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Figli di femminicidio: a salvarli è la famiglia affidataria

La ricerca dell'affettività e l'elaborazione del lutto sono fondamentali. E, come spiega lo psichiatra Paolo Crepet, soprattutto chi se ne prenderà cura

Il femminicidio non significa solo donne uccise. Purtroppo. Per ogni donna uccisa, spesso c'è anche un bambino che non può più chiamarla mamma.
Negli ultimi dieci anni (2007-2017) l'Istat ha calcolato in 1.600 il numero degli orfani di femminicidio, 417 solo dal 2014.
Molti di loro testimoni delle violenze subite dalla madre o addirittura spettatori dell’uccisione da parte del compagno.

Orfani speciali che devono riuscire a fronteggiare e convivere con quelle profonde cicatrici che scenari del genere lasciano, ma soprattutto al trauma di una perdita genitoriale devono aggiungere l’incertezza del proprio destino. Il più delle volte sono le famiglie che rimangono, nonni e zii, a prendersene cura e che si trovano a fronteggiare problemi sia economici per il mantenimento delle vittime che psicologici. C’è bisogno di interventi funzionali e mirati che possano proteggerli. Ma  cosa si può fare?

Lo abbiamo chiesto allo psichiatra Paolo Crepet.

Quali sono i disturbi fisici e psichici che possono riscontrasi in questi bambini?
Da un punto di vista psicologico non possiamo generalizzare, non esistono regole standard. Questi bambini sono individui diversi e come tali cambiano anche le loro reazioni.
È chiaro che non avere più i genitori, perché capita che il padre, dopo aver ucciso la madre, si tolga la vita, è un lutto enorme. Bisogna tener conto delle variabili: l’età del bambino, il contesto familiare al quale è affidato e che dovrebbe riuscire, nella maniera più serena, ad affrontare l’evento luttuoso garantendo stabilità. Ma soprattutto è importante capire cosa accade attorno a questi orfani. Il contesto sociale che li circonda è fondamentale.

C'è qualcosa che accomuna questi bambini?
Senza dubbio la ricerca dell’affettività ed anche in questo caso molto dipende dall’età del bambino. Un orfano di 12 anni, ha interiorizzato la madre in maniera diversa rispetto ad uno più piccolo, anche perché il lutto viene vissuto ed elaborato in maniera diversa perché differente è l’emotività.
Molto per questi bambini, continuo a ripetere, lo fa la famiglia affidataria. Solitamente sono i nonni che se ne prendono carico. A loro spetta la capacità di garantire un clima stabile, evitando quell’iter giudiziario, a mio parere dannoso, perché non fa altro che alimentare trauma su trauma nell’interiorizzazione dell’orfano e che subentra molte volte quando entrambe le famiglie dei congiunti richiedono l’affidamento.

In molti di loro si riscontra una Sindrome Post Traumatica da Stress?
La Sindrome Post Traumatica da Stress è una conseguenza altamente riscontrabile perché l’evento scatenante è di natura luttuosa e drammatica. Non dimentichiamo che ci sono stati alcuni casi dove i bambini hanno assistito a quello che è successo, quindi violenza nella violenza.
Essenziale, alla luce delle reazioni, trovare però delle soluzioni concrete che prendano in esame il "dopo" di questi orfani.

Considerato che Camera e Senato hanno già approvato una legge che li tutela burocraticamente ma che non li protegge emotivamente, cosa si può fare?
Il destino di questi orfani è nelle mani di chi se ne prende in carico. Spero nelle mani del miglior nonno possibile. Anche perché il compito di affidare questi orfani a delle famiglie, spetta ai tribunali; auspicabile è che ci sia sempre un giudice che riesca a compiere la miglior scelta possibile, solo a vantaggio di questi bambini.

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Francescapaola Iannaccone