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ANSA/ORIETTA SCARDINO
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Diciotti: da cosa scappano i migranti a bordo

Molti vengono dall'Eritrea, un paese dove libertà civili e diritti politici di fatto non esistono.

La parola d'ordine dell'Occidente è libertà. Possono crollare ponti, la disoccupazione può avere percentuali a due cifre, il dibattito politico, sui social e non solo, può essere di un livello molto basso, ai limiti dell'insulto, ma possiamo considerarci un paese avanzato nella misura in cui come cittadini ci sentiamo liberi. Di vivere la vita che vogliamo, di esprimere le nostre opinioni, di partecipare alla vita politica.

Dove la libertà è un lusso

Secondo il più recente rapporto di Freedom House, watchdog americano che monitora lo stato dei diritti umani nel mondo, nel 2018 solo 88 paesi su 195 possono essere definiti liberi: il 45% del totale, che rappresenta solo il 39% della popolazione mondiale, cioè poco meno di 3 miliardi di persone. Ed è già un passo avanti rispetto al rapporto precedente, del 2017, quando i paesi liberi erano 87, a cui quest'anno si è aggiunto Timor Est.

In seconda battuta ci sono i paesi che l'organizzazione definisce, in base a punteggi assegnati su un lungo elenco di parametri, come parzialmente liberi. Si tratta di 58 nazioni, (dal Bangladesh al Kosovo, dalle Fiji al Guatemala), cioè il 30% di quelli considerati, in cui vivono 1,8 miliardi di persone, un quarto della popolazione mondiale.

Infine vi sono 49 paesi in cui la libertà di un totale di 2,7 miliardi di cittadini non è ancora garantita. La metà di essi vive in un solo paese, la Cina. Parafrasando Orwell, che nella sua fattoria degli animali diceva che tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri, tra i paesi che non possono definirsi liberi ve ne sono alcuni nei quali la popolazione è meno libera che altrove. L'Eritrea, il paese dal quale pare di capire arrivino molti dei 177 migranti a bordo della nave Diciotti, attraccata nel porto di Catania, è uno di questi.

Eritrea tra i 4 peggiori

In un indice compreso tra 1 e 7, dove 1 indica il massimo della libertà e 7 indica invece il minimo, l'Italia ottiene 1 sia per quel che riguarda i diritti politici sia per le libertà civili. L'Eritrea ottiene 7 in entrambi i parametri. Per quel che riguarda il punteggio aggregato, assegnato da Freedom House a ogni paese esaminato, secondo un indice che va da un minimo di zero a un massimo di 100, l'Italia ottiene 89, la Finlandia, il migliore in assoluto, 100, l'Indonesia (tra i paesi considerati parzialmente liberi), 64, la Cina 14, l'Eritrea 3. Fanno peggio solo la Siria, che ottiene addirittura -1, il Tibet, che si ferma a 1 e il Sud Sudan, che ottiene 2.

Per avere idea di come si traduca quel 3 su 100 nella pratica, basta leggere la scheda che Freedom House dedica al paese. "L'Eritrea è uno stato autoritario militarizzato che non ha tenuto elezioni nazionali dall'indipendenza dall'Etiopia nel 1993. Il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ), guidato dal presidente Isaias Afwerki, è l'unico partito politico. La detenzione arbitraria è comune e ai cittadini è richiesto di prestare il servizio nazionale, spesso per tutta la vita lavorativa. Il governo ha chiuso tutti i media indipendenti nel 2001".

Niente elezioni, zero informazione libera

Scendendo nel dettaglio, scopriamo perché il paese meriti i punteggi più bassi per diritti politici e libertà civili. Dal 1993 c'è ungoverno non eletto guidato da un presidente scelto da un'Assemblea provvisoria, in attesa di una nuova Costituzione, entrata in vigore la quale si sarebbero tenute libere elezioni, cosa che non è mai avvenuta. Non ci sono partiti politici legalmente riconosciuti a parte quello di governo, e non è possibile fondarne. La società eritrea è dominata dalle forze armate, ogni dissenso è punito con la reclusione. L'alternativa è l'emigrazione illegale.

Solo l'1% della popolazione ha accesso a Internet. Tutti i giornali indipendenti sono stati chiusi nel 2001 e molti dei giornalisti che vi lavoravano sono stati incarcerati. Non c'è libertà di riunione. Le principali proteste degli ultimi decenni, come quelle dei veterani di guerra del 1993 e del 1995 e degli studenti del 2001, si sono concluse con arresti di massa e la reclusione per gli organizzatori.

Arresti, torture e schiavitù

Quanto allo stato di diritto, "arresti arbitrari e detenzioni sono comuni; gli obiettivi includono coloro che sfuggono al servizio militare, cercano di fuggire dal paese o sono sospettati di praticare una religione non autorizzata. I detenuti vengono regolarmente trattenuti per periodi indefiniti senza accusa né processo, con le autorità che si rifiutano persino di informare i familiari se sono ancora vivi. Non esiste un sistema operativo di avvocati della difesa pubblica. Migliaia di prigionieri politici e prigionieri di coscienza rimangono dietro le sbarre", si legge nel rapporto.

E poi naturalmente c'è la tortura. "Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno descritto l'uso abituale e sistematico della tortura fisica e psicologica nei centri di detenzione sia civili che militari. Sono stati segnalati anche decessi in custodia o durante il servizio militare a causa di torture e altre condizioni dure". I due gruppi etnici Kunama e Afar sono gravemente discriminati, le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso sono criminalizzate e le persone LGBT non godono di alcuna protezione legale dalla discriminazione sociale.

Anche la libertà di movimento conosce forti limitazioni, e i giovani in età da servizio militare, in particolare, non hanno il permesso di abbandonare il paese. "Rifugiati eritrei e richiedenti asilo che sono rimpatriati da altri paesi sono soggetti a detenzione in condizioni dure". E ancora: "Lo stupro di donne e forme di violenza sessuale contro gli uomini sono comuni nella detenzione e nel servizio militare".

Il viaggio della speranza

Il servizio militare obbligatorio per uomini e donne dovrebbe avere la durata di 18 mesi, ma di fatto può protrarsi per anni, nei quali ai coscritti può essere richiesto di lavorare per le imprese controllate dall'elite politica. Un sistema che gli esperti delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno descritto come una forma di schiavitù.

I primi racconti dei migranti a bordo della Diciotti sembrano confermare quanto rilevato da Freedom House nel suo rapporto. Parlano di servizio militare senza fine, di violenze indiscriminate, di condizioni di vita rispetto alle quali la fuga, per quando estremamente pericolosa, rappresenta un'alternativa per molti auspicabile. Ecco perché si affidano ai trafficanti di esseri umani.

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Marta Buonadonna