L'università antimafia. Un giallo calabrese
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L'università antimafia. Un giallo calabrese

Doveva essere la prima in provincia di V. Valentia. Ora è un giallo tra lettere e denunce

Doveva essere la prima università antimafia collocata in una della ville confiscate alla criminalità organizzata, adesso è la trama di una storia opaca nella Calabria della n’drangheta.

Limbadi, pochi chilometri da Vibo Valentia. “In confronto Reggio è Parigi”, dice Adriana Musella, presidente dell’associazione antimafia Riferimenti, l’associazione a cui era stato affidato il bene sequestrato alla famiglia mafiosa dei Mancuso. E’ stata lei, la figlia dell’ingegnere Gennaro Musella, ucciso dalla mafia, a denunciare e pretendere di vederci chiaro in una vicenda che si è colorata di giallo, dove comune e prefettura la fanno da protagonisti. Un edificio confiscato nel 2008 e un contributo assegnato all’associazione, (tre milioni di euro) allo scopo di riconvertirlo e farne un centro studi.

Tutto bene se non fosse che poche settimane fa, la Musella, viene avvertita in maniera ufficiosa dal prefetto di Vibo, Michele Di Bari, che non si può procedere alla ristrutturazione dell’immobile. Il motivo? Il terreno circostante all’immobile non era stato confiscato al punto che ne è impedito qualsiasi accesso. Sembra uno scherzo, in realtà non è la prima volta che accade.

“La volta scorsa mi fecero trovare la villa recintata con il fil di ferro e un mastino napoletano dentro. Poi arrivarono le minacce : “Vai via dal paese”. Una vicenda che non stupisce più di tanto la presidentessa che ostinata domanda, interroga. E domande ne fa pure sul consorzio a cui viene assegnato il compito di ristrutturare la villa, il consorzio “Crescere insieme”, al cui interno fanno parte enti pubblici.

A Vibo ho imparato a diffidare perfino degli enti pubblici. E io ho sempre perplessità nei confronti del consorzio”.

La Musella non si fida e qualche ragione comincia nutrirla quando arriva una lettera del sindaco di Limbadi, Francesco Crudi. “Una lettera sibillina”, in cui si parlava di rimodulazione del progetto e di “soluzione alternative, al fine di evitare circostanze che potrebbero mettere a rischio la prosecuzione del progetto stesso”.

Ci sono state delle rimostranze. Ma da chi? “Dal soggetto dell’oggetto. Dal mafioso in poche parole”, spiega la Musella. Il consorzio si dice pronto a rimodulare, ma a quel punto è la presidente che ne chiede l’abbattimento e denunciare tutta la vicenda in una conferenza stampa. Dall’impossibilità di accedere alla rimodulazione, fino alla sua denuncia esplicita, lei che è abituata a non arrendersi. “Non ho avuto dubbi nel chiedere la demolizione, con l’antimafia non si devono fare affari”. Combattiva, se non fosse che la Musella per prima è vittima di una vicenda al dir poco surreale e da raccontare. Minacciata dalla mafia, ha un servizio di scorta regionale.

Sì, avete capito bene, basta che oltrepassi la Calabria per trovarsi da sola con la paura di essere uccisa. “Sono sola, le solite cose all’italiana”. Come sola è nella sede del coordinamento “Riferimenti”, senza una telecamera all’esterno e proprio di fronte alle abitazioni dei Lo Giudice, famiglia mafiosa di Vibo.

“L’antimafia finisce appena oltrepasso il confine della Calabria, ma la mafia si ferma al confine? La mafia la faccio in trincea”, ribatte convinta e con quel tanto di coraggio che è la maschera della paura. Ma l’università antimafia? Dopo una settimana il prefetto la chiama e le dice: “C’è stato uno sbaglio, non serve rimodulare il progetto». Chi si è sbagliato? Tutti cominciano a chiederselo. “Se non avessi gridato, facevano una variante di progetto. Non vorrei che i Mancuso escano dalla porta e rientrino dalla finestra”. Di fatto l’università rimane un sogno destinato a non realizzarsi. I lavori non partono e quando sono iniziati si sono subito arrestati perché era stata richiesta una perizia suppletiva.  Cosa accade a Vibo? “E’ una provincia dove c’è connivenza e collusione a tutti i livelli anche nei palazzi, del resto le cronache lo hanno dimostrato. E’ una cappa impenetrabile”. E nella nebbia di Vibo, lei cammina dirigendosi alla fermata del suo treno sognando un giorno un’università.

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Carmelo Caruso