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Congresso, linea e segretario: è guerra sui tempi nel Pd

Renzi vuole il voto subito dopo la legge elettorale, nella primavera 2017. Le minoranze, divise, prendono tempo per organizzare le truppe

La guerra interna nel Partito democratico è diventata, dopo la sonora sconfitta dell'ex premier Renzi al referendum costituzionale, una guerra sui tempi per il Congresso, le successive primarie aperte e  la durata della legislatura. Matteo Renzi, e la maggioranza che lo sostiene, spingono sull'acceleratore, vogliono che l'esecutivo Gentiloni duri solo il tempo necessario per fare la riforma elettorale e auspicano che il Pd vada subito al Congresso, nei primi mesi del 2017, per decidere segretario, candidato premier e linea politica in vista delle elezioni.

Elezioni che, secondo l'auspicio dei dirigenti vicini al segretario, dovrebbero avvenire anche prima dell'estate 2017, magari a giugno, dopo il Congresso (sui tempi deciderà l'Assemblea domenica prossima, ndr) e le primarie per eleggere il segretario-premier da calendizzare entro la fine di marzo. Non intende, l'ex premier, farsi rosolare a fuoco lento, in parlamento e nel partito, con un esecutivo Gentiloni contro il quale hanno già iniziato a sparare a palle incatenate tutte le opposizioni. Non intende, l'ex premier, andare alle urne dopo il settembre 2017, la data oltre la quale i parlamentari attualmente in carica maturerebbero il vitalizio, una vera arma letale in mano al M5S.

L'INTERVENTO DI RENZI IN DIREZIONE


TIMORI DELLA MINORANZA
La minoranza interna guarda invece a una prospettiva temporale più lunga, sia per il governo che per il Congresso del partito, consapevole come è che andare subito al Congresso e poi alle primarie significa andare divisi, senza un leader e una prospettiva chiara. Significa probabilmente perdere un'altra volta contro la macchina da guerra della maggioranza renziana, oggi la più organizzata per affrontare in tempi brevi il congresso, vincerlo e ripresentarsi dopo le primarie alle urne, questa volta volta con un Matteo Renzi più forte e pienamente legittimato dal popolo del centrosinistra. Teme, la minoranza interna, che un Congresso preparato in tempi rapidi possa diventare l'occasione di una definitiva resa dei conti tra correnti, con la maggioranza renziana che farebbe da asso pigliatutto e punti a emarginare definitivamente le voci dissenzianti.

LA SINTESI DELLA DIREZIONE


I NOMI PER LA SUCCESSIONE
In realtà, è anche, per la minoranza, una questione di nomi. C'è Roberto Speranza, l'unico che ha attaccato frontalmente l'ex premier duranta la Direzione dell'11 dicembre, bersaniano, ex capogruppo alla Camera del Pd. È probabile che la sua componente - molto legata a D'Alema e Bersani - dirotti i suoi voti, nell'assemblea della prossima settimana e al Congresso, su un nome differente, consavole di non avere i numeri per riprendersi il partito. C'è il governatore toscano, Enrico Rossi, che ha un profilo più di sinistra, che non ha risparmiato critiche e apprezzamenti al governo Renzi, e che potrebbe candidarsi a segretario, forte dei voti di buona parte della minoranza e anche di pezzi della maggioranza renziana. La sua idea è quella di fare il segretario (di sinistra) di un partito che potrebbe candidare Renzi a Palazzo Chigi. E ci potrebbe essere, tra i candidati alla segreteria, anche Michele Emiliano, governatore pugliese ed ex sindaco di Bari. Altri nomi possibili per la corsa alla segreteria? Nicola Zingaretti, governatore laziale, considerato vicino al vecchio gruppo dirigente. Oppure Sergio Chiamparino, renziano critico che potrebbe raccogliere i voti di un pezzo della minoranza interna. Nessuno, salvo Rossi, ha sciolto perora la riserva. Ma la battaglia sta entrando nel vivo.


 

SPERANZA ATTACCA RENZI IN DIREZIONE

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