Manette ai giornalisti: non c'è alternativa?
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Manette ai giornalisti: non c'è alternativa?

Gli abusi della stampa vanno puniti: non c'è dubbio ma devono essere cercate modalità più eque. L'articolo su Oggi di Sergio Zavoli - Diffamazione e libertà di stampa, tutto sul caso Mulè

Di Sergio Zavoli - Oggi

C'è in giro una crescente e qua e là golosa richiesta di manette anche per l'informazione. Premesso che un giornalismo privo di scrupoli o addirittura asservito a determinati fini può realmente ledere reputazioni e interessi, non è certo assimilabile, tantomeno genericamente, a quanto accade negli ambiti della politica politicante, degli abusi o delle assenze di poteri costituiti, comprese le burocrazie inadempienti, dei faccendieri e delle lobbies, di una criminosità palese e occulta; e ci si domanda perché in tali cerchie la legge consente riduzioni dí pena, o miti modalità, per esempio ricorrendo ai cosiddetti "domiciliari", oppure consentendo che i continui rinvii dell`iter procedurale generino la prescrizione e, di fatto, l`impunità. Restando al nostro specifico tema occorre una normativa risoluta che metta ordine in un coacervo di imprecisioni, opportunismi, scopi ambigui o apertamente illeciti. Partirei dallo strumento più legittimo e trasparente: un obbligo di rettifica che trasformi eventuali reticenze e malizie in una tempestiva, completa, visibile ammissione d`infondatezza, peraltro non sempre perseguita dolosamente; e ciò senza che la mancata richiesta da parte dell'offeso (reale o presunto) renda improcedibile la querela in sede penale.

Dopo il caso Mulè, l'Ordine e la Federazione, in sintonia con i partiti maggiori, hanno decisamente ribadito il loro «no» al carcere, tuttavia chiedendo che si creino i presupposti di un`autentica equità, a tal fine estendendo la riprovazione anche alle sentenze temerarie, e alle scarcerazioni generose. Una ratio ragionevole, che fissasse risarcimenti e punizioni con adeguate misure professionali e pecuniarie, trarrebbe i giornali e i giornalisti più indifesi (economicamente e politicamente) dal pericolo di onerosi e inflessibili adempimenti, che non incoraggerebbero certo a scoprire e denunciare misfatti su cui sarebbe più prudente, ma anche più immorale e frustrante, sorvolare; e ciò nell`interesse primario di una ritrovata, fiduciosa coesione sociale, fondata sulle regole e le responsabilità. Ricordo le parole con cui il premio Nobel Albert Schweitzer mi congedò dopo un incontro televisivo a Lambaréné (in Gabon, ndr): «Fino a quando non diremo cose che a qualcuno dispiaceranno, non diremo mai, interamente, la verità».

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