La Procura contro Formigoni (da quasi 20 anni)
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La Procura contro Formigoni (da quasi 20 anni)

Da Oil For Food alle firme false: tutte le inchieste giudiziare che hanno sfiorato il governatore

In origine fu la spinosa inchiesta giudiziaria, degna di un intrigo internazionale, Oil for Food. Poi arrivarono le firme false, gli intrighi della P3 e i suoi uomini di fiducia travolti da bufere giudiziarie di varia e variegata natura. Infine, un avviso di garanzia “fantasma”.

Sulla cresta dell’onda politica dagli anni Settanta, dal 1995 inossidabile presidente della Regione Lombardia per quattro mandati consecutivi, Roberto Formigoni ha attraversato indenne la Prima e la Seconda Repubblica passando attraverso sei differenti partiti. Ultimamente, però, sono state numerose le inchieste giudiziarie che – suo malgrado – lo hanno sfiorato. O per meglio dire: accerchiato. Visto che, nel mirino della Procura di Milano, sono finiti prima i suoi assessori più fedeli e, alla fine, il suo nome. Una notizia che il “Celeste” continua a smentire ufficialmente:

"Nessun avviso di garanzia mi è mai stato recapitato". E lo conferma anche il suo avvocato di fiducia, Salvatore Stivala: "Non ci risultano iscrizioni al registro degli indagati". Il codice penale infatti parla chiaro: in alcuni e rari casi i magistrati possono tenere "segreta" l'indagine in corso. E neanche l'indagato sa di esserlo fin quando non si necessita un atto che richieda la presenza del proprio difensore.

Ma, a Palazzo di Giustizia, l’indagine in corso, nei suoi confronti, ci sarebbe eccome. E lo vedrebbe accusato di due reati distinti: corruzione e finanziamento illecito. Il primo farebbe riferimento ai molteplici benefit di ingente valore patrimoniale (vacanze, soggiorni, utilizzo di yacht, cene di pubbliche relazioni a margine del Meeting di Rimini) messi a disposizione del governatore dal mediatore d’affari Pierangelo Daccò (coinvolto nel “buco” da 70 milioni di euro della fondazione ospedaliera Maugeri); il secondo, ovvero il finanziamento elettorale illecito, sarebbe arrivato da un'azienda sanitaria privata in vista della sua campagna per le Regionali lombarde. In queste ultime ore, gli investigatori della Guardia di Finanza stanno passando al setaccio i documenti bancari e le carte di credito di Daccò: confrontando i flussi di denaro con la verifica dell’iter di alcune delibere regionali in campo sanitario, si stanno così ricostruendo i presunti versamenti alla base dell’accusa di corruzione. Per i magistrati di Milano, infatti, la Sanità del Pirellone è inquinata da un “sistematico versamento di tangenti”.

E, appunto, quest’ultimo fascicolo “fantasma” è solo l’ultima delle inchieste che da alcuni anni a questa parte stanno mettendo a dura prova l’aplomb britannico e la calma d’acciaio del Celeste. Finora, però, la sua poltrona all’ultimo piano del lussuoso e ultra moderno Pirellone-bis, è rimasta ben salda.

Le prime nuvole su di lui si abbattono negli anni Novanta, in piena era Tangentopoli. Ad accostare il suo nome a quello di alcuni indagati è Giorgio Cioni, all’epoca collaboratore di Formigoni eletto deputato, che doveva fornire chiarimenti su 150 milioni di lire sarebbero stati destinata al Movimento popolare. Ma da quella vicenda, il “Celeste” ne esce indenne. Anche se la tregua dura poco.

Nel marzo del 1998 la Procura di Milano chiede il rinvio a giudizio del già presidente della giunta regionale e di altre dieci persone per la bancarotta della società regionale Lombardia Risorse, società fallita, con bilanci falsi dal 1992, per un buco di venti miliardi di lire, che per l’allora pm Marco Maria Maiga era il “frutto malato dello scontro politico” tra Formigoni e uno degli amministratori della società, Walter Ganapini. Secondo i magistrati milanesi il governatore avrebbe contribuito al fallimento, ritardando ogni decisione. Ma anche stavolta, il Celeste rimane immacolato: il 12 giugno 2001 il giudice Maurizio Grigo lo proscioglie da ogni accusa.

Prima ancora, però, c’è la vicenda della Fondazione Bussolera-Branca, per la quale la Procura di Milano chiede il giudizio immediato. Per l’accusa Formigoni avrebbe messo le mani sui soldi della fondazione tramite la nomina di persone di fiducia che il governatore avrebbe disposto grazie a Fabio Pierrotti Cei, ai tempi presidente della Fondazione Branca Bussolera. Un accordo tra Formigoni e Cei che avrebbe permesso al presidente lombardo e all’assessore Francesco Fiori, ex responsabile regionale all’Agricoltura, di gestire la fondazione con la nomina di un consigliere di amministrazione. Le toghe, però, pure stavolta, sentenziano: non ci sono prove sul presunto accordo.

Le “grane giudiziarie” non si fermano. E siamo arrivati agli anni Duemila. Nel frattempo, Formigoni continua a governare incontrastato la “sua” Lombardia tanto da guadagnarsi – appunto – il suo soprannome da sapore mistico. Il 20 dicembre 2005, viene assolto nel processo per il caso relativo alla gestione della discarica di Cerro Maggiore, dove era accusato di favoreggiamento e abuso d’ufficio (assoluzione con formula piena) e corruzione. Per questa ultima accusa, arriva l’assoluzione con il comma II, che prevede l’assenza la contradditorietà o la carenza della prova.

E poi, ancora, la spinosa vicenda di Oil for Food. Una controversa inchiesta di corruzione internazionale, avvenuta attraverso una “mazzetta” da un milione di dollari a fronte di contratti per 63 milioni a funzionari iracheni, nel post Saddam Hussein, in cambio degli appalti per le forniture di petrolio sotto l’egida dell’Onu per far arrivare cibo e medicine alla popolazione stremata dalla guerra. In questa indagine, Formigoni non è mai entrato ufficialmente. Ma il suo rappresentante in Iraq, tale Marco Mazarino De Petro, viene condannato in primo grado. E prescritto in secondo. A fare il nome di Formigoni, sotto giuramento davanti agli ispettori dell’Onu, era stato Tarek Aziz, l’ex primo ministro del regime: “Il governatore della Lombardia Formigoni ha ricevuto assegnazioni di petrolio, fino a un anno prima della guerra, perché il governo di Bagdad intendeva concedere il greggio alle persone considerate sue amiche”.

E siamo al caso “Firmigoni”, nato dopo un esposto in Procura presentato dai Radicali, guidati da Marco Cappato. Le indagini avrebbero accertato la falsità di 618 firme presentate per la lista “Per la Lombardia” di Formigoni (a sostegno del listino ne vennero presentate circa 3800 in totale e la quota necessaria per legge è di 3500) e di 308 firme per la lista della circoscrizione provinciale milanese del Pdl. Quindici sono gli indagati totali, fra cui l’attuale presidente della Provincia Guido Podestà. Escluso - ancora una volta - il “Celeste”.

E, direttamente collegata alla vicenda delle firme false, c’è quella sulla lobby P3 del “faccendiere” Flavio Carboni. Secondo il contenuto di alcune  intercettazioni telefoniche, il governatore -proprio in merito all’irregolarità delle firme che rischiava di tenerlo fuori dalla competizione elettorale – avrebbe chiesto la mediazione del giudice Alfonso Marra, allora appena eletto presidente della Corte d’Appello di Milano.

Infine, soprattutto, sono “tutti gli uomini del Presidente” a essere coinvolti nelle indagini della Procura di Milano. I numeri parlano da soli: in due anni, sono caduti nella rete dei magistrati sei politici vicini al Celeste. Dal super-manager della Sanità Carlo Lucchina (l’ultimo in ordine di tempo a finire sotto inchiesta dieci giorni fa) all’ex assessore all’Ambiente Massimo Ponzoni passando per il suo braccio destro in Regione: l’ex vice presidente Franco Nicoli Cristiani.

Per l'entourage del Governatore questo elenco di inchieste dimostrerebbero l'esistenza di un disegno per abbattere Formigoni. Fino a questo momento le spallate lo hanno fatto al massimo traballare, ma mai cadere. Fino adesso.

Perché in questi ultime ore la Lega Nord potrebbe decidere di togliere l'appoggio al presindete eletto e di fatto sfiduciarlo, in vista di nuove elezioni regionali anticipate nel 2013.

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Arianna Giunti