Crimea ed Ucraina: e se fosse divorzio?
ILMARS ZNOTINS/AFP/Getty Images
News

Crimea ed Ucraina: e se fosse divorzio?

Tra le "false" spinte europeiste di Piazza Maidan e le spedizioni armate ordinate dal Cremlino a Sebastopoli, ecco cosa potrebbe realmente accadere - Foto - Reportage - Video

per LookOut News

Siamo al punto di crisi del vuoto di strategia politica dell’Europa a supporto della sua attività come Comunità economico-monetaria. Siamo all’acme della non-politica nei confronti dell’Est Europa uscito dal comunismo. Iniziata con il sussiego verso la proposta strategica di Gorbaciov “Nasha Dom Europi” e proseguita con l’ideologico e revanscista “Eastern Enlargement”. Economicamente controproducente e comunitariamente paralizzante. Sul tentativo di inglobamento dell’Ucraina, e sul finale diniego da parte del presidente ucraino Viktor Yanukovich, ha preso il via una protesta su cui si sono facilmente innestati i nazionalisti di estrema destra, portandola a quegli estremi che ora possono preludere a una guerra civile che sarebbe disastrosa per l’Europa.
 
In Occidente si continua a fornire falsa informazione parlando di “pro-European protesters” per gli scontri a Kiev. Mentre la cruenza, e mediaticamente coinvolgente drammaticità, di quegli scontri è tutta cercata e voluta dai neonazisti ucraini che vedono la Comunità Europea giusto un po’ meno come fumo negli occhi dell’odiata Russia. Mentre quei neonazi oggi “Pravy Sektor” compianti dall’Occidente – e finanziati da chi ha interesse strategico a infiammare i rapporti tra Russia ed Europa – sono epigoni di quell’UPA (Esercito Insurrezionale Ucraino) che durante la guerra sterminò in Volinia assieme ai tedeschi la comunità ebraica residente, per poi passare a una ferocissima pulizia etnica nei confronti di decine di migliaia di polacchi.
E oggi vorrebbero parimenti cacciare dalle province dell’ovest ancora polacchi, slovacchi e ungheresi, per costruire la loro “Grande Ucraina”. Neonazisti che nutrono verso democrazia, pluralismo e liberalismo – lo chiamano “liberalismo totalitario europeo” – lo stesso odio che hanno nutrito verso il totalitarismo sovietico. Altro che “pro-European”.
 
Ora – come rappresentanza combattente dell’opposizione riconosciuta dai media – potrebbero cercare di innalzare ancora lo scontro per provocare un intervento russo, e da lì un intervento internazionale in loro difesa. Non sarebbe la prima volta. In Kosovo, per contrastare i raid omicidi serbi contro la popolazione albanese, l’Occidente si è trovato a intervenire in favore di un gruppo terroristico-criminale, l’UCK.
A sua volta l’opposizione politica al regime satrapico di Yanukovich è ostaggio della violenza dei neonazisti che l’hanno proiettata al centro dell’attenzione mondiale, e che ha portato alla liberazione di Iulia Timoshenko - discutibilissima, come tutti i politici delle neonate democrazie ex-sovietiche – inutilmente chiesta finora dalla Comunità Europea.
 

Ora che il conflitto è radicalizzato – non solo per il taciuto sprone militare assunto dai neonazisti, ma anche per il taciuto sommarsi alla protesta del risentimento popolare per le condizioni economiche e la disoccupazione – potrà essere molto più difficile trovare un punto di equilibrio. A questo stato delle cose sia la scelta verso l’opzione europea che quella verso l’opzione russa non consentirebbero una ricucitura, e innescherebbero di nuovo lo scontro nel secolare puzzle etno-geografico dell’Ucraina.
Nello scontro permarrebbero sia la parte occidentale del Paese, filo-europea, contro quella orientale, filo russa, sia la componente nazionalista neonazista, antieuropea quanto antirussa. Ed è quella armata e pronta al tutto per tutto per cogliere il momento. E la difficoltà di scelta dell’opposizione, e rischio di involuzione nella guerra civile, è accentuata dal vuoto di potere causato dalla fuga di Yanukovich e dall’essere la politica ucraina tutto fuorché di rappresentanza popolare. Più di elite, contrapposte, che di massa.
 
La Russia – pur mantenendo in allerta la 14a armata in Transnistria – opterà forse per uno stemperamento dello scontro in una federalizzazione dell’Ucraina, che lasci autonomia alle regioni occidentali di avvicinarsi all’Europa e a quelle orientali di avvicinarsi alla Russia. Forse – per disinnescare la bomba ai suoi confini, e la trappola per coinvolgerla in una guerra europea in danno dell’immagine fin qui costruita, e per distoglierla dei rinati intenti strategici di grande potenza – potrebbe giungere ad accettare anche una scissione del Paese secondo quelle linee geografiche.
Ma sarebbe evidente che non accetterebbe l’installazione nella parte occidentale di truppe o installazioni NATO. E potrebbe in questo caso sganciare dall’Ucraina (riconoscendola prontamente come repubblica “indipendente”) la scalpitante Crimea a maggioranza russa (al 52% di etnia e al 98% di lingua). Risolvendo così definitivamente al contempo il problema della sua base navale strategica di Sebastopoli.
 
Sempre che non le venga forzata la mano. Quindi anche sempreché gli USA non vogliano spingere la loro guerra sotterranea contro l’Euro-pa e contro la Russia fino a portare nel loro mezzo una sanguinosa destabilizzazione alla siriana. Quel “L’Europa si fotta” detto da Victoria Nuland, vice del segretario di Stato americano John Kerry, potrebbe non far ben sperare.

I più letti

avatar-icon

Panorama