più dura si combatte negli ospedali dove si contano i caduti anche nei ranghi dei soldati in camice. «La stanchezza è tanta, la paura la esorcizziamo. Il momento più bello? Ieri sera, quando abbiamo tolto il respiratore ad una paziente: l'ho vista sveglia dopo otto giorni di incoscienza e sedazione, ora respira con l'aiuto del caschetto Cpap. Mentre le parlavo annuiva con la testa: è stata un'emozione fortissima, ci guardano con occhi che parlano», ha raccontato all'Ansa Katia, infermiera di 42 anni, dopo aver smontato dal turno di notte nella terapia intensiva dell'ospedale San Carlo Borromeo. Nel suo reparto sono risultati positivi anche diversi medici e infermieri: "mi sentirei più sicura se il tampone fosse obbligatorio per tutti noi che lavoriamo in ospedale, almeno per sapere come dobbiamo comportarci anche fuori da qui, sarebbe una tutela non solo per me ma anche per gli altri colleghi, per la mia famiglia». Intanto si combatte.

Tutta Milano è col fiato sospeso. Respiro di un polmone solo, come cantava Dalla.

(Marco Cremascoli)

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Camilla Conti