Ecco perché la Sicilia brucia ancora
Foto di Giuseppe Gerbasi per Contrasto
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Ecco perché la Sicilia brucia ancora

Viaggio a Godrano, paesino vicino Palermo, simbolo dello scandalo dei forestali. Che si difendono: "Qui solo il bosco ci fa mangiare"

La Sicilia, anche quest'anno, brucia. Negli ultimi giorni sono andati a fuoco più di 5.600 ettari di superficie boschiva. Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera e Mario Giordano su Libero, due giornalisti simbolo della lotta agli sprechi, hanno denunciato i roghi dolosi, citando un'inchiesta di Panorama pubblicata il 18 luglio 2012. Ma ancora attualissima. Ecco il nostro reportage da Godrano, paese simbolo di un mastodontico sistema clientelare alimentato dalle finte calamità naturali.    

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Al supercommissario antisprechi Enrico Bondi consigliamo un viaggio spossante ma istruttivo. Atterrato a Palermo, indossato abito di lino e cappello di paglia per proteggersi dalla calura, dovrebbe farsi accompagnare a Godrano, paesino a mezz’ora dal capoluogo detentore di uno strabiliante primato: 1.096 abitanti e 190 forestali. Una volta arrivato, Bondi potrebbe sostare al bar Dolce vita, per ascoltare ferventi discussioni postprandiali come quelle imbastite abitualmente da Vincenzo Alessi, disoccupato di 24 anni.

Venerdì pomeriggio: dopo l’ennesima leccata al suo cono gelato, il ragazzo ringhia contro due forestali appollaiati sul bancone: «Pure noi abbiamo il diritto di entrare in graduatoria come voi» dice. «Invece bloccano i concorsi. È uno scandalo». Lo spalleggia l’ex forestale Calogero Binati, il barbiere «Mastro Luigi», 71 anni: «Fate un comitato e chiedete aiuto al sindaco». Ossia Matteo Cannella, 42 anni, forestale pure lui. Come il vicesindaco, l’assessore ai Lavori pubblici, quello al Turismo, il presidente del consiglio comunale e la quasi interezza dei politici godranesi.

Tutti al fedele servizio del glorioso reparto per la salvaguardia dei boschi della Regione Siciliana. Braccianti, addetti antincendio, guardie e amministrativi: 28.542 persone, che costano quasi 693 milioni di euro all’anno. Un’armata Brancaleone fatta soprattutto di precari: quasi 26 mila persone, sei mesi di impiego e altri sei di disoccupazione. Un meccanismo che si perpetua da vent’anni, diventato uno dei più fulgidi combinati disposti tra sprechi e clientele esistenti in Italia. Meglio allora, mutuando l’odierna discussione sulla spending review, la cesoia o il bisturi? Il dilemma svilisce di colpo di fronte alle prodezze isolane: qui il machete permetterebbe appena una sfrondatina.

La ridente Godrano è dunque capitale indiscussa dei forestali. «Togliendo anziani, donne e disoccupati, il 90 per cento dei miei concittadini lavora nei boschi» ammette Cannella, specialista dell’antincendio e primo cittadino al secondo mandato. «Senza la regione potremmo emigrare tutti al Nord». Il supercommissario prenda dunque nota: Godrano, poco più di 1.000 anime, ha 190 forestali: in tutto il Molise, invece, se ne contano 172. Per quasi 320 mila abitanti però.

I godranesi obietteranno: bisogna considerare la superficie forestale. Bene: nello sperduto paesino della provincia palermitana è di meno di 2 mila ettari, in Molise di 160 mila. A questo punto forse Bondi allargherà le braccia sconfortato: sarà un esempio isolato delle follie assistenziali siciliane... Sì, magari. A Pioppo, frazione di Monreale, 2.366 abitanti, ci sono 383 addetti: poco meno dei 404 al servizio in Piemonte. Ma anche spostandosi dall’altra parte dell’isola si scoprono comuni completamente votati alla tutela del verde. Come Sortino, nel Siracusano: 9 mila abitanti e 437 impiegati nei boschi. Nell’intera Lombardia se ne contano pochi di più: 460. Ma con una superficie boschiva 264 volte più grande.

Paragoni che lasciano indifferenti i fortunati avventori del Dolce vita. Alessi, terminato il suo gelato, è ancora di malumore. Già, come dargli torto? Chi può spazzargli dalla mente l’immagine della famiglia Traina? Giuseppe, Angelo, Francesco, Anna: tutti forestali. Oppure il volto sorridente dell’autista Giuseppe Cuttitta, 40 anni, chiamato in servizio tre giorni dopo avere raggiunto la maggiore età, unico requisito necessario per indossare l’agognata divisa: «Ho fatto 18 anni la sera. E la mattina mi avevano già collocato» gonfia il petto.

In Sicilia i precari dei boschi hanno cominciato a lavorare a metà giugno. La retribuzione è di circa 1.400 euro netti al mese, fino a dicembre: per le 26 mila assunzioni la regione spende quasi 400 milioni di euro all’anno. Nei sei mesi in cui sono a riposo paga invece l’Inps. Tra disoccupazione e assegni familiari, un precario con moglie e due figli guadagna in media 1.200 euro circa: per l’ente previdenziale l’esborso complessivo è di circa 180 milioni. Arriviamo così a 580 milioni, a cui vanno aggiunti i 113 milioni necessari per gli stipendi dei 2.709 assunti a tempo indeterminato: guardie, braccianti e amministrativi. Il delirante totale sfiora i 700 milioni all’anno.

Bondi mani di forbice una soluzione facile facile l’avrebbe: basta non rinnovare i 26 mila contratti. Ma i precari siciliani sono ormai cronici: la politica li riarruola periodicamente da più di vent’anni, in cambio delle solite promesse di fedeltà elettorale. «Parliamoci chiaro: non si possono più lasciare a casa, scoppierebbe una rivolta sociale» ritiene Vincenzo Vinciullo, il deputato regionale del Pdl fattosi paladino della causa. «Dovremmo invece stabilizzarli». Suvvia, onorevole... «Ci pensi: spazzeremmo via le clientele, loro lavorerebbero tutto l’anno e avremmo almeno 5 mila addetti in meno». E perché mai un precario dovrebbe schifare un posto a tempo indeterminato? «Semplice, perché non vuole rinunciare ai doppi e tripli lavori che un contratto a termine gli consente».

Anche i politici godranesi, per la quasi totalità forestali, lottano come leoni a favore della (loro) stabilizzazione. Il vicesindaco Daniele Bellini, 43 anni, addetto antincendio e responsabile locale della Flai Cgil, non ha dubbi: «Adesso, con gli assegni di disoccupazione, ci pagano pure per non fare nulla. La stabilizzazione conviene a tutti: potremmo spegnere gli incendi perfino d’inverno». In estate quindi fate molti interventi? «Tantissimi» chiarisce un avventore del Dolce vita, bardato con la tuta catarifrangente arancione. E quanti sono stati l’anno scorso? «Almeno una ventina».

Girolamo Sileci, 47 anni, presidente del consiglio comunale, maneggia decespugliatori per conto della regione dal lontano 1984. Polo verde scura, pantaloni beige, una spruzzatina di capelli sulle tempie, Sileci non vuole nascondersi dietro un dito: «Per legge dovremmo essere 10, invece siamo 190. Ma se chiudono i rubinetti siamo rovinati: qui solo il bosco ci fa mangiare». Anche il comune però è un discreto datore di lavoro: 59 dipendenti. Per il resto, quasi niente. Nessuna azienda. Nessun imprenditore. In paese si contano: tre bar, due barbieri, altrettante macellerie, una ferramenta. Carlo Fiorini, 29 anni, gestisce insieme alla famiglia un agriturismo a qualche chilometro da Godrano: «Il posto facile ha distrutto la nostra economia. Abbiamo il caciocavallo più buono della Sicilia e nessuno lo produce più».

Il problema non sembra toccare Salvatore Vella, vicepresidente del consiglio comunale: 54 anni, di cui 36 di onorato servizio. Ha tre fratelli: Piero, Giuseppe e Filippo. «Pure mio padre era forestale, e pure mio nonno». Così come i parenti acquisiti: la moglie e il cognato. Tutti fedeli servitori dell’azienda forestale isolana. Vella, assieme al coetaneo Giovanni Morigi, gestisce l’area verde del centro visitatori della cittadina. «Tre anni fa c’hanno distaccato qui» chiarisce Morigi. Cosa fate? «Curiamo il verde...». Quale? «Questo» dice indicando un fazzoletto di terra di 200 metri quadrati assediato dalla gramigna. Fino a oggi i due hanno piantato 27 malconci alberelli: uno ogni 40 giorni di servizio. Orario dell’impiego: dalle 7 fino alle 13.30, «sabati compresi».

È tardo pomeriggio. Al Dolce vita passa Giuseppe Fazzini, 43 anni. Fa il coordinatore della squadra antincendio: qui è un’istituzione. A chi mette in dubbio l’utilità sua e dei colleghi, replica stentoreo: «Per noi il bosco è vita, è linfa, è ossigeno» declama davanti a un gruppetto di ammirati compaesani. «Se chiude il bosco, possiamo andare tutti a cacciare mosche». Sì, ma bisogna stringere la cinghia, il governo sta cercando di tagliare la spesa pubblica, bisogna fare la spending review. «La “spenviù»? E proprio qua la devono venire a fare?».

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Antonio Rossitto