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Ecco come si evade dalle carceri d'Italia

Le fughe più importanti degli ultimi tre anni e i due casi "storici"

Evasione fotocopia. In due anni quattro detenuti sono evasi dal carcere romano di Rebibbia, utilizzando la medesima tecnica: prima segato le sbarre della cella e poi sono fuggiti annodando le lenzuola. Una scena da film, una di quelle viste e riviste, che potrebbe solo da ridere. Ed invece è l’ultima evasione da Rebibbia che mostra, ancora una volta, la triste realtà delle strutture carcerarie italiane, sempre più fatiscenti e con una grave carenza di polizia penitenziaria, sempre più sottorganico: 2 agenti per 150 detenuti.

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Catalin Ciobanu e Mihai Florin Diaconescu, entrambi rumeni detenuti del reparto G11 del carcere romano, hanno segato le sbarre del magazzino in cui erano impiegati come lavoranti. Poi hanno attraversato la zona passeggi e infine hanno scavalcato la recinzione e il muro di cinta di Rebibbia. Una volta raggiunta la libertà, hanno preso l’autobus come due cittadini ‘normali’ e sono spariti. I due evasi hanno rispettivamente 28 e 33 anni. Uno sarebbe stato condannato per omicidio e sequestro di persona, l'altro per rapina. L'evasione è avvenuta intorno alle 18.30 di domenica 14 febbraio.

Il biglietto di scuse

Nel 2014, Giampiero Cattini e Sergio di Paolo, rispettivamente di 42 e 35 anni, si trovavano in cella nel carcere Rebibbia di Roma per reati legati alla droga. Ma nel giorno di San Valentino, anche loro, decidono che era arrivato il momento di evadere. Il modus utilizzato è quello tradizionale raccontato nei film e ripetuto ieri dai due rumeni: lenzuola annodate per calarsi oltre il muro di cinta. Prima però segano le sbarre della propria cella.
Ma questi due detenuti rimarranno nella storia delle evasioni per la loro “gentilezza” e “correttezza”: prima di evadere hanno lasciato un biglietto di scuse alla direttrice del penitenziario. La latitanza di Cattini, però, dura pochissimo. Il fuggitivo viene scovato a casa di alcuni familiari a Roma, nel quartiere periferico di San Basilio. L'uomo tenta nuovamente la fuga ma viene bloccato.

L'assalto al furgone del carcere

Negli stessi giorni di febbraio 2014, c’è un’altra evasione rocambolesca ma dal finale sanguinario, quella di Domenico Cutrì. Un commando composto da 8 persone assalta un furgone della polizia penitenziaria durante il trasferimento di Cutrì dal carcere di Gallarale al Tribunale. Ad organizzare l’evasione, il fratello Antonino che però muore nel corso del conflitto a fuoco tra la polizia penitenziaria e altri agenti in servizio presso il Tribunale.

La fuga-latitanza di Cutrì finisce dopo una settimana, in un in un appartamento a Inveruno, Milano, zona in cui abitava la famiglia e dove si era rifugiato con un complice. Fu un'azione di pochi secondi: Cutrì fu prima stordito dalle flash-bang del Gis, le teste di cuoio dei carabinieri, poi immobilizzato. Accanto a sé aveva una pistola che non fece in tempo a usare.

Gagliano, serial killer delle prostitute

La foto segnaletica di Bartolomeo Gagliano

Bartolomeo Gagliano, il serial Killer delle prostitute, si trovava nel carcere di Marassi. È il 19 dicembre 2013 quando decide di evadere. Su di lui diverse condanne per diversi reati, fra i quali numerosi omicidi. Era stato anche in un manicomio giudiziario. Gagliano decide di non rientrare in carcere, dopo aver ottenuto un permesso premio di libera uscita. Ma la sua fuga dura pochissimi giorni e poi viene catturato nuovamente mentre stava tentando di fuggire all’estero. Riportato in carcere a Marassi, Gagliano un anno dopo, a gennaio 2015 si toglie la vita impiccandosi con le lenzuola alle sbarre della sua cella.

Le fughe fantasiose di Vallanzasca

Renato Vallanzasca (a destra) con uno dei suoi uomini al processo milanese del 1977.Archivio Agi

Renato Vallanzasca, capo della Banda della Comasina negli Anni 70 e 80, viene condannato per una serie di reati, complessivamente, a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. Il suo caso si distingue dagli altri, perché ha tentato di evadere diverse volte e ogni volta in modi rocamboleschi.

La prima volta nel 1972. Vallanzasca si era iniettato per via endovenosa delle urine e aveva ingerito delle uova marce. Per questo era stato ricoverato in ospedale. Durante il ricovero, corrompe una guardia e fugge. Ripreso, tenta una nuova evasione nel 1980. Si trovava nel carcere di San Vittore. Misteriosamente, insieme ad altri due detenuti, riesce ad avere una pistola, con la quale si fa strada. Uscito dal carcere, ne consegue una sparatoria per le vie di Milano, ma viene ricatturato.

Nel 1987 è scappato nuovamente attraverso un oblò del traghetto che da Genova avrebbe dovuto portarlo in Sardegna. Viene fermato ad un posto di blocco, e tenta nuovamente la fuga nel 1995. Attualmente è detenuto nel cacrere di Bollate: nel 2014 era in regime di semiliberà ed è stato accusato di furto in un supermercato.

I 22 tentativi di Graziano Mesina

Graziano Mesina

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Anche Graziano Mesina è un caso particolare. Lui ha all’attivo ben 22 tentativi di evasione. Fra questi soltanto circa 10 sono andati a buon fine. Una tra le più rocambolesche è stata la fuga da una toilette di un treno in corsa. Poi c’è stata quella dall’ospedale S. Francesco di Nuoro, calandosi lungo un tubo dell’acqua e poi quella compiuta a Sassari, quando, insieme ad un giovane spagnolo disertore della legione straniera, scalò il muro del carcere alto 7 metri. Tutti gli episodi sono avvenuti negli anni ’60.

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Nadia Francalacci