gambe in cassonetto
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Corpi mutilati: i casi più agghiaccianti

Il ritrovamento del corpo fatto a pezzi di Pamela richiuso in due trolley, è solo l'ultima di altre storie da brividi

Sembrava refurtiva. All’automobilista che la mattina del 31 gennaio scorso, ha dato l’allarme ai carabinieri, quei due trolley sul ciglio della strada di campagna che collega Pollenza a Casette Verdini, potevano contenere oggetti saccheggiati all’interno delle villette della zona.

Ed invece, quando i carabinieri hanno fatto scorrere le cerniere delle due valige sono spuntate fuori le mani e poi i piedi di Pamela.

Pamela Mastropietro, 18 anni, era scomparsa. Non si trovava da due giorni, da quando si era allontanata il 29 gennaio scorso, senza un apparente motivo, dalla comunità di recupero "Pars" di Corridonia, di cui era ospite.

La sua fuga, però, è durata poco. Saranno le telecamere della zona a filmare le ultime ore di vita della giovane Pamela ma anche quelle del suo assassino: Innocent Oseghale. E’ lui, nigeriano, che ha ucciso e sezionato, a pezzi non più lunghi di 40 centimetri, il cadavere di Pamela per occultarlo e poi abbandonarlo sul ciglio della strada.

Su quel che rimaneva del corpo di Pamela, i militari non hanno trovato traccia di vestiti e le sue membra erano perfettamente pulite, senza tracce di sangue. Come se fossero state lavate ed asciugate prima di essere nascoste nei due trolley.

Gli abiti della ragazza sono stati ritrovati a casa dell'uomo, in un appartamento in via Spalato 124, a Macerata dai carabinieri del Ris. All’interno della palazzina dell’orrore, i militari, hanno rinvenuto anche altre tracce ematiche.

E’ stato trovato persino uno scontrino di una farmacia dove la ragazza aveva acquistato poco prima una siringa.

Ad inchiodare il nigeriano che non ha ancora confessato l’omicidio, ci sarebbe anche la testimonianza resa volontariamente da un cittadino straniero che lo avrebbe visto la notte del 30 gennaio, con le due valige, sul luogo del ritrovamento.  

A Roma l'orrore a Ferragosto 

Due gambe mozzate, tagliate di netto all’altezza dell’inguine con una sega oppure con un’ascia affilatissima.

La ragazza di etnia Rom che nella serata di Ferragosto stava rovistando in un cassonetto alla ricerca di cibo e vestiario, certamente non immaginava di trovarsi, tra le mani, due pezzi del corpo di Nicoletta Diotallevi, 59 anni, legati assieme con un nastro da pacchi.

E, cosa ancora più sicura, quella zingara non immaginava di avere quel macabro contatto in un cassonetto di uno dei quartieri più chic della Capitale: i Parioli, elegantissimo, popolato di ambasciate e studi professionali che però, durante il periodo estivo, in particiolare nella settimana di Ferragosto, è pressochè disabitato.

Forse è proprio per questo motivo che quelle due gambe sono state gettate in un cassonetto dell’immondizia in via Maresciallo Pilsudsky, all'altezza del Galoppatoio.

Lo scarico dell’ingombrante "rifiuto” sarebbe avvenuto nella nottata tra il 14 e il 15 agosto quando un uomo, ripreso dalle telecamere della zona, è stato visto avvicinarsi al cassonetto con un’auto, e gettare “qualcosa”.

Poche ore dopo, il fermo del fratello della vittima che avrebbe poi confessato l'efferato omicidio e l'occultamento di cadavere forse per problemi economici: Maurizio Diotallevi, 62 anni, è stato trasferito nel carcere di Rebibbia in attesa che il gip fissi l'udienza di convalida.

Sul posto, ad effettuare i rilievi sono intervenuti gli agenti della polizia scientifica che hanno poi ritrovato nuovi pezzi del corpo mutilato della donna in altri cassonetti a poca distanza, in via Guido Reni, nel quartiere Flaminio. 

Donna decapitata sulla Casilina

Intanto però la memoria corre ad altri casi di cronaca cruenti come questo.

Undici anni fa, sempre a Roma, in un quartiere sicuramente meno nobile dei Parioli, fu trovato il corpo di una donna privato della testa. A scoprire il cadavere decapitato fu un benzinaio sulla Casilina, la mattina all’apertura del distributore.

Alla donna, sulla quarantina, di carnagione bianca che non aveva documenti ma neppure precedenti penali, la testa fu tranciata di netto con un coltello militare con una lama di 22 centimetri.

La donna, però, sarebbe stata uccisa prima di essere decapitata: sul suo corpo furono trovate delle ferite da arma da taglio, una al cuore e altre sulla mano e sul braccio, ferite che indicavano che la vittima si sarebbe difesa dal suo assassino, forse nel corso di una violenta discussione.

Ma in quel caso ad aiutare gli investigatori, fu il ritrovamento di una protesi dentaria rotta appartenente alla donna e di un mazzo di chiavi, probabilmente di un appartamento, che teneva stretto in una mano.

Decapitato mentre era ancora vivo

“È stato decapitato mentre era ancora vivo”, dirà il medico legale analizzando il corpo di Albano Crocco, l'ex infermiere ucciso nel 2016 e il cui cadavere è stato ritrovato, pochi giorni dopo, senza testa nei boschi di Lumarzo in provincia di Genova.  I risultati dell’autopsia furono davvero inquietanti: Crocco sarebbe stato raggiunto da una rosa di pallini di piccolo calibro alla schiena da una distanza non troppo ravvicinata. Sul corpo il medico legale ne troverà sei che si sono fermati a un livello superficiale.

Poi il killer lo ha avvicinato e colpito con una grossa arma pesante e dalla lama molto affilata. Due, tre colpi al massimo e gli ha staccato la testa dal corpo. L'ex infermiere cercò di difendersi tanto che il medico legale trovò le dita della mano destra completamente frantumate. Il corpo fu poi trascinato dall’omicida, per un centinaio di metri e gettato nel dirupo.

La testa mozzata dell'avvocata

Stranissimo per quanto misterioso fu il ritrovamento nei boschi del Bernina, del cadavere senza testa dell’avvocatessa italo-tedesca Cosima Corinne Schütterle. Prima di scomparire nel nulla la donna aveva scritto una email ai colleghi di uno studio legale prestigioso di via Monte Napoleone a Milano.

Una email che suonerà come un addio. Era l'8 giugno 2014. Poi della donna non si hanno più notizie tranne che di un breve soggiorno all’Hotel Edelweiss di via Nazionale a Resia di Curon Venosta, in provincia di Bolzano. Cosima Corinne arrivò la sera dell’11 giugno 2014, quattro giorni dopo aver troncato la relazione con il compagno e aveva con sé tre grosse valigie, troppo grosse per una breve vacanza e sicuramente inutili per una donna che avesse avuto intenzioni di suicidarsi.

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Nadia Francalacci