Discoteche: si può selezionare la clientela?
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Discoteche: si può selezionare la clientela?

Certo non per il colore della pelle. Il caso di Bologna che ha vietato l'ingresso a ragazzi di colore ha sollevato numerose polemiche

“Tu non puoi entrare perché sei nero”. La frase pronunciata da un bodyguard a un gruppo di ragazzi di colore che volevano entrare in discoteca, in uno dei locali della movida universitaria nel centro di Bologna, non poteva non sollevare polemiche. Il fatto è avvenuto lo scorso fine settimana, quando uno degli uomini preposti alla sicurezza del locale ha deciso di negare l'ingresso nella sala da ballo. Il motivo? Nei giorni precedenti una rissa aveva visto coinvolti alcuni ragazzi di colore e proprio durante la colluttazione uno di questi aveva estratto un coltello. "Nessuna discriminazione - spiega immediatamente il titolare della struttura - il mio è l'unico locale in centro che accoglie ragazzi di colore, se un buttafuori ha detto quelle cose se ne assumerà la responsabilità”.

E poi precisa: “Qui però stiamo soffrendo molto la convivenza con i profughi dei centri di accoglienza che sono molto aumentati nell'ultimo periodo e queste situazioni possono talvolta creare disagio". Ma, indipendentemente dal caso di Bologna, è legale “selezionare” i clienti di un locale da ballo? Le discoteche sono tutti locali pubblici? Che cosa prevede la legge?

Abbiamo intervistato Stefano Toniolo, avvocato penalista ed associato dello studio legale Martinez&Novebaci di Milano.

Avvocato, è sempre possibile da parte di una discoteca fare una selezione all’ingresso?
La questione risulta tutt’ora dibattuta e ruota attorno all’interpretazione dell’art. 187 del regolamento del T.U.L.P.S., il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, che recita: “Salvo quanto dispongono gli articoli 689 e 691 del codice penale, gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”. Parte della dottrina, infatti, considera applicabile l’art. 187 anche ai locali di trattenimento danzante quali sale da ballo e discoteche. Di conseguenza, aderendo a questa interpretazione, una discoteca non avrebbe diritto ad effettuare una selezione all’ingresso, dovendo garantire il servizio di intrattenimento a chiunque corrisponde il prezzo del biglietto. Ritengo tuttavia sia da ritenere preferibile, in linea con altra e più cospicua parte della dottrina, che la norma dell’art. 187 del regolamento T.U.L.P.S. non sia applicabile ai locali di intrattenimento come le discoteche, in quanto l’articolo è inserito nel Paragrafo 15 del Regolamento del T.U.L.P.S., relativo agli “esercizi pubblici”.

Ci spieghi meglio….
La “ratio” della norma sembra essere, infatti, quella di garantire, in via generale, la fruizione di servizi ritenuti “essenziali” per la clientela quali, ad esempio, vitto e alloggio erogati in esercizi come bar, ristoranti, alberghi.. dove normalmente non v’è alcuna formalità di accesso. Ai locali di pubblico spettacolo e trattenimento come, per l’appunto, una discoteca, si accede normalmente previo pagamento di un biglietto e non è ravvisabile un’offerta di servizi caratterizzata da quella “essenzialità” che contraddistingue gli esercizi pubblici sopra menzionati.
A conferma di quest’ultima opinione, mi parte opportuno evidenziare come il Regolamento T.U.L.P.S. disciplina i locali ove si tengono “spettacoli e trattenimenti pubblici” nel Paragrafo 14 dove manca una disposizione similare a quella dell’art. 187 del medesimo Regolamento.

Si può rifiutare l’ingresso all’interno di una discoteca in base al colore della pelle adducendo fatti di cronaca avvenuti precedentemente da parte di soggetti di colore?
La non applicabilità dell’art. 187 del T.U.L.P.S. ai locali di spettacolo e trattenimento non può condurre a considerare legittime forme di discriminazione, da parte dei gestori dei locali nel selezionare i clienti, fondate su criteri quali sesso, razza, credo politico o religioso, condizioni personali e sociali, nel rispetto proprio del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione Italiana. Un conto sono modalità di selezione della clientela fondate su criteri “oggettivi e predeterminati”, un conto sono modalità di selezione basate su criteri discriminatori.

Quindi sarebbe illegittima..
Sì, una selezione su base razziale, anche se “giustificata” da fatti di cronaca dei quali si sarebbero resi colpevoli soggetti di colore, è in ogni caso illegittima, anche perché chiunque, bianco o nero, giallo o rosso, può macchiarsi di comportamenti riprovevoli. Segnalo in proposito che il d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, stabilisce che compie un atto di discriminazione “chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità”. Contro siffatta tipologia di discriminazione il Testo Unico prevede al successivo art. 44 un’azione civile che può essere promossa su istanza di parte e in conseguenza della quale il giudice può ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.

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Nadia Francalacci