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ANSA/MIKE PALAZZOTTO
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Indagine sulle Ong al di sopra di ogni sospetto

Le navi delle organizzazioni umanitarie soccorrono ormai i migranti a poche miglia dalle coste libiche. Questo sta di fatto agevolando i trafficanti di uomini e i flussi di disperati diretti in Italia

(con la collaborazione Annamaria Angelone, Fausto Biloslavo, Oscar Puntel)

Sul ruolo delle Organizzazioni non governative (Ong) che soccorrono i migranti a ridosso delle coste libiche e li scaricano in Italia si sono accesi i fari di diverse procure. E non è vero che siamo ancora fermi nel campo delle indagini conoscitive.

Secondo quanto risulta a Panorama, sulle Ong e sull’operato in molti casi ritenuto anomalo delle loro navi, c’è un’inchiesta penale condotta da diversi uffici giudiziari della Sicilia. Ci sono fascicoli aperti con l’affidamento da parte dei pubblici ministeri di deleghe di indagine alla polizia giudiziaria, che nel riserbo più assoluto stanno anche cercando di capire se e chi finanzia davvero queste missioni umanitarie.

I magistrati vogliono far luce anche sul complicato sistema di scatole cinesi che porta molte delle navi impegnate nei soccorsi ad avere sedi nei Paesi off-shore.

Questo lavoro investigativo dovrebbe servire a ricostruire la strada dei finanziamenti e ad accertare eventuali intrecci illeciti.

Le inchieste

Proprio in questi giorni si deve decidere quale procura verrà chiamata a coordinare le diverse inchieste. Che la materia sia spinosa lo dimostrano il riserbo degli investigatori e

alcune indiscrezioni su accertamenti che riguardano anche gli enti preposti alla gestione dell’emergenza.

Le ipotesi di reato su cui si sta lavorando vanno dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina all’associazione per delinquere. Alcuni aspetti intanto sono certi, come ha spiegato il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, nel corso della sua audizione al Comitato Schengen di palazzo San Macuto a Roma.

Le navi delle Ong vanno a raccogliere i migranti fin dentro le acque territoriali libiche. Sono diminuite in maniera vertiginosa le chiamate di aiuto con telefono satellitare che partivano dai barconi all’indirizzo del comando generale delle Capitanerie di porto. Fattore che lascia pensare che gli scafisti conoscano le rotte da seguire per incrociare le imbarcazioni umanitarie, oppure che le stesse navi delle Ong siano dotate di un sistema di controllo del mare in grado di intercettare i natanti.

Fatto sta che il 2016, con 181.436 arrivi, ha fatto segnare il record storico di migranti approdati sulle nostre coste.

Con un picco di 27.384 sbarchi nel mese di ottobre, tre volte superiori rispetto allo stesso periodo del 2015. Approdo principale, i porti siciliani: Augusta in testa, poi Pozzallo, Catania, Messina e Palermo.
I migranti recuperati dalle navi delle Ong sono stati 46.796, circa il 25 per cento del totale, che secondo quanto riferito da Zuccaro si sono concentrati soprattutto nei mesi di settembre e ottobre, quando la flotta non governativa è cresciuta fino a raggiungere 13 unità navali. Il procuratore di Catania riferisce che nei primi mesi del 2017 questa percentuale sarebbe già salita al 50 per cento.

Lasciamo perdere per un attimo la capacità di accoglienza da parte dell’Italia e rimaniamo sui salvataggi di vite umane. La domanda è semplice: il soccorso vicino alle coste libiche ha portato a una diminuizione del numero dei morti durante le traversate?

No, tutt’altro. Secondo i dati ufficiali dell’Unhcr, il 2016 si è concluso con il peggior bilancio di sempre: oltre 5 mila decessi e dispersi, più 23 per cento rispetto al 2015. E nei primi due mesi del 2017 siamo già a 485 morti tra uomini, donne e bambini, contro i 425 dell’anno scorso.

Efficacia umanitaria? Non sempre

Nessuna efficacia dunque, da un punto di vista umanitario.

Ma l’impegno delle Ong non produce effetti neppure nel provare a sottrarre i disperati dalle grinfie dei trafficanti di esseri umani. Anzi, le indagini delle procure siciliane hanno registrato quello che Zuccaro chiama un «azzeramento» dell’attività di contrasto dei criminali.

Anche perché, essendo diventato il tragitto molto più breve, i yrafficanti non mettono più un loro uomo a guidare i barconi. E infatti è calato il numero di criminali arrestati.

Significativo poi l'atteggiamento reticente dei migranti che sbarcano dalle navi delle Ong, meno disposti a rispondere e collaborare alle indagini rispetto a quelli trasportati sulle navi militari, dove fra l'altro è prevista la figura del facilitatore alle indagini. Intanto i costi per la collettività aumentano.

Nel 2016 la spesa complessiva per l'immigrazione è arrivata alla cifra record di 4,2 miliardi di euro. E per il 2017 sono già stati stanziati 3,8 miliardi (senza tener conto dei 200 milioni del Fondo per l'Africa), 860 milioni solo per il soccorso in mare.

Un autentico pezzo di economia per tanti piccoli e grandi centri d'affari che vivono di immigrazione clandestina. La denuncia clamorosa del procuratore di Catania è solo l'ultimo tassello di un mosaico la cui costruzione è iniziata lo scorso anno.

È il 3 marzo, il generale austriaco Wolfgang Wosolsobe, capo dello staff militare dell'Unione europea, durante una audizione a porte chiuse al Parlamento inglese, suona il primo campanello di allarme: "I migranti sembrano ricevere istruzioni e linee guida su come evitare di dare informazioni" alla polizia italiana riguardo alla rete dei trafficanti da "almeno una delle Ong che operano nella zona" dichiara l'alto ufficiale, che dipende dall'ufficio di Federica Mogherini, l'Alta rappresentante per la politica estera europea.

Davanti allo sbigottimento dei Lord di Londra, il generale conferma: "Abbiamo le prove". Un ammiraglio italiano che ha avuto un impegno diretto nell'area, conferma a Panorama: poi l'atteggiamento reticente dei migranti che sbarcano dalle navi delle Ong, meno disposti a rispondere e collaborare alle indagini rispetto a quelli trasportati sulle navi militari, dove fra l'altro è prevista la figura del facilitatore alle indagini. Intanto i costi per la collettività aumentano.

Spesa per l'immigrazione

Nel 2016 la spesa complessiva per l'immigrazione è arrivata alla cifra record di 4,2 miliardi di euro. E per il 2017 sono già stati stanziati 3,8 miliardi (senza tener conto dei 200 milioni del Fondo per l'Africa), 860 milioni solo per il soccorso in mare. Un autentico pezzo di economia per tanti piccoli e grandi centri d'affari che vivono di immigrazione clandestina. La denuncia clamorosa del procuratore di Catania è solo l'ultimo tassello di un mosaico la cui costruzione è iniziata lo scorso anno.

È il 3 marzo, il generale austriaco Wolfgang Wosolsobe, capo dello staff militare dell'Unione europea, durante una audizione a porte chiuse al Parlamento inglese, suona il primo campanello di allarme: "I migranti sembrano ricevere istruzioni e linee guida su come evitare di dare informazioni" alla polizia italiana riguardo alla rete dei trafficanti da "almeno una delle Ong che operano nella zona" dichiara l'alto ufficiale, che dipende dall'ufficio di Federica Mogherini, l'Alta rappresentante per la politica estera europea.

Davanti allo sbigottimento dei Lord di Londra, il generale conferma: "Abbiamo le prove". Un ammiraglio italiano che ha avuto un impegno diretto nell'area, conferma a Panorama: "Gli stessi sopravvissuti ci raccontavano del personale umanitario che li aveva soccorsi in mare che li istruiva a non collaborare con la polizia e non fare i nomi dei trafficanti". Il rapporto con le rivelazioni di Wosolsobe viene pubblicato sul sito del Parlamento britannico il 13 maggio dello scorso anno, prova evidente che la situazione era formalmente nota a tutte le più alte cariche istituzionali, a cominciare dalla stessa Mogherini. Passano i mesi.

La fondazione indipendente Gefira, con sede a Nijmegen in Olanda, effettua un monitoraggio delle imbarcazioni umanitarie sul Mediterraneo attraverso il sito Marine traffic, che traccia i percorsi e le posizioni delle navi. Il 12 ottobre Gefira scopre che una giornalista olandese, Eveline Rethmeier, dell'emittente Rtl nieuws, si trova a bordo della nave Golfo azzurro dalla quale fa partire una cronaca in diretta, anche su Twitter, dell'attività di bordo. Gefira incrocia i tweet della giornalista con i relativi movimenti in mare delle imbarcazioni. Scrive Rethmeier: "Alle 8 del mattino riceviamo la notizia che una barca è in difficoltà a circa 30 miglia da noi. La Guardia costiera italiana richiede assistenza".

La giornalista pubblica un video con un uomo che lei qualifica come il responsabile della nave, che dice testualmente in inglese: "C'è tanta chat sulla radio questa mattina, ed è la Guardia costiera che parla. Sembra che qualcosa stia succedendo: non abbiamo ancora il segnale, non abbiamo ancora il lavoro, ma ci stiamo muovendo verso la posizione, quindi preparatevi, state pronti".

Golfo azzurro si trova a 30 miglia di distanza dal punto dove poi avverrà il salvataggio, in acque territoriali libiche. Alle 19 della sera, secondo l'agenzia Ansa, il "Maritime rescue coordination centre di Roma contatta le navi Phoenix, Golfo azzurro, Astra e Juventa, per una operazione di recupero". Alle 20, un rimorchiatore registrato in Italia, il Megrez, lascia il porto libico di Mellitah e si porta fino a 6 miglia fuori dalla costa. Alle 20,40 il rimorchiatore si ferma a due miglia dal punto dove avviene il salvataggio, e torna indietro.

Non si registra nessun altro movimento nella zona, solo questo rimorchiatore che esce a fare una passeggiata in mare di notte. Alle 21,20 un drone della nave Phoenix identifica un gommone a 8,5 miglia da Mellitah, in acque libiche. Vengono soccorse 113 persone. Il porto più vicino è Zarzis, in Tunisia, ma vengono portate a Pozzallo.

Taco Dankers è il responsabile di Gefira, una sorta di think tank paneuropeo. Lo raggiungiamo al telefono in Olanda e ci pone questa domanda: "Come è possibile che secondo quanto riferisce la giornalista olandese si sapesse 10 ore prima cosa sarebbe successo in acqua territoriali libiche?" Siamo a novembre dello scorso anno. Anche l'agenzia europea Frontex nota alcune anomalie sulle modalità di trasporto dei migranti: imbarcazioni senza acqua, cibo, coperte.

Gommoni

Carburante ridotto al minimo. Niente più barconi ma solo gommoni, sui quali il numero dei viaggiatori da 100 arriva fino al doppio. Partenze anche in condizioni del mare avverse e in ore notturne. In un rapporto interno pubblicato dal Financial Times, Frontex parla di migranti che al momento della partenza hanno ricevuto "chiare indicazioni sulla direzione da seguire per raggiungere le imbarcazioni delle Ong". L'atto d'accusa si formalizza nel rapporto annuale 2017, nel quale Frontex scrive di "involontario aiuto" ai trafficanti di esseri umani. Le anomalie certo non mancano a bordo delle 13 unità navali che operano nel Mediterraneo per conto di organizzazioni no profit, alcune delle quali sono parte di progetti finanziati dalla fondazione del miliardario americano George Soros. Ci sono Save the children e Medici senza Frontiere, che opera con due unità: Bourbon argos e Dignity1. Ci sono poi ben cinque Ong tedesche: Sos Mediterranée, fondata dall'ex ammiraglio Klaus Vogel, con la nave Acquarius, i cui costi di missione ammontano a 11 mila euro al giorno. Sea watch foundation, con due unità navali, una battente bandiera olandese l'altra neozelandese, e alcune unità aeree. Sea eye, con un peschereccio che batte bandiera olandese e un motoscafo. Life boat con la nave Minden, bandiera tedesca. Jugend Rettet, con il peschereccio Iuventa.

Una Ong è spagnola, la Proactiva open arms, con due unità: Astral e Golfo azzurro. Infine c'è l'organizzazione maltese Moas, con le due navi Phoenix e Topaz responder, fondata e finanziata da una coppia di miliardari italo-americani, Regina e Chris Catrambone, che gestiscono il Tangiers group, specializzato in "assicurazioni, assistenza nelle emergenze e servizi di intelligence".

Ed è quantomeno curioso che nel consiglio di Moas sieda Ian Ruggier, ex ufficiale maltese, che ha represso duramente le proteste dei migranti sbarcati in passato sull'isola. Come appare curioso che la maggior parte delle Ong abbiano la base operativa a Malta, vadano a prendere i migranti fin dentro le acque territoriali libiche per poi passare alla larga dalla stessa Malta e "scaricare" in Sicilia. Il guaio è che possono farlo, lo consentono le norme internazionali sottoscritte anche dall'Italia, come afferma Giuseppe Nesi, preside della facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento, docente di diritto internazionale, già consigliere giuridico del presidente dell'assemblea generale delle Nazioni Unite.

Tredici aree di soccorso

"La Convenzione Search and rescue (Sar), Ricerca e salvataggio, stipulata nel 1979 in sede di Organizzazione marittima internazionale, ha diviso il mondo in 13 aree di soccorso" spiega Nesi, che fa riferimento anche alle successive modifiche normative. "Chi presta soccorso deve verificare qual è il porto più vicino e più sicuro". Non solo vicinanza, dunque, ma anche sicurezza.

"Valutazione che spetta al comandante della nave e al coordinatore dell'area, che è sempre uno Stato. E nel caso del basso Mediterraneo, guarda caso, è proprio l'Italia. Malta invece è l'unico Paese che ha addirittura rifiutato di aderire alla convenzione". Ecco come riesce a lavarsene le mani. Mentre l'Italia se l'è legate da sola, insieme con i piedi.

(Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale Panorama in edicola il 30 marzo 2017; pubblicato sul sito web Panorama.it il 3 aprile 2017)

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Carmelo Abbate