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Carta d'identità elettronica? Funziona, sulla carta

Resoconto di un paese diviso tra sogni tecnologici ed istituzioni da medioevo

Ho vissuto la comoda (sta senza fatica nel portafoglio) ed esaltante (vuoi mettere la soddisfazione quando la tiri fuori di fronte a quelle spiegazzate degli arcaici…) esperienza della carta di identità elettronica per cinque lunghi anni. E ho dovuto interromperla da qualche settimana perché nell’evoluta Milano, capitale della moda, del design e della tecnologia, per rinnovarla bisogna attendere fra i cinque e i sei mesi. Comprendo quindi la cautela del ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi nell’annunciare la quasi decisione di rendere obbligatorio per tutti quel rettangolo di plastica che è una sorta di carta di credito “civile” (dovrebbe dare accesso a tutti i servizi della pubblica amministrazione ma finora ha semplicemente integrato il codice fiscale e ridotto l’ingombro nei portafogli).

Per una di quelle frequenti stravaganze amministrative italiane obbligatoria lo sarebbe già dal 2011 ma il decreto del precedente governo non ha trovato attuazione perché non si è capito chi paga: il governo o i cittadini? Possiamo ancora attendere, visto che di carta elettronica si parla solo dal 1998, quando l’allora ministro Franco Bassanini disse: «Vedremo le prime carte entro l’anno». Bisogna fare le cose bene. Con calma.

Nel frattempo, altra sana abitudine nazionale, ogni comune ha fatto di testa sua. A Catania, ad esempio, dove il servizio è ripreso da poco dopo un anno di sospensione, chi vuole la tessera piccola, come la chiamano da quelle parti, paga 20 euro (altro che i 12 ipotizzati da Patroni Griffi!). Ne fanno fino a 10 al giorno, dice con incomprensibile orgoglio la responsabile dell’ufficio.

Si capisce così perché a Milano, dove invece si paga tanto quanto per la versione cartacea (poco meno di 6 euro) ma solo dopo un contenzioso con il Ministero dell’Interno (che si prende l’incasso e dovrebbe restituire ai comuni circa 80 centesimi a pezzo), la coda può durare anche sei mesi. Con sorprendenti variazioni. Quando mi sono accorto di dover rinnovare la mia carta, qualche settimana prima della scadenza, ho ingenuamente chiamato il campanilistico numero verde 020202 (solo Milano può essere…) per prenotare la seduta in via Larga. Segue dialogo semiserio:

«Le va bene il 15 novembre?». «E io cosa faccio nel frattempo, resto col documento scaduto?».«No. Lei può andare in qualsiasi delegazione comunale, distruggere la tessera elettronica e fare quella di carta». «Ma io non voglio tornare indietro!». «Non c’è problema: a novembre distruggerà la tessera di carta e rifarà quella elettronica. Buongiorno». Dopo pochi minuti, con efficienza tutta meneghina, arriva il seguente sms: “Utente Iozzia Giovanni N ticket Prenotazione APVO-8UTDH9 Servizio CIE. Sede centrale-Larga Data 15/11/2012”. Messaggio che dovrebbe ricordarmi l’appuntamento di novembre se solo si capisse di cosa si sta parlando.

D’accordo, io non mi sono accorto in tempo della scadenza, ma l’anagrafe la conosce, sa che per suoi limiti servono sei mesi ma non ha un sistema per gestire con il dovuto anticipo i rinnovi. Per esempio, un sms magari meno raffinato del precedente, per ricordami a inizio anno l’inizio del “semestre bianco”. E poi, se io voglio mettermi al passo con l’Italia dell’Agenda Digitale, dei servizi tecnologici, della pubblica amministrazione leggera, devo pagare due volte per lo stesso servizio, senza tenere conto dell’impatto ambientale di due documenti inutilmente distrutti. Tutto questo succede perché il Comune di Milano ha solo 3 macchine che producono carte con il microchip. Figurarsi cosa accadrebbe se la carta elettronica diventasse obbligatoria per tutti: solo a Milano servirebbero 42 macchine, ciascuna costa 12mila euro e i soldi per comprarle non ci sono.

Fa bene, caro ministro, a essere cauto. Forse non siamo pronti, non ce la meritiamo o non possiamo ancora permettercela questa benedetta carta di identità elettronica. Lei, con la sua prudenza, ci sta evitando attese di anni. E soprattutto il rischio di ritrovarci fuorilegge contro la nostra volontà. Cittadini senza microchip perché i comuni non riescono a erogarli. Neanche quando ce li fanno pagare cari.
P.S. Immagino che qualcuno starà già dicendo: ma la carta di identità vale 10 anni. Si, ma solo dal 2008. La mia, emessa, nel 2007, purtroppo ha avuto vita più breve.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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