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Come funziona il riciclaggio del gasolio libico

Italia-Malta-Libia, una triangolazione che ha permesso a un'organizzazione criminale smantellata il 18 ottobre di evadere il fisco per oltre 11 milioni

Libia-Malta-Italia. È questa la triangolazione che ha permesso, in meno di un anno, ad un’organizzazione criminale, di immettere illecitamente sul territorio italiano oltre 82 milioni di chilogrammi di gasolio e di evadere il Fisco per oltre 11 milioni di euro.

Il “gioco” studiato da nove soggetti che il 18 ottobre sono stati arrestati dai militari dello Scico e dalla Guardia di Finanza di Catania nell'operazione 'Dirty oil', era basato su un sistema piuttosto complesso di società cartiere, create a più livelli, tra venditori e acquirenti finali.

Chi sono le persone coinvolte

L'associazione, composta da 5 italiani tra cui Nicola Orazio Romeo, affiliato della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano, due maltesi e due libici, aveva creato un canale per l’approvvigionamento continuo di gasolio dalla raffineria libica di Zawyia, a 40 km ovest da Tripoli, ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali, in modo tale da poter garantire alla società italiana acquirente, la Maxcom Bunker con sede a Roma, un margine di profitto costante e soprattutto molto più elevato rispetto ai concorrenti.

La frode, infatti, è stata attuata ricorrendo a false documentazioni che attestavano inizialmente l'origine saudita del gasolio libico e poi, successivamente, la cessione ovviamente fasulla del carburante da una delle società sussidiarie della compagnia petrolifera nazionale della Libia.

In realtà, il gasolio veniva trafugato dalla N.O.C. (National Oil Corporation), ovvero la compagnia petrolifera nazionale della Libia, e dopo essere stato “trasformato cartolarmente” dall’organizzazione criminale, veniva riciclato e immesso all’insaputa dei consumatori finali, presso distributori stradali italiani e stranieri.

Il carburante libico acquistato illegalmente, però, aveva un tenore di zolfo minore di 0,1% ed in base alla legge, doveva essere destinato esclusivamente al “bunkeraggio” ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili ad unità navali.

A far scattare i primi sospetti è stato proprio il continuo ed imponente flusso di gasolio in uscita dalla raffineria: 82 milioni di chilogrammi suddivisi in 30 viaggi effettuati via mare in meno di 12 mesi.

L'organizzazione, dopo alcuni articoli di giornali libici, ha dovuto modificare il sistema di frode cominciando ad usare falsi certificati libici.

Dalla Libia ai pescherecci maltesi

Ben Khalifa, capo di una milizia in Libia e ora in carcere, avrebbe consentito a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati o altre navi cisterna di piccole dimensioni.

Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta, avrebbero trasbordato il carburante su natanti nella disponibilità di società maltesi che poi si incaricavano di trasportarlo nei porti italiani di Augusta, Civitavecchia e Venezia, per conto della Maxcom Bunker.

Successivamente, da queste località sarebbe stato immesso oltre che nel mercato italiano anche in quello francese e spagnolo, a un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali, ma sempre essendo di qualità inferiore. La frode, secondo gli investigatori, ha procurato un mancato incasso di imposte per il bilancio nazionale e quello comunitario per oltre 11 milioni di euro.

Non solo una truffa comunitaria

Ma questa truffa internazionale ha risvolti inquietanti che la legano sia al terrorismo islamico che al traffico di migranti verso le nostre coste.

"Non possiamo escludere che parte dei proventi di questi traffici illeciti sia andata all'Isis, ma non ne abbiamo evidenza - ha detto il Procuratore della Repubblica a Catania Carmelo Zuccaro - l'unica cosa di cui abbiamo certezza è che nel passato, nei territori controllati da queste milizie dedite anche a questo contrabbando, vi erano anche soggetti dell'Isis".

Non solo. “Il traffico procura ai libici profitti estremamente ingenti e dato che una delle persone coinvolte, Ben Khalifa, è a capo di una milizia in Libia, che controlla la città di Zwara – conclude Zuccaro- ipotizziamo che sia uno dei contrabbandieri (smuggler) più importanti e quindi uno degli autori anche dei traffici di clandestini".

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Nadia Francalacci