Femminicidio: ecco le giustificazioni degli aguzzini
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Femminicidio: ecco le giustificazioni degli aguzzini

Uno studio criminologico mostra come si giustificano gli autori dei maltrattamenti per far riconoscere come lecita la violenza. L'intervista

Rottura del setto nasale, pugni, calci e schiaffi. Per loro, mariti e compagni violenti, questi maltrattamenti nei confronti delle proprie conviventi o fidanzate sono del tutto leciti e soprattutto sono giustificati. E le loro giustificazioni, in gergo scientifico, sono chiamate “tecniche di neutralizzazione”.  

Uno studio condotto dalla professoressa Isabella Merzagora, criminologa presso la sezione di Medicina legale dell’Università degli Studi di Milano, mostra come ogni soggetto, autore di maltrattamenti nei confronti della propria donna, trovi una “scusa” per far riconosce come legittima e lecita la sua violenza.

Professoressa Merzagora, che cosa sono le tecniche di neutralizzazione e quando vengono utilizzate?
“Sono auto-giustificazioni che consentono al soggetto di neutralizzare, attraverso il ricorso a particolari tecniche, quel conflitto con la morale sociale.  Queste tecniche precedono l'atto deviante e servono ad escludere la responsabilità individuale e soprattutto a negare la sua illiceità attraverso le ridefinizioni del proprio operato”
 
Ci faccia degli esempi…
“Le frasi più comuni sono “Se l’è voluta lei”, “E’ solo colpa sua”, “Mi ha provocato” oppure “non gli ho poi fatto così tanto male”. Quest’ ultima frase mi è stata riferita da un soggetto che aveva procurato alla propria compagna la rottura del setto nasale".

Quante sono le tecniche di neutralizzazione e quali sono quelle più usate?
“Le tecniche di neutralizzazione sono principalmente cinque, ma tre quelle più usate. La prima è la negazione della propria responsabilità, come nel caso in cui il soggetto sostiene di aver agito in condizione di infermità mentale o di intossicazione alcolica. Le seconda è la minimizzazione del danno provocato ovvero una sorta di “ridefinizione” dell’atto per cui un’aggressione diviene uno “scambio di opinioni”. La terza è la negazione della vittima. In questo caso l’aggressore o lo stalker spiega che la violenza arrecata alla vittima non rappresenta un'ingiustizia in quanto si tratta di una persona che merita il trattamento subito. La quarta tecnica è la condanna di coloro che condannano ovvero  i cittadini conformi divengono “ipocriti”, la polizia “è corrotta”, i giudici “sono parziali”. Ed infine l’ultima è quella del richiamo a ideali più alti, cioè a norme reputate eticamente superiori a quelle legali, per esempio fedeltà al gruppo di appartenenza che porta a qualificare come dovere l’omertà o la vendetta o il delitto d’onore. Non ci dimentichiamo che il delitto d’onore è stato abolito dal nostro Codice penale solamente nel 1981. La negazione, la minimizzazione, la colpevolizzazione della vittima sono quelle usate più frequentemente”

Ce le spieghi meglio..
“Gli aggressori non definiscono le loro azioni come lesive e criminali. Gli stalkers, ad esempio, ritengono di mettere in atto un tipo di corteggiamento, tutt’al più un po’ insistente. I mariti che picchiano le mogli, invece, stanno esercitando uno ius corrigendi legittimo nella loro veste di capifamiglia. In sostanza, secondo il loro punto di vista le stanno rieducando. Una “tecnica di neutralizzazione” è poi quella di ritenere di non avere o di non aver avuto controllo sul proprio comportamento. In questo l’alcool aiuta, ma non solo nel senso che l’alcool favorisce comportamenti impulsivi e violenti, quanto perché l'etilismo permetterebbe di commettere l'abuso senza assumersene la responsabilità, di ricorrere cioè all'autogiustificazione dell'essere stato ubriaco”.

Lei nel suo libro “Uomini violenti”, analizza le interviste realizzate a 122 uomini violenti e spiega che le giustificazioni ai loro atti di violenza spesso sono state anche contraddittorie. Che cosa vuol dire?
“Effettivamente le “giustificazioni” addotte sono non solo molte ma curiosamente sono contraddittorie. La vittima: “Parlava troppo”, ma anche “Parlava troppo poco”; “Discuteva sempre”, oppure “Si rifiutava di discutere con me”; “Voleva sempre uscire” o “Non voleva uscire mai”; e la lista potrebbe continuare a lungo. In sostanza, il ricorso all’auto-giustificazione, alla minimizzazione, alla colpevolizzazione della vittima è insistito. In particolare, se non ci sono segni visibili di percosse, o se non è stato necessario l’accesso ospedaliero, secondo l’aggressore è come se non fosse successo niente e l’episodio viene “tranquillamente” dimenticato. Ovviamente dall’autore”.

Dal 1970 ad oggi si è registrato progressivo calo degli omicidi. Ad esempio, nel 2000 sono stati compiuti 754 omicidi di questi 199 sono stati classificati come femminicidi ovvero il 26,4%  dei casi mentre nel 2011 il totale dei delitti era sceso a 551, i femminicidi a 170 casi ma la percentuale era schizzata al 31%.

La crisi economica può influire sull’aumento dei casi di violenze, maltrattamenti e omicidi tra le donne?
“Certamente. Le motivazioni che spingono l’uomo a compire questi gesti sono essenzialmente due: un problema culturale di ruolo e la dipendenza affettiva dalla donna. Se l’uomo perde il proprio lavoro si ritrova a casa e si accentuano fino all’esasperazione i problemi legati al ruolo così come si accentuano quelli della dipendenza. Poi, molto spesso, l’uomo ricorre all’alcol. Comunque è fondamentale capire che la maggior parte dei femminicidi non sono compiuti da soggetti pazzi ovvero con patologie psichiatriche ma sono dettati da patologie culturali, sociali”.      

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Nadia Francalacci