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Come difendere la sovranità dell'Italia

Il senso dello Stato imporrebbe all'Italia di esigere dagli Usa tutta la verità sulle intercettazioni di Berlusconi premier nel 2011

Quando uno Stato acquisisce le prove che la sua sovranità è stata violata può e deve reagire con una risposta adeguata alla gravità dell'ingerenza. E questo perché la sovranità è, insieme al territorio e al popolo (ce lo insegnavano al primo anno di Scienze politiche), uno degli elementi costitutivi dello Stato.

Esempio di scuola: ponete il caso che i servizi segreti degli Stati Uniti d'America intercettino le telefonate della presidenza del Consiglio italiana. Bene, è successo almeno dal 2008 all'ottobre 2011. A palazzo Chigi c'era Silvio Berlusconi. Che di lì a poco sarebbe stato travolto da una micidiale trappola economicofinanziaria costruita tra Germania e Francia e che avrebbe trovato in Giorgio Napolitano il consenziente notaio dell'operazione conclusa poi con l'insediamento di Mario Monti.

Alla massa di elementi e autorevolissime testimonianze raccolte negli anni a dimostrazione che si trattò a tutti gli effetti di una congiura internazionale e di una deviazione opaca del normale corso democratico dell'Italia, si aggiunge oggi la conferma che la National security agency americana spiò le conversazioni del premier e del suo staff. E vengono i brividi nel mettere in connessione questo fatto con le memorie di Timothy Geithner, che all'epoca era superministro economico di Obama, contenute nel libro Stress test: "A un certo punto, in quell'autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano a cedere il potere (...). Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. "Non possiamo avere il suo sangue ( di Berlusconi, ndr) sulle nostre mani", dissi".

Quindi: con un orecchio gli 007 degli Stati Uniti ascoltavano e riferivano le mosse del nostro governo e, contemporaneamente, gli spifferi arrivavano a orecchie interessate ad ascoltare le trame per disarcionare Berlusconi. Il senso dello Stato imporrebbe a questo punto che l'Italia pretenda di sapere tutto, ma proprio tutto, su quanto accadde nell'autunno 2011. Se non fosse ancora sufficientemente chiaro, qui non è in gioco il giudizio storico-politico sull'ex premier: in ballo c'è la credibilità dell'Italia, la sua capacità di pretendere la verità. L'America è ancora oggi il nostro primo alleato in campo internazionale e noi costituiamo l'avamposto di tutto l'Occidente mediterraneo nella lotta all'Isis. Prova ne è la richiesta di utilizzare Sigonella come base per lanciare attacchi contro i terroristi in Libia e in altri territori a noi vicinissimi. Anche in questo caso stiamo facendo una figura peregrina: abbiamo una linea ridicola che pretenderebbe di autorizzare azione per azione le missioni, pensiamo di poterle pianificare come fosse una partita a Risiko nell'assurda convinzione che gli americani stiano lì ad aspettare il nostro via libera. Oggi come per i fatti del 2011 c'è solo un modo per non farci calpestare: pretendere chiarezza e rispetto. Questo significa avere senso dello Stato.

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Giorgio Mulè