Trattativa Stato-Mafia: il memoriale dei pm di Palermo
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Trattativa Stato-Mafia: il memoriale dei pm di Palermo

In 22 pagine tutte le prove raccolte dalla procura e consegnate al Gup Piergiorgio Morosini

Ventidue pagine che racchiudono l’indagine dei pm di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e Mafia all’indomani delle stragi del 1993.

Depositata sulla scrivania del gup di Palermo, Piergiorgio Morosini, il giudice che dovrà decidere se rinviare a giudizio uomini dello stato e capimafia, si conclude l’indagine sulla trattativa che porta in calce la firma di Antonio Ingroia (il pm e anima dell’inchiesta che ha provocato un conflitto istituzionale tra capo dello Stato e procura di Palermo) insieme a Lia Sava, Nino di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, gli altri magistrati che sostengono l’accusa.

Per il pool di Palermo, la trattativa tra le cariche più importanti dello Stato e i capi di Cosa Nostra, venne avviata dopo l’omicidio dell’europarlamentare della Dc, Salvo Lima. Il fine della trattativa era quello di far cessare l’attività stragista che aveva portato all’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avviata in seguito alla sentenza del maxiprocesso del 1992, sentenza che confermò i capi d’accusa ai boss di Cosa Nostra. Trattativa avviata, sempre per i pm, già sotto il governo Andreotti, proseguita con il governo tecnico di Carlo Azeglio Ciampi e giunta al culmine sotto il governo presieduto da Silvio Berlusconi quando si «realizzò un nuovo patto di coesistenza Stato Mafia, senza la quale la mafia non avrebbe potuto sopravvivere e traghettarsi dalla Prima alla Seconda Repubblica».

Dodici gli imputati, alcuni  dei quali scomparsi (Vincenzo Parisi e Francesco Di Maggio, capo della Polizia e vicedirettore delle carceri). Da una parte i capi mafia Totò Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, Massimo Ciancimino.

Dall’altra quelli che sono considerati gli intermediari da parte dello Stato: Giuseppe De Donno (ex capo del Ros), Nicola Mancino (ex ministro dell’Interno), Marcello Dell’Utri (senatore del Pdl), Calogero Mannino (senatore Dc), Antonio Subranni (ex Generale in congedo).

Per i pm in stretto rapporto con l’allora capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, venne scelta una sorta di linea morbida per quanto riguarda il carcere duro ai boss (41 bis, ndr). Strategia che avrebbe portato all’avvicendamento al ministero degli Interni di Enzo Scotti sostituito con Nicola Mancino e di Claudio Martelli (ai tempi Guardasigilli) con Vincenzo Conso, il quale decise di non rinnovare il carcere duro per alcuni boss sottoposti a regime.

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