Strage nel Canale di Sicilia, violenze e morte durante la traversata
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Strage nel Canale di Sicilia, violenze e morte durante la traversata

Le testimonianze dei sopravvissuti: "Un ragazzo ucciso perché si era alzato senza permesso" - FOTO, VIDEO

Giovedì 23 aprile

Il punto

A ribadire l'"inumana violenza" dei trafficanti è l'inchiesta della Procura di Catania sul più terribile naufragio di migranti nel Mediterraneo e sui due presunti scafisti che erano, secondo l'accusa, il 'comandante', il tunisino Mohammed Ali' Malek, e un componente dell'equipaggio, il siriano Bikhit Mahmud. Contro di loro, che si proclamano innocenti, sostenendo di essere sei "migranti che hanno pagato il viaggio" le testimonianze di diversi degli altri 26 sopravvissuti. Racconti agghiaccianti ascoltati dalla Guardia costiera e dalla Polizia di Stato, dagli investigatori dello Sco di Roma e della Squadra mobile della Questura di Catania, che sono entrati nel fascicolo della Dda etnea.


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"Eravamo un migliaio - raccontano i sopravvissuti agli investigatori - siamo stati per quasi un mese dentro un capannone, ad Al Garabulli, non lontani da Tripoli, c'erano uomini armati che ci controllavano. E chi dovrebbe controllare la zona, come la 'polizia' libica, i trafficanti "consegnavano soldi. Erano violenti e picchiavano anche senza motivo, soprattutto se provavi a disobbedire, ma anche se uscivi per esigenze fisiologiche". Diversi dei superstiti parlano anche "di decessi avvenuti prima della partenza a causa delle bastonate". Ma anche di migranti "morti di stenti, per la stanchezza di lunghi viaggi, lo stress dell'attesa", ma soprattutto "per la carenza di cibo e acqua" che ci sarebbe stata "anche durante la traversata". Un teste ricorda la morte di un ragazzo: "eravamo su un gommone e stavamo per raggiungere il peschereccio quando all'improvviso si è alzato, è stato picchiato selvaggiamente e poi il corpo è stato gettato in mare, nessuno ha parlato per la paura di fare la stessa fine...". A bordo del peschereccio, ha ricostruito la Procura di Catania, c'erano il 'comandante' tunisino e il suo 'aiutante' siriano. Il primo nega ogni addebito: "sono un migrante in viaggio e non so altro". Il siriano si difende e accusa l'altro indagato: "aveva una cabina con vetri tutta a sua disposizione - ha detto ai magistrati - dava ordini dicendo di non muoverci per problemi di sicurezza e aveva un telefono satellitare".

Lo accusano anche due dei minorenni sopravvissuti che lo hanno visto. E un bengalese ricoverato in ospedale ha detto che "aveva un'arma e un bastone che usava per controllare i migranti a bordo". Per la Procura le due posizioni sono diversificate, ma il siriano sarebbe anche lui uno scafista che, hanno rivelato diversi sopravvissuti, "aveva un telefono satellitare che usava per mantenere i rapporti con l'organizzazione libica". I due sono stati interrogati nel carcere di Catania dal Gip Maria Paola Cosentino che deve decidere sulla richiesta di convalida del loro fermo e sull'emissione dell'ordine di carcerazione. 

Lunedì 20 aprile

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11:20 - "Ci hanno raccontato che a bordo del barcone c'erano tra 700 e 900 persone, la maggior parte stipati nella stiva dove sono rimasti intrappolati dopo il capovolgimento del barcone". Lo ha detto il comandante della nave Gregoretti della Guardia Costiera, Gianluigi Bove, conversando con i giornalisti sulla banchina del porto de La Valletta dove sono in corso le operazioni di sbarco delle 26 salme del naufragio avvenuto davanti alle coste libiche.

Le testimonianze dei 28 superstiti, uno dei quali è stato trasportato d'urgenza ieri in elicottero nell'ospedale di Catania, confermerebbero che la tragedia avrebbe proporzioni più ampie rispetto al numero di vittime che era stato inizialmente ipotizzato. I sopravvissuti, tutti maschi, sarebbero complessivamente in buone condizioni di salute, anche se appaiono visibilmente provati da quanto accaduto.

Sono in gran parte provenienti da paesi dell'Africa sahariana - eritrei, somali, sudanesi - ma anche dal Bangladesh.

Il naufragio, secondo la ricostruzione del comandante Bove, sarebbe avvenuto sabato sera, subito dopo l'arrivo del mercantile portoghese King Jacob, che era stato dirottato in zona dalla Centrale operativa della Guardia Costiera di Roma.
"La nostra nave - ha raccontato l'ufficiale - è arrivata nella zona del disastro intorno alle 2 di notte. Del barcone non c'era più alcuna traccia, tranne alcuni detriti e chiazze di nafta. Siamo riusciti a recuperare due naufraghi, mentre altri 26 erano già a bordo della nave portoghese". Non appena saranno ultimate le operazioni di sbarco delle 26 salme la nave Gregoretti ripartirà alla volta del porto di Catania; l'arrivo è previsto in serata.



Il punto
Uno dei tanti viaggi della speranza dalla Libia verso l'Italia, si è trasformato in un'ecatombe di migranti. Nella notte fra sabato e domenica è naufragato un barcone di circa 20 metri: sono centinaia le persone morte; le prime stime fatte dalla Guardia Costiera parlavano di 700, ma la testimonianza di un sopravvissuto, portato in elicottero all'ospedale di Catania, parla di 950 persone a bordo. È un un giovane del Bangladesh: "Siamo partiti da un porto a cinquanta chilometri da Tripoli, ci hanno caricati sul peschereccio e molti migranti sono stati chiusi nella stiva. I trafficanti hanno bloccato i portelloni per non farli uscire".

Si tratterebbe della più grave sciagura del mare dal dopoguerra, peggiore anche della strage di Lampedusa (Agrigento) del 3 ottobre 2013, che fece 366 morti e 20 dispersi. 

Numeri da verificare
I numeri devono ancora essere verificati, ma la Guardia Costiera ha confermato che il barcone che si è capovolto era in grado di portare "diverse centinaia di persone" ed era "sovraccarico di migranti". Scafisti senza scrupoli - l'Italia ne ha arrestati 976 negli ultimi mesi, ha sottolineato il premier Renzi - avevano portato a termine al di là del Mediterraneo l'ennesimo "affare", raccogliendo tra i disperati il denaro preteso per la traversata del Canale di Sicilia e avevano riempito di migranti il barcone oltre ogni ragionevole limite.

Chiusi nella stiva
Molti erano stati chiusi nella stiva ed i portelloni, secondo la testimonianza di un sopravvissuto, erano stati bloccati alla partenza. Su ciò tenterà di fare luce l'inchiesta aperta dalla Procura di Catania. Ieri, sabato, l'organizzazione che gestisce la tratta ha dato il via libera alla partenza verso l'Italia con un copione anche questo già conosciuto.

Naufragio nel canale di Sicilia: i soccorsi della Guardia Costiera

Partiti dall'Egitto
Il barcone partito dall'Egitto ha caricato i migranti da un porto della Libia, vicino alla citta' di Zuara. Era quasi sera, infatti, quando al Centro Nazionale Soccorso della Guardia Costiera è arrivata una telefonata da un satellitare Thuraya. "Siamo in navigazione, aiutateci", ha detto un uomo - forse complice degli scafisti - con tono di voce neanche concitato. Una telefonata simile a tante arrivate nelle ultime due settimana da barconi e gommoni carichi di migranti. Quasi un invito affinché le navi italiane raggiungessero il barcone per consentire ai "passeggeri" - così tanti da riempire ogni spazio del barcone - di completare la traversata verso le coste italiane.

L'allarme
Il dispositivo di soccorso si è subito messo in moto: grazie al sistema satellitare di chiamata, la Guardia Costiera ha potuto rapidamente individuare le coordinate del punto dal quale era partita la telefonata e ha organizzato i soccorsi. Il barcone era a circa 70 miglia a nord delle coste libiche (110 miglia a sud di Lampedusa) quando è stato raggiunto dal King Jacob, un portacontainer di 147 metri di lunghezza, con bandiera del Portogallo, che aveva già compiuto negli ultimi giorni quattro soccorsi di naufraghi e che è stato dirottato, insieme a un altro mercantile, verso i migranti.

La tragedia
Secondo quanto ha raccontato il comandante del mercantile i migranti, visto il portacontainer, si sono spostati in massa su una stessa fiancata, quella del lato del mercantile. "Appena ci hanno visto, si sono agitati - ha raccontato il comandante del 'King Jacob' - e il barcone si è capovolto. La nave non ha urtato il barcone". E' stata l'ultima beffa: il naufragio in presenza della nave di soccorso. Dal mare sono stati tratti in salvo 28 migranti e uno di loro - un eritreo che si esprime in inglese - ha parlato di circa 700 persone finite in acqua. Ma un sopravvissuto originario del Bangladesh, che è stato portato in elicottero all'ospedale di Catania, ha poi detto alla polizia che a bordo c'erano fino a 950 persone, fra cui 40-50 bambini e circa 200 donne.

I soccorsi
Subito dopo il naufragio e' stata messa in campo un'imponente operazione di soccorso, che ha coinvolto anche navi dell'operazione Triton, dell'agenzia Frontex: unità navali della Guardia Costiera, della Marina Militare italiana e maltese, mercantili e pescherecci di Mazara del Vallo (Trapani) - 18 mezzi in tutto, coordinati da nave Gregoretti, della Guardia Costiera, che ha assunto il comando dell'intervento - hanno recuperato 24 cadaveri (che, a bordo della stessa Gregoretti, saranno trasferiti nelle prossime ore a Malta) ed hanno perlustrato un vasto tratto di mare alla ricerca di altri superstiti.

Aerei militari hanno sorvolato l'area lanciando zattere e salvagente: la temperatura dell'acqua, di 17 gradi circa, e le buone condizioni del mare lasciano ancora una flebile speranza, che, tuttavia, non basta a cancellare l'immagine di un Mediterraneo sempre più simile ad un grande cimitero di guerra. (ANSA)

La salma di una delle vittime del naufragio nel Meditterraneo viene sbarcata dalla nave Bruno Gregoretti nel porto di Malta, 20 aprile 2015 (Matthew Mirabelli/AFP/Getty Images)

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