Professione vacanze: “il lavoro più bello del mondo”
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Professione vacanze: “il lavoro più bello del mondo”

Antonio Sciarappa ci spiega il suo contratto con Expedia, che lo ha assunto per esplorare (e raccontare) i luoghi più belli del pianeta

Bussola e cartina al posto di scrivania e computer, il cammino verso l’ufficio che diventa un viaggio quotidiano verso un’alba e un tramonto sempre diversi. Viaggiare può essere un lavoro? Si. La prova è Antonio Sciarappa, 32 anni e un master in management ed economia del turismo, che è stato reclutato per 45 giorni da Expedia, il portale per l’acquisto di viaggi online, per scoprire e raccontare l’inesplorato, viaggiando dal Portogallo fino all’India sulle orme di Vasco da Gama, passando per le isole Canarie, l’arcipelago di Capo Verde, il Sudafrica, il Mozambico e la Tanzania.

“Ho trovato l'annuncio su internet, mentre ero a Malta per lavoro – racconta Antonio, che abbiamo raggiunto telefonicamente a Delhi – il colloquio l’ho sostenuto addirittura in videoconferenza. I selezionatori volevano capire se sarei stato in grado di sostenere l'impresa e di raccontarla in un blog-diario del viaggio”.

Così insieme ad altri tre avventurieri, reclutati da Germania, Francia e Inghilterra, è iniziato il “lavoro” di Antonio. Si perché – ci tiene a precisare l'italiano – fare l’esploratore non è una vacanza, ma un vero e proprio mestiere: “Andavamo a letto alle due di notte e ci svegliavamo all’alba per ripartire verso la tappa successiva. La sostanza è che non puoi mai fermarti. Devi esplorare, vedere e osservare, per poter ispirare le persone a cui racconterai il tuo viaggio”.

L’esploratore 2.0 porta con sé degli strumenti che avrebbero fatto la felicità, e in alcuni casi la fortuna (anche economica), di un Cristoforo Colombo qualsiasi. Basti pensare che un “semplice” smartphone può racchiudere in pochi centimetri un intero kit da viaggio, comprensivo di cartina, bussola, torcia e applicazioni varie. “Eppure quando raggiungi una nuova meta – spiega Antonio – incontri le stesse difficoltà degli esploratori del passato. Dal capire dove andare, mentre sei immerso tra cartine e mappe più o meno aggiornate, fino al farsi capire dalle persone. Leggere le guide e i blog  su internet è utile, ma più importante è saper seguire il flusso dei luoghi.

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Una delle spiagge di Prison Island, isola dell'arcipelago di Zanzibar, in Tanzania. Credits: Expedia

La chiave è parlare con gli altri: a tutti i costi, in inglese o persino a gesti. Bisogna saper accendere l’interazione e scatenare il passaparola con chi vive quotidianamente quelle zone. Sono le persone che ti permettono di arrivare all’anima dei luoghi”.

Proprio dal contatto con gli abitanti nascono gli aneddoti più curiosi, quei ricordi indelebili che rimangono impressi nella memoria di chi li vive e di chi li ascolta. Come quella volta in Tanzania in cui un italiano, un francese e una tedesco (“sì, come nella barzellette” scherza Antonio, nda) sono finiti a giocare a carte con due autoctoni vestiti da Masai. Oppure come quando, a Capo Verde, i quattro esploratori sono stati fermati da un gruppo di abitanti incuriositi: “Abbiamo iniziato a parlare per caso. Cinque minuti dopo eravamo nel loro salotto a bere del punch al mango fatto in casa, tipico della zona. Da lì ne è scaturita una cena e poi una bevuta fino a tarda notte. Sembrava ci conoscessimo da sempre: è stato uno dei momenti più emozionanti dell’intero viaggio”.

Per Antonio esplorare vuol dire conoscere l'altro e soprattutto "gli" altri. Per farlo però bisogna spingersi in quei luoghi lontani dalle mete abituali dei tour operator, dove nessun viaggiatore, o quasi, hai mai messo piede: “A Zanzibar la zona nord è preda dei turisti di italiani ma è a sud che si respira veramente il clima del paese. E lì che sono stato colpito dalla dignità della popolazione africana, che molto spesso vive in situazioni di estrema povertà ma riesce a sorridere al prossimo e ad accoglierlo in casa sua come nessun altro. Si dice che le persone meno hanno e più sono propense a dare. Provarlo sulla mia pelle è stata una delle mie grandi scoperte”.

D’altronde i pericoli per chi viaggia lontano dalle tratte consigliate sono dietro l’angolo. “Sul monte Teide, a Tenerife, abbiamo vissuto il momento più rischioso dell’interno viaggio – racconta Antonio – Avevamo calcolato male i tempi e ci siamo fatti sorprendere dalla sera e dal freddo, a 2500 metri di altitudine, con il telefono che non prendeva. Charley, l’esploratore francese, è stato molto bravo a tirarci fuori dai guai, caricandosi sulle spalle lo zaino della la ragazza tedesca, in difficoltà respiratoria, e portandolo in cima per poi tornare indietro a darmi il cambio. Quando siamo arrivati al rifugio ero così stremato e stordito dal freddo che ho cucinato, lo ammetto, la peggiore pasta della mia vita. Persino i miei colleghi stranieri se ne sono lamentati”.

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Il tramonto visto dal Monte Teide, in Tenerife. Credits: Expedia

Fare l’esploratore non è cosa da tutti. Dal punto di vista fisico bisogna essere preparati, mentre per la mente servono tenacia e curiosità, oltre che la lucidità necessaria per tenere aggiornato – due volte al giorno come “da contratto” – il blog dedicato all’impresa. E poi ovviamente bisogna sapersi adattare: “Quando sei in viaggio può capitare di dormire in un albergo a 5 stelle come in una tenda sulla spiaggia. E’ il piccolo prezzo da pagare per poter fare il mestiere più bello del mondo, dove al mattino fai il bagno con gli squali e la sera ammiri il tramonto dalla vetta di una montagna. Se quel giorno non puoi fare la doccia non è poi la fine del mondo”. Un avvertimento indirizzato alle signore che volessero intraprendere la carriera. 

Ma si può essere esploratori per tutta la vita? Giro la domanda ad Antonio: “Dove devo firmare? – risponde ridendo – La verità è che penso che viaggiare sia un po’ come innamorarsi ogni giorno di una nuova donna. Ti fa sentire dentro il fuoco della scoperta di nuove persone, di un nuovo luogo. Forse prima o poi mi stancherò, ma ora come faccio a smettere di innamorarmi?”. Antonio lo è per davvero, innamorato del suo lavoro di esploratore. Sentendolo parlare viene quasi voglia di inviare il curriculum, e preparare le valigie.

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Teobaldo Semoli