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Caro benzina, tra rincari e tagli (promessi)

Dopo i "gilet gialli" in Francia, in arrivo aumenti anche in Italia, che resta uno dei Paesi dove il carburante costa di più al mondo

La protesta dei "Gilet gialli" in Francia ha riportato l'attenzione sul tema del caro-carburante. Se Oltralpe gli aumenti della benzina sono giustificati dal governo di Parigi con l'esigenza di adottare una politica energetica di rispetto dell'ambiente, in Italia potrebbero scattare presto nuovi aumenti.Esattamente dal 1° gennaio 2019, nonostante le promesse del governoLega-M5S. Tutta colpa del "decreto competitività" dell'esecutivo Renzi. La promessa del vicepremier Salvini di tagliare le accise ("anacronistiche") che pesano sul prezzo di benzina e gasolio, dunque, rischiano di rimanere vane.

Ma quali sono i Paesi dove la benzina costa meno? E quali quelli in cui costa di più? Sono solo le accise dei singoli Stati a fare la differenza?

I Paesi dove costa meno

Per scoprire quanto costa il carburante all'estero occorre dare un'occhiata alla settimanale classifica preparata da Globalpetrolprices.com, un network che monitora settimanalmente le oscillazioni alla pompa del prezzo del carburante non solo in Europa, ma anche in tutto il mondo. Tralasciando il Venezuela, dove il carburante (gasolio) costa appena 0,01 dollari al litro, e la Russia dove per un litro di verde bastano 0,605 euro, il Paese europeo dove il costo della benzina a 95 ottani è il più basso di tutti è la Moldavia, con un prezzo medio di 0,869 cent al litro (settimana del 18 novembre 2018), seguita da Andorra (1,097), Lussembrugo (1,167), Norvegia (1,163) e Lituania (1,185). Anche Bulgaria, (1,202), Malta (1,228), Spagna (1,255) e Romania (1,272) restano al di sotto di quota 1,3 euro al litro.

 

Quanto costa la benzina in Italia? | video scheda

I Paesi di fascia media

Germania, Lettonia, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Cipro e Cipro hanno prezzi alla pompa al di sotto di 1,4 euro al litro. In Albania, Danimarca, Grecia, Paesi Bassi, Irlanda, Portogallo, San Marino e Serbia rientrano nella fascia che non raggiunge 1,5 euro.

I Paesi dove costa di più

Fanalini di coda sono invece la Francia, dove è scoppiata la protesta dei "Gilet gialli" e il costo della verde si aggira intorno a 1,5 euro. Finlandia (1,509 €/lt), Gran Bretagna (1,535) e Italia (1,562) si confermano tra i Paesi più cari d'Europa, dove il record negativo va alla Norvegia (1,693) seguita dall'Islanda (1,641).  

Nel nostro Paese, dunque, un litro costa oltre la media europea, a causa soprattutto dell’imposta sull’imposta, ovvero dell’Iva (anche) sulle accise.

A livello globale, i Paesi dove la benzina costa meno sono il Venezuela, a causa degli immensi giacimenti di petrolio sul suo territorio, seguito dal Kuwait e dall'Arabia Saudita, anch'essi produttori. Il Paese dove costa di più è Hong Kong, con 2,11. Noi italiani ci confermiamo sest'ultimi, a livello mondiale, seguendo un trend in atto da diversi anni. 

Il peso delle tasse

Ad incidere sul prezzo del carburante ai distributori è soprattutto la tassazione, differente da Stato a Stato. Tolte le imposte (sotto forma di Iva, ma anche di accise) in Italia il costo medio di benzina e gasolio sarebbe inferiore alla media europea. E’ proprio questo divario che viene chiamato dall’Unione Petrolifera “stacco Italia”. Posto che un litro di “verde” nel nostro Paese costa 1,64 euro, 0,61 cent rappresentano il prezzo industriale, mentre 1,03 euro è costituito dal peso del Fisco. In Europa la quota di tassazione media si ferma a 0,91 euro. Lo stesso vale per il gasolio: nella penisola il prezzo si aggira intorno a 1,52 euro, a fronte di una media europea di 1,38, ma ancora una volta la quota maggiore (0,89) è rappresentata dalla tassazione.

Le promesse di taglio delle accise

A incidere sul conto di un pieno in Italia, come è noto, sono soprattutto le accise, che nel 2017 hanno permesso allo Stato di incassare circa 26 miliardi, pari all’81% del totale della fiscalità energetica (32,7 miliardi). Ecco perché risulta difficile a ogni Governo intervenire con tagli che, secondo i calcoli dell’Unione Petrolifera, comporterebbero una riduzione di gettito pari a circa 100 milioni di euro per la benzina e 278 milioni di euro per il gasolio. Non va poi dimenticata l’Iva al 22%, che viene applicata sul prezzo complessivo (materia prima più accise).

Eppure nel contratto di governo Lega-M5S era stato previsto di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina”, come erano state chiamate in particolare da Salvini, che era tornato sull’argomento lo scorso settembre. Il vicepremier aveva ipotizzato uno “sconto” di 20 centesimi, correggendo poi il tiro e auspicando un imminente diminuzione di 11,3 centesimi al litro, che si sarebbe tradotta in oltre 4 miliardi in meno di introiti per l’erario, Iva esclusa.  

La “beffa” del nuovo aumento del 2019

In realtà nel testo della manovra licenziato dal Governo e al vaglio del Parlamento l’ipotetica sforbiciata delle accise è scomparsa. Non tanto per cattiva volontà del responsabile del Viminale, quanto per effetto del D.L. 91/2014 che, per finanziare "il meccanismo di aiuto alla crescita economica (ACE)" aveva previsto un aumento delle tasse sul carburante, con entrata in vigore dal 1° gennaio 2019. La norma, infatti, prevede un rialzo “dell’aliquota di accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché del gasolio usato come carburante, da adottare con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli entro il 30 novembre 2018". Questione di giorni, insomma.

La crescita dovrebbe essere "in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 140,7 milioni di euro nel 2019, 164,4 milioni di euro nel 2020 e 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021". In pratica un’ulteriore pessima notizia per gli automobilisti e non solo.

Quali tasse?

La storia delle accise risale al Ventennio fascista ed esattamente al 1935, quando venne introdotto il primo aumento sul costo dei carburanti, pari a +1,90 lire/litro, per finanziare la guerra in Abissinia. Poi nel 1956 è stata la volta della crisi di Suez, nel 1963 del crollo della diga del Vajont e della necessità di trovare fondi per gli interventi di soccorso e ripristino. Nel 1966 il balzello è scattato con l’esondazione dell’Arno a Firenze, nel ’69, ’76 e ‘80 la causa furono i terremoti nel Belice, in Friuli e in Irpinia. Nel 1982 e ’82 occorrevano risorse per finanziare la partecipazione italiana alla missione Onu in Libano, nel 1996 quella in Bosnia. Tra il 2003 e il 2014 gli aumenti sono stati giustificati con il rinnovo del contratto degli autoferrotramvieri, la flotta di autobus pubblici, il Fondo per lo Spettacolo (in due tranche), l’emergenza immigratil’alluvione in Liguria e Toscana, il Salva Italia, il terremoto in Emilia, il bonus per i gestori e le imposte per il sisma in Abruzzo (diventate strutturali nel 2013) e infine per la copertura di alcune voci del decreto Fare “Nuova Sabatini”.

Dalle petizioni all’UE

A chiedere la cancellazione (o almeno una riduzione) delle accise ci avevano pensato, oltre che diverse associazioni dei consumatori, anche alcuni automobilisti che avevano organizzato una raccolta firme su Change.org (#BastaAccise). La petizione, chiusa nel 2016, aveva raccolto circa 130mila sottoscrizioni.

Il problema è che le accise sono state accorpate oltre 20 anni fa in un’unica imposta e relativa cifra (0,7728 euro al litro per la benzina e 0,61740 sul gasolio), all’interno della quale non è possibile fare distinzioni. Risulta dunque pressoché azzerare completamente il suo peso sul costo del carburante. Cancellandone circa un quarto, inoltre, si crea il problema di dover reperire fondi alternativi che, secondo i dati elaborati dai gestori di impianti di distribuzione Figisc e Anisa, aderenti a Confcommercio, ed elaborati da Assopetroli-Assoenergia, ammonta a 6 miliardi di euro.

Diverso è il caso delle accise regionali. Lo scorso luglio, infatti, Bruxelles ha chiesto esplicitamente di abolire le imposte regionali sui carburanti, applicate in Italia. Si tratta della cosiddetta IRBA (imposta regionale sulla benzina per autotrazione), in vigore dal 1° gennaio 2012, che corrisponde a circa 2 centesimi per ogni litro erogato. Secondo la Commissione europea si tratta di un’imposta contraria al diritto comunitario perché non ha finalità specifiche, ma unicamente di bilancio e dunque contravviene alla direttiva UE sul regime delle accise 2008/118/CE del Consiglio (art.1, par.2). In caso di mancata cancellazione dell’addizionale o di attivazione da parte del nostro Paese entro due mesi, potrebbe scattare la procedura di messa in mora, con relativo procedimento davanti alla Corte di giustizia europea.

E all’estero?

Secondo il report Tax guide 2018” dell’Acea, l’Associazione europea dei costruttori di auto, l'Italia ha il primato negativo delle imposte più alte sulla benzina con 0,733 centesimi per litro per la verde e 0,617 centesimi a litro per il gasolio. A seguire si trovano Olanda, Finlandia e Grecia, mentre la Bulgaria risulta il Paese, tra i 15 presi in esame, dove gli automobilisti pagano meno ai distributori. 

Tra i Paesi extra UE, negli Usa la tassazione si ferma al 18%.

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Eleonora Lorusso