Massimo Bossetti
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Niente scarcerazione per Massimo Bossetti

Il Tribunale di Bergamo respinge la richiesta perché inammissibile. Ma scoppia un nuovo caso. I suoi avvocati vogliono ripetere l’analisi sui vestiti di Yara. Ma quel reperto forse non esiste più

Massimo Bossetti, il muratore di Mapello in carcere dal 16 giugno scorso con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio, ha chiesto gli arresti domiciliari. I suoi avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni ieri hanno presentato l’istanza alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari di Bergamo, Ezia Maccora. Un cavillo burocratico - la mancata presentazione anche ai legali della parte lesa, Enrico Pelillo e Andrea Pezzotta - ha già portato al primo rigetto da parte del tribunale. I legali di Bossetti si stanno apprestando a rimediare, ripresentando la richiesta di un attenuamento della custodia cautelare. Risolto l'inghippo, cosa succederà adesso? Nulla. Non lo si dice apertamente, ma nessuno si aspetta che Massimo Bossetti possa uscire dal carcere prima della chiusura indagini. Anche se appaiono improbabili le ipotesi di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove. “Bossetti non si illude”, chiosano gli avvocati.

Ed ora? Per il processo bisognerà aspettare l’anno prossimo, quando saranno redatte e depositate le perizie tecniche che la procura ha disposto. Perizie che, salvo colpi di scena, dovranno poi essere controperitate dalla difesa.

Le quaranta pagine dell’istanza di scarcerazione però permettono di anticipare quella che sarà la linea processuale della difesa. Volta a minare le certezze dell’accusa, soprattutto quella granitica e apparentemente assoluta: il dna di Bossetti sugli slip di Yara. Gli avvocati chiedono che venga ripetuta l’estrazione del campione genetico. E’ possibile? Esiste ancora un frammento di dna di Ignoto 1, dopo che tanti laboratori lo hanno elaborato fino - pare – ad estinguerlo?

I difensori insinuano il dubbio: “Chissà, magari c’è stato qualche errore o non è stata seguita la procedura corretta…”. Precisa, l’avvocato Gazzetti: “Io sono codicista e il Codice Penale dice che la prova si forma nel dibattimento”. Vero a metà. Nel senso che in assenza di un indagato, il codice di procedura penale prevede che gli atti investigativi possano essere espletati senza la presenza dei difensori del futuro eventuale indagato. Quindi, quanto fatto finora avrà valore al dibattimento, anche se quel reperto non esiste più.

Difficile anche riuscire a mettere in dubbio l’operato del Ris di Parma, posto che tutti i tribunali d’Italia proprio al Ris si affidano per le analisi genetiche.

Piste investigative alternative ce ne sono? Se si, nessuno le percorre. Non la Procura, concentrata nel raccogliere altri indizi di colpevolezza su Bossetti; e nemmeno la difesa, che invece di tentare proprie indagini difensive, preferisce provare a minare le certezze dell’accusa, cercando di dare una spiegazione a quegli indizi e lavorando, quindi, di rimessa. Eppure di elementi che meriterebbero un approfondimento ce ne sono eccome. A cominciare dai numerosi dna ancora senza nome trovati sui vestiti di Yara nel campo di Chignolo d’Isola.

Ci sarebbe poi un’altra strada che, se percorsa, pur in caso di colpevolezza di Bossetti, gli risparmierebbe l’ergastolo. Ad oggi, infatti, non è chiaro né il movente né la dinamica del delitto. Ammesso che sia stato Bossetti ad uccidere Yara, perché ha scelto la ragazzina di Brembate? E cosa è successo nel tragitto di nove chilometri tra la palestra e il campo di Chignolo? Le risposte a queste domande potrebbero derubricare il capo di accusa, attenuarlo, alleggerendo quindi la posizione dell’indagato.

Ammettiamo che davvero Bossetti abbia ucciso Yara. Di certo, pur accettando il “dolo eventuale” abbandonandola ferita, non l’ha fatto volontariamente o con premeditazione, dato che Yara è morta dopo un’agonia di ore, per il freddo e le conseguenze dei colpi, non mortali, ricevuti. E ammettiamo anche che vittima e carnefice si conoscessero (è l’ipotesi che sostengono gli investigatori). Forse tra i due potrebbe essere successo qualcosa – sospettano sempre gli investigatori – che abbia provocato una reazione insensata nell’assassino. Tutte evenienze che – se ammesse e chiarite da Bossetti – potrebbero ridurgli, e di molto, l’eventuale condanna. Fino ad arrivare di poter pensare che, scontata metà pena, possa chiedere la semilibertà.

Ma Bossetti si dichiara innocente (e dobbiamo provare a credergli). Ed è pronto a tutto per dimostrarlo, costi quel che costi. Fosse anche l’ergastolo. 

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Giorgio Sturlese Tosi

Giornalista. Fiorentino trapiantato a Milano, studi in Giurisprudenza, ex  poliziotto, ex pugile dilettante. Ho collaborato con varie testate (Panorama,  Mediaset, L'Espresso, QN) e scritto due libri per la Rizzoli ("Una vita da  infiltrato" e "In difesa della giustizia", con Piero Luigi Vigna). Nel 2006 mi  hanno assegnato il Premio cronista dell'anno.

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