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La grande ricchezza in una giocata

Viaggio a Caltanissetta dove tutti cercano il vincitore del jackpot da 130 milioni di euro

da Caltanissetta

Si sono ammalati della febbre dell’oro ma sono rimasti tutti con i soliti debiti. E infatti, quando la fortuna è passata da Caltanissetta, i numeri più giocati erano il 20 e il 24 che nel linguaggio della smorfia napoletana sono rispettivamente il debito e la disoccupazione, «ma se teniamo conto della smorfia moderna – spiega Arcangelo Lo Nobile, 78 anni da giocatore incallito – la disoccupazione fa 26 mentre i debiti 69».

In questa città siciliana di 60 mila abitanti, dove martedì scorso è stato centrato il jackpot al superenalotto, il quinto più alto di sempre (130,2 milioni di euro), la sospettata è una simpatica vecchietta che a bordo della sua Fiat Seicento celeste, dicono, avrebbe cominciato a suonare più volte il clacson di fronte alla ricevitoria. A distanza di giorni non si è ancora capito se lo abbia fatto per giubilo o solamente per trovare parcheggio. «E poi c’è il professore del vicino Liceo Scientifico Alessandro Volta, ma rimangono sempre alte le quote del bidello che però – assicura Claudio, fornaio e giocatore occasionale – non è ancora scappato, abbassando di fatto le probabilità sul suo conto».

Uda Cherraguie, 32 anni origine marocchina e coltissima, esclude “lo straniero” ma anche “il forestiero”, l’uomo di passaggio su cui si è inizialmente speculato, «una figura che serve a fare da esploratore, un po’ come quella che ha utilizzato il presidente della Repubblica». Come era prevedibile, il vincitore lo hanno cominciato a inseguire le televisioni che in questi casi – dice il consumato Lo Nobile – sono i peggiori investigatori perché non comprendono che al contrario del delitto qui il giallo non si risolve nelle primissime ore ma a distanza di mesi dall’accaduto.

Gli abitanti hanno dunque scelto la pazienza che era il metodo dell’ispettore Maigret e attendono il passo falso del fortunato che può tradursi in sole due mosse: la fuga per paura o l’imprudenza dell’esibizione. In ogni caso la rivelazione. Di sicuro, una mossa, anzi, una telefonata, che giurano non sia arrivata, la attendono anche Fabrizio Sunseri, ex impiegato Telecom, e la moglie Sabrina Savarino che dieci anni fa hanno deciso di rilevare questa ricevitoria ed edicola di via Vitaliano Brancati, tante case popolari e umanità di transito, convinti di fare la loro modesta fortuna ma non di attirarla e oggi avere difficoltà nel gestirla.

Da quando è stata comunicata la notizia della vincita sono sotto ostaggio dei clienti, e dei giornalisti, che non pretendono solo di conoscere il nome, («Non c’è verso di spiegare che davvero non lo conosciamo e che in quanto gestori non è prevista una percentuale sul premio»). Vogliono tutti le molliche del tesoro che qui sembrano cadere spesso dal bancone forse perché come pensa Gaetano D’Anna, ex muratore che tutti i giorni ragiona di numeri a piazza Garibaldi, «dove più si concentra la disperazione degli elementi, caldo e siccità, più corre in soccorso la provvidenza del cielo e l’aiuto dei santi».

I siciliani avanzano la pretesa di essere gli inventori del gioco, ricorda Lo Nobile che come si è ormai capito è un filosofo della materia: «Nel 1958 un certo Mario D’Agata di Lercara Friddi, in provincia di Palermo, ha fatto causa al Ministero delle Finanze. Sosteneva di essere l’inventore dell’enalotto da lui chiamato il Tonilotto. Il vero giocatore non deve fare mai più di dieci puntate al mese ma soprattutto deve avere la calmezza». La calma? «No, la calmezza. La fortuna è come una femmina che prima o poi balla con tutti». Non si sa se grazie ai consigli di Lo Nobile, ma l’anno scorso a Caltanissetta, sempre nella stessa ricevitoria, i “Cinque” sono stati ben due (1 da 180 mila euro l’altro da 160 mila euro). «Nei mesi scorsi altri 50 mila euro con un Gratta e Vinci» racconta Fabrizio, il proprietario, che ha giocato la schedina vincente alle 8,30 del mattino (costata solo 21 euro) e che ha finito per stordire tanto chi ha perduto quanto chi potrebbe incassare. Per strada, tutti si muovono come fossero Archimede e Pitagora, insomma danno i numeri che hanno cambiato la vita: 12-23-39-54-72-73...

Nell’edicola della speranza i giocatori non si sono solo moltiplicati ma adesso si aggirano pure intorno all’edificio e per il quartiere dove il parrucchiere Salvatore Pisa li vede fare da spazzini: «Rovistano cestini, raccolgono le ricevute dei Gratta e Vinci. Una volta si limitavano a grattare e confidare nella fortuna. Oggi confidano nella sfortuna di chi gratta ma non si accorge di aver vinto». È accaduto? «Si, a volte la furia di smacchiare ha la meglio sulla verifica». Non ci credo, e però anche io vedo una piccola donna camminare a passettini e chinarsi per terra. Si fa chiamare Borina, è pensionata, e dice che anche lei ha giocato e vinto qualcosa ma certo nulla di paragonabile a quella somma che, fa segno con le dita, farebbe perdere la testa e la salute.

A Caltanissetta raccontano la storia di un vetraio che, quasi dieci anni fa, vinse 1 milione e mezzo di euro. Fuggì a Cremona, si comprò una Lamborghini. Dilapidò tutto nel giro di pochi anni. Tornò a fare l’operaio più malmesso di prima. Un po’ come questo capoluogo di provincia che il sindaco Giovanni Ruvolo riconosce essere quint’ultimo nelle classifiche del benessere italiano, 17 mila euro il reddito medio, 40 per cento di disoccupazione giovanile, un centro d’accoglienza per migranti anche questo da numeri matti. Qui una casa costa 500 euro al metro quadrato.

Il vanto di Caltanissetta è stato da sempre l’amaro Averna il cui marchio è stato acquistato dalla Campari per 103 milioni di euro circa; in pratica ancora meno della vincita. «C’è solo da sperare che passata questa fase, il vincitore possa decidere di investire magari nel settore agro alimentare» si augura il sindaco. E invece dopo la fase dell’eccitazione è arrivato il momento del complottismo anche questo conseguenza della febbre. È quello che fa dire a Giuseppe Cordaro, ex ferroviere, «che Caltanissetta è solo la città fittizia ma che la giocata è stata effettuata al Nord».

Chi invece non vuole parlare è Don Rino che ha deciso di non voler dare conforto, e risposte, né ai cronisti né al suo gregge che forse mai come in questi giorni osserva smarrito, insomma da numero 90, “la paura”. In città, in realtà, gli abitanti non invidiano il vincitore ma maledicono la Sisal e quella cifra che rimane smisurata in qualsiasi posto del mondo ma ancora di più tra i dimenticati dalla geografia. Esperti di miseria, i nisseni, si sono scoperti così essere commercialisti di desideri, uomini che parlano al condizionale, «Io farei, io andrei, se potessi, forse…», eccetto Lo Nobile che finalmente dice la verità e proclama la sua sentenza: «50 anni di matrimonio, nozze d’oro, mai una discussione con mia moglie, salute buona, vista eccellente. Qualche capriccio. Lei come la chiama?». E se fosse lui?







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Carmelo Caruso