Dove l'"uomo nero" fa paura
ANSA/Massimo Percossi
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Dove l'"uomo nero" fa paura

In molti piccoli centri del Nord Italia cresce l’insofferenza per lo straniero. E i comuni la cavalcano

Il leader di Forza nuova si guarda intorno, compiaciuto. Luca Castellini, 34 anni, è il responsabile per il Nord del movimento politico di ultradestra.

Alle sue fiaccolate di solito partecipano gruppuscoli di simpatizzanti. Mercoledì 25 novembre, invece, nella piazza ovale di Rovato, ricco centro del Bresciano, i giovanotti vestiti di scuro erano baldanzosi e più di 300. "Stop immigrazione, fermiamo l’invasione" hanno scritto su un gigantesco striscione, issato come vessillo tra i fumogeni tricolori.

Anche Forza nuova cavalca l’istante: il 20 novembre, sempre a Rovato, una ragazza di 28 anni era stata selvaggiamente stuprata da un marocchino. È stata quella la scintilla che ha acceso lo sdegno: nei giorni seguenti in migliaia hanno sfilato per le vie del centro storico del paese, esasperati dall’"invasione". Coccaglio dista solo qualche chilometro da Rovato: la ragazza violentata è di qui. Il sindaco Franco Claretti, della Lega nord, ha lanciato un’operazione che i giornali locali hanno ribattezzato "White Christmas": entro Natale tutti gli stranieri saranno censiti e gli irregolari rispediti a casa.

Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il 28 novembre si è congratulato personalmente con il primo cittadino. Nelle stesse ore un deputato del Carroccio, Maurizio Fugatti, ha proposto per un giorno di dimezzare la cassa integrazione per gli extracomunitari. In quel fine settimana l’esito di un referendum in Svizzera ha rinfocolato il dibattito: oltralpe non potranno essere costruiti nuovi minareti.

La Lega ha subito rilanciato: votiamo anche in Italia. Mentre sugli immigrati la politica dibatte, la provincia ribolle. E centinaia di sindaci scelgono la risolutezza. Sono 800 le ordinanze nell’ultimo anno: dai controlli porta a porta agli incentivi per chi torna in patria.

Una determinazione che unisce le giunte venete a quelle della rossa Emilia-Romagna, in nome dell’ordine pubblico o delle rivendicazioni identitarie. Ma che comunque acuisce le divisioni. E rischia di trasformarsi in caccia allo straniero.

Franciacorta, profondo Bresciano, terra di vigneti ed edilizia: da queste parti la manodopera è prevalentemente albanese e marocchina. Dopo lo stupro di Rovato, le tensioni si annusano nei bar, per strada, dentro i municipi.

Anche Ibrahima Niane, senegalese di 38 anni, vive a Rovato, dal 1993. Si ferma davanti alla porta del suo ufficio: lavora alla Cgil ed è il segretario dell’associazione degli immigrati nella zona. Lui, che ha fatto dell’integrazione un mestiere, parla con Panorama mentre osserva perplesso i preparativi della fiaccolata di Forza nuova: "Questo paese sta diventando una polveriera" constata. "Ma esasperare le divisioni è pericolosissimo. Ogni extracomunitario adesso pensa: se tutti sono cattivi con me, divento cattivo anch’io". La crisi ha acuito le differenze, dice Niane: "Migliaia di stranieri hanno perso il lavoro. E ora si trovano a bighellonare in giro".

Anche al primo piano del municipio di Erbusco, considerata la capitale della Franciacorta, l’atmosfera non è distesa. Liliana Massetti, 50 anni, dirigente di una municipalizzata, ha adottato due bambini etiopi, di 10 e 16 anni: "Da qualche tempo vado sempre a prenderli alla fermata dell’autobus" confessa. "Ho paura a lasciarli soli, questo clima urlato sta rompendo l’integrazione costruita negli anni". Accanto a lei il sindaco Isabella Nodari è scoraggiata: "C’è un clima da apartheid. Fuori dalle scuole le madri italiane stanno da una parte e quelle di colore dall’altra". Scuote la testa: "Adesso la situazione non può che peggiorare: non è stata violentata solo una ragazza, ma un’intera comunità".

Nodari è una di quelle che non ama le ordinanze e il pugno duro. Come il sindaco di Rovato, Andrea Cottinelli: 2Sono spesso misure più mediatiche che efficaci".

Molte amministrazioni vicine, però, hanno scelto la determinazione. A Pontoglio, qualche chilometro più a nord di Erbusco, la giunta di centrodestra ha imposto la chiusura anticipata dei bar dove si ritrovavano gli extracomunitari. Poi ha rincarato la dose: divieto di accattonaggio, divieto di assembramento notturno, divieto di sosta per i camper. L’assessore alla Sicurezza, Matteo Gozzini, ha 27 anni e i capelli già bianchi. "Quelli che creano più problemi sono i giovani: arrivano senza la famiglia, vivono di espedienti. La gente non esce più di casa; alle 8 c’è il coprifuoco".

Gozzini snocciola dati allarmati: "Nel Bresciano gli immigrati, che sono il 12 per cento, commettono otto reati su dieci. Li arrestano e dopo qualche giorno li rivedi passeggiare in piazza. E sono sempre di più".

Populismo a parte, su questo dubbi non ce ne sono: sono sempre di più. In Italia i clandestini sarebbero oltre 1 milione. Quelli regolari, invece, 4 milioni e mezzo: il 7,2 per cento della popolazione, più della media europea che si ferma al 6,2.

La Caritas ha calcolato: nel 2050 diventeranno oltre 12 milioni. Così, molte amministrazioni, più che all’integrazione, pensano a difendersi "dall’invasione".

Decisivo è stato il decreto Maroni del 2008: la legge concede ampi poteri ai sindaci in materia di sicurezza. Ha fatto proliferare ordinanze contro burqa, burqini, kebab e phone center. Molti comuni però adesso si spingono oltre abiti e usanze. A Spresiano, nel Trevigiano, hanno promesso un bonus di 2 mila euro a chi torna in patria. Un metodo opposto si è escogitato ad Adro (Brescia): 500 euro ai vigili che scovano un clandestino. "Un successone. Li abbiamo presi tutti" gongola ora il sindaco leghista, Danilo Oscar Lancini.

Ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone, gli extracomunitari che chiedono un sussidio perdono la cittadinanza. La decisione ha destato scalpore. Come l’idea della giunta di San Martino dell’Argine, Mantova: il paese è stato tappezzato di manifesti che esortano a denunciare i clandestini.

In Lombardia, Stefano Maullu, assessore alla Polizia locale, si è inventato invece le "sentinelle di quartiere". "Sporcizia, schiamazzi, parcheggi selvaggi: io segnalo ai vigili e ai consiglieri di zona quello che sta trasformando questo quartiere in un ghetto" dice Fabrizio Marconi, 24 anni. È un universitario, vive a Baggio, periferia ovest di Milano: dalla sua finestra, sorveglia tre palazzoni abitati da stranieri.

Per reclutare nuovi "volontari" come Marconi, la regione vuole attivare un numero verde.

Tanto attivismo risponde anche a una logica elettorale: le ordinanze antiimmigrati portano consensi. Due giovani sindaci leghisti hanno fatto scuola. Massimo Bitonci, detto lo "sceriffo" di Cittadella (Padova), ha cominciato nel 2007, da allora si compiace di avere emesso dieci ordinanze sui temi più disparati. Mentre Gianluca Buonanno, alla guida di Varallo Sesia (Vercelli), prima ha vietato i burqa, poi ha riempito il paese di cartelli contro vu’ cumprà e mendicanti. Buonanno e Bitonci erano due sconosciuti. Adesso siedono in Parlamento, tra i banchi del Carroccio.

Anche le campagne elettorali centrate sul controllo dell’immgrazione portano voti. Perfino in Emilia-Romagna, tollerante e buonista per tradizione. Guastalla, nel Reggiano, è stata guidata dal centrosinistra per 64 anni. A giugno però ha cambiato bandiera: ha vinto la coalizione tra il Pdl e la Lega. "I nostri avversari hanno sottovalutato un disagio crescente, negando il problema degli extracomunitari" analizza Marco Lusetti, 36 anni, vicesindaco leghista, barbetta incolta e occhialetti da professore. È lui l’ingegnoso autore degli "indici di presenza": la città sarà divisa in zone, la presenza di immigrati contingentata. Chi è di troppo verrà incentivato a spostarsi altrove.

L’altro grande comune emiliano passato al centrodestra è Sassuolo, nel Modenese. Il tema della campagna elettorale è stato esplicito: "Sassuolo ai sassuolesi". In appena cinque mesi, la nuova amministrazione ha dato seguito. Ha chiuso la moschea aperta da vent’anni, scovando un abuso edilizio. Ha fatto calare le saracinesche a 20 dei 23 phone center gestiti da stranieri. Ha applicato rigidamente ordinanze su accattonaggio, bivacchi, vu’ cumprà. Sassuolo è la capitale della piastrella. La metà dei 20 mila lavoratori del settore è in cassa integrazione, e molti di questi sono immigrati. Il comune ha deciso di intervenire: aiuterà chi ha perso temporaneamente l’impiego. I requisiti richiesti sono gli anni di residenza: agli italiani ne bastano due. Ma agli extracomunitari ne servono dieci: gli stessi che saranno necessari per ottenere un alloggio popolare. Essan Hulla, chiuso nel gabbiotto di uno dei due phone center rimasti aperti, abbassa gli occhi. È un pachistano di 48 anni, in Italia dal 1990: "Adesso ci tolgono pure gli aiuti economici. Non vogliono più l’integrazione. Comincia a esserci razzismo, eppure basterebbe distinguere tra clandestini e regolari".

La giunta però va avanti. "La gente ci incoraggia" dice Gian Francesco Menani, vicesindaco leghista, un omone in giacca blu e cravatta verde. "Nella guerra tra poveri, deve vincere l’italiano". Di notte Menani esce spesso con i vigili e con due cani da difesa, in modo da controllare gli appartamenti "sospetti": per stanare i clandestini e verificare le condizioni igieniche. "Non sono obbligati ad aprirci. Ma se oppongono resistenza chiamiamo la polizia e facciamo irruzione" spiega Menani. In pochi mesi sono stati già sequestrati tre stabili. Agli sfrattati viene pagata una settimana di albergo, poi devono cercarsi un altro alloggio. Verifiche del genere cominciano a essere frequenti.

A Camposanpiero, nell’Alto Padovano, ne hanno fatte a decine. I casi sospetti vengono segnalati dai cittadini e i vigili intervengono. La pratica ha invelenito il clima. "Non possono entrarti in camera da letto senza un mandato di perquisizione. Anche loro devono rispettare le leggi" dice Mali Daou, 54 anni, dell’associazione senegalese Japoo. Il 26 settembre il suo circolo ha organizzato una manifestazione: "Per dire no alle discriminazioni razziali". Qualche giorno dopo, spalleggiata dalla Cgil, ha denunciato tre vigili e l’assessore alla Sicurezza. La procura di Padova indaga per abuso d’ufficio. Il sindaco Roberto Zanon, del Pdl, cerca di smorzare: "Siamo tolleranti, ma lo straniero fa paura. Scippi, rapine, aggressioni: la gente chiede più sicurezza".

A San Giorgio in Bosco, poco più a nord, i criminali invece latitano. Al sindaco leghista, Renato Miatello, 59 anni, però piace prevenire. "Il mio motto è ordine e disciplina" proclama dalla scrivania. Alle sue spalle, la foto di Giancarlo Gentilini, vicesindaco di Treviso: uno che qualche anno fa ha abolito le panchine per impedire un riposo agli sfaccendati di colore. "Un maestro" si accalora Miatello. Eletto a giugno, ha prima serrato lo sportello per gli immigrati: "Ci abbiamo fatto la sede della pro loco". Poi si è dedicato al centro culturale islamico: "Li ho obbligati a pregare fuori, ma prima o poi lo chiudo definitivamente". Infine ha vietato la residenza agli extracomunitari con un reddito inferiore a 5.367 euro: "L’ho copiata dal sindaco di Cittadella, Bitonci: un fratello". Non pago, Miatello ha negato il campo di calcio a una squadra di romeni: "Se vogliono, giocano con gli italiani". Miatello sogghigna trionfante: "Mi danno del razzista? E io me ne frego". 

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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