Greta Thunberg
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Siamo grati a Greta Thunberg, ma occhio ai furbi

La giovane leader del movimento ambientalista ha smosso il mondo. Speriamo i soliti furbi non se ne approfittino

Quando Carlo d’Inghilterra, qualche tempo fa, fu invitato a ricevere un importante premio ambientalista negli Stati Uniti ci andò con uno degli aerei più inquinanti del mondo. Il suo collega di corona Carlo Gustavo di Svezia, mentre assurgeva alla guida del Wwf locale, entrava anche in una società ritenuta responsabile del disboscamento dell’Amazzonia. Lord Peter Melchett, già direttore di Greenpeace Gran Bretagna, ha passato metà della sua vita a lottare contro i semi transgenici e l’altra metà a produrli (in pratica: prima ha incendiato i campi della Monsanto, poi ne è diventato consulente). E quando i giornali americani andarono a indagare su Al Gore, vicepresidente Usa convertitosi alla causa dell’ambientalismo radicale, scoprirono che nei suoi terreni c’era una fabbrica di zinco, cui il leader democratico aveva concesso, in cambio di un ricca royalties, di scaricare nei fiumi sostanze tossiche in grande quantità.

Non so perché ma mi sono tornati in mente questi episodi quando ho sentito che Greta Thunberg, la 16enne svedese con le trecce bionde, diventata simbolo dello sciopero ambientale e della lotta per salvare il mondo dall’inquinamento, è stata candidata al Nobel per la pace. Per carità: la ragazzina sarà mossa dai più nobili ideali. Ma come si fa a pensare davvero che abbia creato questo movimento tutto da sola? Come si fa a credere alla favola della studentessa malata che si piazza davanti al Parlamento svedese e di lì, con la sua ostinazione, riesce a smuovere il pianeta? È ovvio, ed è stato scritto, che dietro di lei si muove una macchina complessa e ben organizzata, guidata da un grande esperto di marketing e pubblicità, che si chiama Ingmar Rentzhog, con l’appoggio dei due genitori, tutt’altro che digiuni di media e comunicazione. Infatti papà è un attore e la mamma una cantante lirica che vanta importanti esperienze anche nell’Eurovision.

La narrazione corrente dice che «i genitori l’hanno lasciata fare», e che la popolarità di Greta è cresciuta come per magia, attraverso il passaparola e i buoni sentimenti dei suoi coetanei. Ed è una narrazione così convincente che sarebbe bello persino crederci, se non fosse che poi la delusione potrebbe essere insopportabile. L’impressione che Greta sia stata usata è fortissima. Pensateci: lei è l’icona perfetta, il volto pulito, la maschera di cui l’ambientalismo aveva bisogno, dopo i travagli degli ultimi tempi, per rifarsi una verginità. Anni di polemiche, di bufere, di delusioni politiche, di scandali e di sponsorizzazioni sospette, di sedi vuote e iscritti sempre più vecchi, tanto da trasformare il movimento verde in un movimento grigio-verde, chiedevano una riscossa immediata. Una riverniciata. Una storia capace di suscitare nuove emozioni. Una ripartenza.
Ecco che è stata «costruita» la favola meravigliosa di Greta. Alle spalle della quale non si muovono soltanto solenni proclami e nobili ideali, ma anche interessi, soldi, business. E che cosa c’è di meglio, per coprire tutto, che il volto limpido e innocente di una sedicenne? Una sedicenne che si impegna per salvare il mondo fa tenerezza, conquista tutti, si fa perdonare qualsiasi cosa dica. Anche la più scema. Organizzare uno sciopero planetario per salvare il mondo, per dire, che senso ha? I ragazzi, per salvare il mondo, dovrebbero andare a scuola, studiare ancora di più, magari capire la differenza che passa tra l’anidride carbonica e un videogioco: far sega dalle lezioni, con il consenso più o meno esplicito dei presidi, che beneficio può dare alla lotta contro il riscaldamento globale?

Però, ecco, non si può dire. L’idea nasce da Greta, dunque è necessariamente una bella idea. Ci siamo mobilitati tutti. Le marce, i concerti, i balli in piazza, i servizi dei telegiornali, la meglio gioventù che si cimenta con l’impegno ambientale, saremo tutti più buoni, saremo tutti più sani, evviva evviva le treccine bionde e le parrucche, ci trasvestiamo da ragazzina svedese, come non accadeva dai tempi di Pippi Calzelunghe. Ma che cosa si muove davvero dietro la facciata riverniciata di verde? Quanti testimonial abbiamo visto sfilare in tutti questi anni per distrarre l’opinione pubblica mentre alle loro spalle si stavano compiendo le peggiori nefandezze? Ecco perché mi sono rivenuti in mente quegli episodi del passato. Perché sarebbe troppo brutto dover scoprire un giorno che anche dietro la figura limpida di Greta si muovono quelli che parlano di mondo pulito solo perché hanno la coscienza sporca. Nel caso, alla faccia del surriscaldamento del pianeta, staremmo davvero freschi.
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Mario Giordano

(Alessandria, 1966). Ha incominciato a denunciare scandali all'inizio della sua carriera (il primo libro s'intitolava Silenzio, si ruba) e non s'è ancora stancato. Purtroppo neppure gli altri si sono stancati di rubare. Ha diretto Studio Aperto, Il Giornale, l'all news di Mediaset Tgcom24 e ora il Tg4. Sposato, ha quattro figli che sono il miglior allenamento per questo giornale. Infatti ogni sera gli dicono: «Papà, dicci la verità». Provate voi a mentire.

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